26) LA SCELTA DI OMNOD

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Dopo aver terminato di raccontare nei minimi dettagli quello che aveva scoperto nelle ore precedenti, Saaràn si rivolse a Omnod.

Quello era un momento delicato e di cui avrebbe fatto volentieri a meno, tuttavia doveva sapere.

Il ragazzo era l'anello debole della fragile catena che come Naaxia adesso stringeva in pugno e da lui doveva iniziare a renderla più salda.

Con Uleg era stato diverso, perché il Taiciuto era un Nonun, un servo, uno schiavo, un uomo non libero abituato a obbedire a un padrone per sopravvivere.

Omnod, invece, era un uomo libero.

Saaràn era emozionato come non mai e non credeva possibile di essere proprio lui in procinto di porre una domanda che soltanto un Capo Clan poteva fare a un altro Un, ma la situazione era grave e non poteva dubitare proprio ora della sua autorità.

In fondo quello era il suo campo e Omnod gli doveva obbedienza.

Trasse un profondo respiro per darsi coraggio a parlare, poi "Tu, ragazzo, di chi sei?" gli domandò a bruciapelo, senza perdere altro tempo.

L'aveva fatto, finalmente.

Dentro di sé sospirò e attese, impassibile, immobile come una statua, ma con il cuore che batteva all'impazzata.

Sotto lo sguardo sbigottito di Uleg e l'incredulità di Helun, Saaràn si era tolto un peso enorme dallo stomaco e aveva fatto quello che doveva essere fatto, per sé e per la sicurezza della sua famiglia.

Ora non restava che aspettare la risposta dello Scengun.

In cuor suo sperava sinceramente che tutto finisse per il meglio, perché gli sarebbe dispiaciuto doversi liberare di quel ragazzo.

In fondo quel soldato gli piaceva.

Anche se era giovane, ingenuo e presuntuoso, ribellandosi al suo superiore e avvisando Kutula di Ukhsen Aris e dei suoi accoliti, gli aveva salvato la vita.

L'aveva tenuto d'occhio fin da quando si era seduto tra di loro e man mano che diveniva chiaro a tutti che Muu-Gol stava ordendo qualcosa alle spalle del Khan, Saaràn lo aveva visto passare dall'incredulità a quello che stava ascoltando, allo stupore.

Poi da una rabbia sorda che lo faceva ben sperare a una determinazione.

Saaràn sapeva che il giovane Konghirato era fedele al Khan.

Tutta la sua Tribù lo era, da sempre.

Fin dai tempi di Dai-Sescen, Konghirati e Kaidu camminavano insieme come fratelli.

Benché da tempo le due Tribù fossero molto distanti all'interno della gerarchia dell'Orda, si erano sempre considerate come le più affini tra tutte le Sette che si trovavano riunite nell'Urdu.

Ciononostante, questa fedeltà di Omnod a Kutula poteva anche essere un problema non da poco e da risolvere in fretta, perché un Un era fedele a un solo padrone per volta e soltanto a quello avrebbe votato la sua devozione.

Saaràn doveva sapere a chi sarebbe andata la sua dedizione quando si fossero trovati a lottare.

Per nessun altro al mondo che al proprio Capo un Un avrebbe messo a rischio la propria vita e ora, nella posizione in cui si trovava, Saaràn non poteva permettersi di avere una spia nel proprio campo.

Non poteva rischiare, ne andava della sicurezza di tutti.

Doveva capire in modo definitivo e totale a quale parte andasse la fedeltà di Omnod, perché da quella dipendeva la vita di tutti.

Nonostante il tempo stringesse, Saaràn attese pazientemente.

Non voleva mettergli fretta, perché poteva essere l'ultima cosa che avrebbe mai fatto.

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