13) L'ABISSO

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Arrivati nei pressi del fondovalle, quando la Togril che comandava le arciere diede l'alt e la lunga colonna di Tarpan si fermò proprio dove le due catene di monti stringevano la pianura fino quasi a fronteggiarsi, per un momento i prigionieri credettero di essere arrivati a destinazione.

Avevano cavalcato a lungo e all'approssimarsi di quella che ritenevano la fine del loro viaggio, Saaràn sospirò di sollievo, perché lungo la strada che avevano seguito non avevano incontrato tracce di coltivazioni, abitazioni o insediamenti come aveva temuto, se non poche macerie risalenti a molto tempo prima.

Se in un'epoca remota qualche popolo aveva abitato stabilmente quella valle, doveva oramai essere andato via da generazioni e sparito chissà dove, smarrito in qualche punto lontano della Steppa.

Di quelle genti ormai rimanevano solo pochi segni vecchi di secoli, corrotti dal passare del tempo, dalle intemperie e dal muschio.

Niente più che ruderi sparsi e cadenti, mucchi di pietre che rimandavano a un tempo dove qualcuno aveva deliberatamente costruito in quel luogo mura di difesa, un villaggio, arato campi e sradicato alberi, ma infine era scomparso nel nulla, ormai dimenticato da tutti.

La strada lungo la quale marciavano vi passava proprio in mezzo, ma tutto quello che ancora restava in piedi era decrepito, invaso da cespugli, licheni ed erba.

Solamente quelle poche rovine e il tracciato erboso che avevano seguito testimoniavano ancora un intervento umano, ma era solo un residuo di un passato lontano e niente più.

Quand'anche i soldati inviati dal Khan li avessero scovati, non avrebbero trovato nulla di sospetto e non avrebbero avvisato l'Urdu per così poco. Annuì soddisfatto, poi udì Uleg rivolgersi a Chonyn:

"Ene Togriluud ve?" (È questa Togriluudyn?) gli domandò il Taiciuto e il Togril scosse la testa.

Dopo un attimo sollevò un braccio e indicò verso i monti, in alto, in un punto indistinto delle cime.

"Tend!" (Lassù in alto!) disse soltanto, ma tanto bastò per far sì che gli Un comprendessero le sue intenzioni e si scambiassero occhiate preoccupate l'un con l'altro.

Benché non avessero capito cosa si fossero detti i due uomini, quel braccio sollevato dal cavaliere, indicò una via che avrebbero volentieri fatto a meno di prendere.

Ognuno di essi aveva un motivo valido per non andare dove aveva indicato il Togril e se i più giovani erano preoccupati per le incognite che il futuro poteva avere in serbo per loro, Saaràn lo era per le gambe di Helun.

Era certo che l'arto deforme della moglie non avrebbe retto sulle rocce dei monti, tanto quanto era impensabile per lei riuscire a camminare a lungo su di un sentiero pietroso, appoggiandosi solamente al bastone.

Sperava almeno di poter proseguire con il carro, invece ben presto dovette ricredersi.

Accanto alla base rocciosa dei monti vi era un piccolo spiazzo rotondeggiante, grande abbastanza per contenere la colonna al completo.

Oltre alla testa della colonna, il tratturo pianeggiante che da ore seguivano finiva contro le montagne e qui diveniva roccioso, si restringeva e s'innalzava proseguendo lungo un brullo e impervio sentiero, che s'inerpicava lungo il fianco della montagna.

In fondo allo spiazzo pianeggiante, sulla destra vi era il sentiero che si inerpicava in alto, correndo lungo la riva scoscesa che scendeva fino al torrente.

A Saaràn la cosa non piacque.

Non era necessaria la sua esperienza per capire che non vi era abbastanza spazio per manovrare il traino, inoltre la salita era troppo ripida per una vettura come la loro, ingombrante nel muoversi e senza freni per fermarla nelle soste.

OCCHIO LIMPIDODove le storie prendono vita. Scoprilo ora