13) INFANZIA FELICE

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Da quando erano usciti dall'accampamento, il giovane militare alle spalle del Naaxia cavalcava soddisfatto.

Al contrario di Ukhsen Aris, Omnod aveva ubbidito agli ordini e ne aveva preso il posto in un attimo.

Aveva fatto bene a restare fedele a Kutula e a riferirgli ogni cosa.

In tal modo, avendo salvato la vita al Naaxia, aveva reso felice il Khan e per questo era stato premiato.

Solo al mattino era un semplice Baltai alla sua prima missione, mentre ora era stato promosso Scengun direttamente da lui e aveva un Tarpan in più, esclusivamente suo.

Inoltre, avendo conclusa la faida con il suo superiore, c'era anche la soddisfazione personale di aver concluso per sempre una situazione che ormai si trascinava avanti da troppo tempo.

Come lui, anche Ukhsen era un Konghirato, eppure, appartenendo a un Clan rivale, aveva fatto di tutto per denigrare lui e la sua famiglia, ma ora pure questo era terminato e faceva parte del passato.

Ukhsen Aris adesso era morto e Omnod, oltre aver ottenuto la vendetta per sé e per i suoi genitori, ne aveva preso il posto e il grado.

Si crogiolò al ricordo di quel momento.

Era stato nominato Scengun davanti a tutti i nobili, ufficiali e consiglieri dell'Urdu.

Tutta la Tribù dei Konghirati, quella a cui apparteneva, l'aveva visto premiato per aver saputo compiere la missione che gli era stata affidata.

Anche Targin l'aveva visto ed era stata fiera di lui.

Davanti ai suoi genitori aveva strappato una manciata d'erba da terra e gliel'aveva lanciata contro, come se fosse una cosa sicura: era una promessa, sarebbe stata sua.

Aveva vinto lui, aveva posto la testa del rivale sulla picca e tutti lo sapevano, la sua famiglia era onorata e Targin non doveva più temere di essere importunata dal suo rivale.

Era fiero di se stesso, eppure...

Si portò una mano al volto e tastò piano la ferita, chiudendo gli occhi per l'intenso dolore che provò.

La scarificazione sulla guancia bruciava tremendamente, ma era un dolore che sopportava volentieri e lo riempiva di gioia.

Gliel'aveva fatta Kutula in persona, davanti a tutti e usando il Pugnale Azzurro, un grande onore, grandissimo per un giovane di umili natali come lui.

Quella era la  sua prima cicatrice per aver ucciso un rivale e aveva un sapore dolce, anche se bruciava come il fuoco.

Quel giorno iniziato così male, aveva portato molto, molto onore, per sé e per tutta la sua famiglia.

Targin ora sarebbe stata fiera di lui e avrebbe atteso il suo ritorno con ansia.

Molti suoi commilitoni lo avrebbero invidiato per aver avuto tanta sfacciata fortuna.

E poco importava se ora doveva dividere la strada con un Nonun e con il Naaxia.

In fondo era a quell'uomo che doveva la sua fortuna inaspettata e se al mattino Saaràn non lo avesse maltrattato duramente per come aveva fatto correre il cavallo per raggiungerlo, ora non sarebbe stato dove si trovava.

Non che lo rispettasse, sia ben chiaro, era il Naaxia, il niente, lo schifo, quello che veniva dopo lo sterco di cavallo, lui, Omnod figlio di Noogon, Scengun di nuova nomina nell'esercito del Khan, non poteva rispettarlo.

Era sporco, lacero, cavalcava quel ridicolo cavallo a tre colori che solo a guardarlo gli veniva male, ma, allora, perché provava uno strano bisogno di abbassare lo sguardo quando lo fissava negli occhi?

OCCHIO LIMPIDODove le storie prendono vita. Scoprilo ora