27) LA RESA DEI CONTI È VICINA (Prima parte)

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Erano passati tre giorni dal momento del ritorno di Saaràn a Togriluudyn e le ore che seguirono il sollievo del Naaxia per aver ritrovato la moglie e i figli ancora vivi, furono tremende per ogni donna o uomo di Tosgon.

Quella notte stessa il temporale e il vento smisero di squassare le montagna.

Ben presto la pioggia esaurì tutta la furia che portava con sé e già il mattino seguente Ten-gri tornò a essere sereno, ciononostante per tutta la valle non si udirono che pianti e gemiti, lasciando a nudo la cruda realtà caduta addosso ai Togril.

La tempesta, in un primo tempo fattasi di ora in ora più violenta, aveva compiuto un disastroso massacro.

Le violente raffiche di vento che l'alimentavano avevano spazzato via buona parte dei ripari di fortuna adibiti agli ammalati che in quei giorni arrivavano in continuazione dal villaggio.

Costruite alla bell'e meglio com'erano, quelle fragili strutture non ressero alla sua furia e i corpi che vi erano riparati sotto rimasero esposti alle intemperie.

La mattina dopo, sotto l'attenta guida di Neko a dirigere le operazioni di soccorso, mentre alcuni Togril in grado di reggersi in piedi ricominciarono a tirarne su dei nuovi per quelli di loro rimasti in vita, i porta lettiga andarono con il Curandero a cercare i sopravvissuti sotto i rottami.

Non ve ne era più bisogno.

Ben pochi ancora respiravano.

Dei corpi che vi avevano trovato riparo sotto durante quella notte tremenda, ormai restava poco: il più delle volte soltanto un ricordo e una tomba non ancora scavata, per accoglierli.

I loro corpi troppo debilitati non avevano retto alla furia degli elementi e chi rimase in vita non poté far altro che seppellirli e piangerli.

Purtroppo, come Neko aveva predetto, la maggior parte di quei disgraziati non visse abbastanza a lungo per vedere la fine del violento temporale.

Prima che il sole sorgesse su Togriluudyn, sotto mucchi disordinati di macerie, non si udirono levarsi che pochi sordi rantolii.

Coloro che sopravvissero alla spietata cernita che Neko dovette caricarsi sulla coscienza per salvare il salvabile prima che fosse troppo tardi, furono molto pochi.

Della moltitudine che essi erano la sera prima in cui Saaràn fece ritorno nella Valle, alla fine del giorno seguente se ne contarono ancora in vita non più delle dita di una mano.

Fu una strage immane, immensa, indimenticabile.

Più di uno giunse a domandarsi se dunque non ci sarebbe mai stato limite alle disgrazie che potevano cadergli addosso.

Tuttavia, come spesso accade nei momenti più bui dell'esistenza, quel disastro rappresentò anche il momento peggiore dell'epidemia che aveva colpito la Valle soltanto sei giorni prima.

La conta finale, però, fu terribile.

Neko stesso si prese sulle spalle anche questo triste compito e lo compì a modo suo, nell'unico modo che conoscesse, diligentemente, apparentemente distaccato, non tralasciando niente e nessuno, efficiente.

Purtroppo, soltanto in quella tremenda notte, centinaia di Togril morirono di febbre.

Alla luce del sole i cadaveri vennero portati a valle e deposti in enormi fosse comuni.

Dopo essere stati ricoperti di uno strato di calce, vennero pietosamente interrati per la salvezza di coloro che ancora vivevano.

Malgrado ciò da quel momento i nuovi malati iniziarono a calare, i contagi parvero essere meno gravi e il numero di coloro che necessitarono di cure urgenti, in breve prese a diminuire.

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