23) RICOGNIZIONE

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Restando inerte davanti a Omnod, sebbene il solo ripensare alla violenza subita dalla moglie e dalla figlia gli facesse ribollire il sangue, Saaràn dovette fare forza su se stesso e controllarsi.

Voleva capire se poteva fidarsi di quel giovane Un, oppure se doveva conficcargli subito in gola il pugnale.

Attese fremendo, una risposta che non tardò ad arrivare.

"Perché sospetto che il Khan non si fidi di me" disse Omnod di getto, distogliendo lo sguardo dal Naaxia.

Saaràn meditò per un momento sulle sue parole, poi si sedette al suo fianco.

In effetti il ragazzo aveva di nuovo ragione.

Se Kutula gli aveva messo alle costole quello sciocco Scengun senza esperienza, era perché, per un motivo o per l'altro, Kutula non voleva averlo tra i piedi.

Ma perché? si domandò. Fece una smorfia di disappunto.

In quella situazione surreale, tutto era maledettamente ingarbugliato e poco chiaro.

"Credo che il Khan non si fidi più di nessuno, ragazzo mio" gli disse poi in modo confidenziale, prendendo da terra un pezzo di coniglio già spellato dal soldato e facendolo a pezzetti con il pugnale.

Il ragazzo lo guardò incredulo, fissandolo quasi volesse dire ancora qualcosa, ma il Naaxia evitò tenacemente il suo sguardo, tenendo il proprio fisso sulla carne che tagliava con cura eccessiva.

Non aveva più voglia di parlare.

Lentamente mise i pezzi tagliati a cuocere nella pentola come se niente fosse e si guardò attorno.

La sua piccola tribù era tutta lì: un giovane Un, un servo Taiciuto al lavoro accanto alla stanga, Helun che gli stava accanto e Gerel che accarezzava piano Filli.

Sospirando capì che era a loro che doveva pensare ed era per loro che doveva agire per il meglio.

Voleva fidarsi di quello che Omnod gli aveva riferito, eppure qualcosa nel racconto del ragazzo non tornava e lo lasciava insicuro sul da farsi.

Cosa ci facevano lì degli Un?

Il dubbio lo tormentava e la schiena ancora affaticata gli doleva per gli strapazzi degli ultimi giorni.

Inoltre non era abituato a parlare così a lungo ed era stufo di udire la propria voce.

Era stanco di non sapere con esattezza quello che stava succedendo, così pulì con calma la lama del pugnale nell'erba e lo rinfoderò nello stivale.

Lasciando solo uno stupito Omnod, Saaràn si alzò senza dirgli un'altra parola e andò verso Monglik.

Il Tarpan era ancora sellato ed era fresco dopo il riposo notturno.

Scalpitava, dilatava le froghe, fremeva per cavalcare ancora con lui. Quando lo vide avvicinarsi a lui, nitrì.

Il Naaxia abbozzò un sorriso e quando lo raggiunse lo accarezzò lungo la criniera spelacchiata.

Controllò attentamente che la sella del Taiciuto non gli avesse ferito la pelle e finse di controllare i finimenti.

Alle sue spalle arrivava ininterrotto il cicaleccio delle donne che si intrecciava alla voce roca del Taiciuto e questo lo infastidì.

Poi dal focolare udì la risata di Omnod rispondere a una battuta di Uleg e se ne sentì oppresso. Fu troppo.

Improvvisamente a Saaràn mancò l'aria.

OCCHIO LIMPIDODove le storie prendono vita. Scoprilo ora