25) PERDONO

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Nuuts, accanto a Uleg, fece cenno a Saaràn di entrare nella stalla e di seguirlo.

Quell'uomo gli sorrideva e annuiva.

Ancora incredulo, senza pensare ad altro Saaràn si diresse all'interno, guardò a sinistra, a destra, ovunque.

Nell'aria il famigliare odore di strame lo fece sentire a casa, ma era qualcos'altro che gli premeva, ora.

La stalla era in penombra.

Non vedendo nulla, con il cuore in tumulto zufolò lo stesso motivo di sempre e attese.

Ancora quel debole soffio di vita, laggiù, in fondo, dove il soffitto della stalla era più basso, dove gli altri cavalli Togril, enormi, possenti, dai sonori sbuffi, non avrebbero potuto entrare senza toccare con la testa.

Vi si diresse con una promessa nel cuore che non osava credere vera, non si curò di nulla se non di andare a vedere cosa c'era laggiù.

La stalla era asciutta, calda, pulita, cavalli curati e nutriti a dovere lo guardavano passare davanti ai loro stallaggi, ma lui non vedeva altro che quell'ultimo scomparto da cui era provenuto quel richiamo.

Poi lo vide, spelacchiato, dal manto rado, pezzato di tre colori, bianco, grigio, marrone, stanco ma ancora abbastanza vivace da reagire quando un moscone lo mordeva.

Quanto era brutto, ma era ancora vivo.

Era steso sulla paglia, debole, la ferita sul quarto posteriore bene in vista era pulita, medicata, non pareva gonfia o infettata.

Quando lo vide arrivare il Tarpan fece per alzarsi, ma lui gli fu accanto, lo trattenne, lo fermò, lo accarezzò.

Prima di rendersene conto gli appoggiò la testa sul petto e si mise a mormorare:"Perdono... perdono... perdono".

Il Tarpan, quasi a volerlo punire, scosse la lunga coda spelacchiata e lo colpì debolmente sulla schiena.

Saaràn sorrise, pianse, chiese ancora perdono e il cavallo sbuffò, abbassando esausto la testa sul letto di paglia.

"Sei vivo... sei vivo... " mormorò più volte sommessamente.

Per alcuni attimi temette che il cuore potesse scoppiargli dalla gioia, però la natura spietata della Steppa che negli anni aveva così a fondo compreso, lo portò ad accorgersi che non era solo.

In quel momento l'istinto sempre allerta del Naaxia avvertì un tramestìo nella paglia, qualcuno era alle sue spalle. Si voltò, guardingo.

Un uomo lo stava guardando.

Era più giovane di lui, enorme, altissimo, a malapena restava ritto senza toccare il soffitto del ricovero di Monglik.

Benché avesse spalle larghe, un petto immenso, braccia muscolose e gambe solide, aveva saputo muoversi così silenziosamente nella stalla da potersi avvicinare a un Un senza essere udito.

Vestiva come un Togril, però era di carnagione scura, color della terra, completamente calvo, occhi allungati, mobili, attenti, chiarissimi in contrasto con il colore della pelle.

Non aveva armi con sé, eppure Saaràn fu immediatamente cosciente che quell'uomo avrebbe potuto farlo a pezzi a mani nude, se solo l'avesse voluto.

Invece appariva tranquillo, lo sguardo indagatore era fisso su di lui e sul cavallo steso nella paglia: non temeva l'Un, come non temeva l'uomo che accarezzava il proprio animale.

A Saaràn piacque subito il suo modo di guardarlo, senza schermi o fraintendimenti. Erano solo due uomini, uno di fronte all'altro.

Si asciugò le lacrime sul volto. Gli fece un cenno con la testa, l'altro lo ricambiò.

OCCHIO LIMPIDODove le storie prendono vita. Scoprilo ora