ASHLEY

Mille spilli penetrano nel mio cranio, apro gli occhi a fatica. Il telefono squilla imperioso, m'intima di alzarmi subito.

Allungo un braccio e lo zittisco. Ho le gambe di pastafrolla, i muscoli inesistenti.

Dannato Jean... è insaziabile. Mi ammazzerà.

La testa inizia subito a fare male. Il telefono riprende a squillare, stavolta lo porto all'orecchio, «...'nto?»

Spalanco di botto gli occhi, le palpebre fanno male. Emerson!

Capisco poco, solo che è qui. E il cervello mette a fuoco i passi da eseguire: bagno, biancheria, vestiti, caffè, macchina, aeroporto.

«Resta lì, arrivo.»

Scendo sul parquet, sono nuda ma non importa. Volo nel bagno a vestirmi, è già tutto lì, lasciato la sera prima, come sempre.

Slip, jeans, maglietta, anfibi e sono pronta.

Corro in cucina, ho bisogno almeno di un caffè. C'è Jean, e mi fermo ad ammirare il suo corpo alla luce del mattino. Mi tornano in mente tutte le cose che abbiamo fatto stanotte. Cose che non posso dire a voce alta.

Arrossisco appena, saluto di corsa e bevo il caffè in piedi, poi faccio per uscire.

«Sono stato così pessimo da farti fuggire in questo modo?» chiede.

Se ne sta seduto col giornale in mano e la tazzina di caffè nell'altra, dà l'impressione di essere un vero dandy.

Senza mezzo straccio addosso, ma comunque un dandy.

Quasi gli invidio i ricci sciolti che gli sfiorano il ventre. Il rame viene fuori ogni volta che il sole li colpisce, e rimarrei qui con lui, ma ho una cosa più urgente da fare.

«Emerson... la mia amica, è venuta a Roma. Devo andare a prenderla a Fiumicino, poi la porto a casa», spiego.

«Oh, ok. Quando ritorni?»

«Non ne ho idea.»

Lui annuisce, torna al giornale e al caffè.

Infilo le chiavi nella borsa, tocco il pomello ma Jean mi chiama di nuovo. Alzo gli occhi al cielo, mi volto e ho il suo viso a un centimetro, le labbra sono vicine, troppo.

Il bacio viene quasi automatico. Sa di sesso e caffè, sento qualcosa agitarsi in me.

Ci separiamo, i suoi occhi sono nei miei, «Non te ne vai senza salutarmi per bene

L'aeroporto di Fiumicino è sempre molto affollato, ma oggi è come se l'intero mondo si sia dato appuntamento qui, tutti alla stessa ora

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L'aeroporto di Fiumicino è sempre molto affollato, ma oggi è come se l'intero mondo si sia dato appuntamento qui, tutti alla stessa ora.

Decine di persone si muovono in ogni direzione, interi gruppi vanno tutti comicamente verso lo stesso punto, obbedendo agli ordini degli altoparlanti come tanti soldatini.

Ho ancora molto sonno, non so come sono riuscita a guidare fin qui, con tutto il traffico del Grande raccordo anulare. Ma dov'è che devo vedermi con Emi?

Vedo l'uscita e mi avvio verso quella parte. Il suo volo risulta atterrato da un pezzo, ma di Emerson nessuna traccia.

Ma dov'è andata?

Guardo a destra e a sinistra, c'è troppa folla qui, non riesco a vederla. E non sono neanche abituata, sento l'aria iniziare a mancarmi, mi gira la testa.

Non sono più abituata alla gente.

Il cuore pompa troppo forte, la testa inizia a pulsarmi, so che avrò un gran mal di capo quando uscirò da qui.

E invece no, perché all'improvviso la vedo.

«Emi!» La mia voce è strozzata.

Riconoscerei quei ricci rossastri ovunque! Mi sente, si volta, mi vede. I suoi occhi sorridono insieme alla bocca, inizia a zoppicare verso di me.

Possibile che è venuta fin qui a quelle condizioni?

Le vado incontro, l'abbraccio che ci scambiamo sa di casa. Odora ancora di lavanda e fiori freschi, proprio come quando eravamo bambine e alla scuola di danza tirava fuori dalla borsa il tutù immacolato.

«Dove sei stata finora?» chiedo.

«A Melbourne, ma ho mandato in giro la voce di essere partita per il mondo», caccia la punta della lingua, «Remi è sempre stato con me.»

Mi guardo attorno. Non vedo Remi, il suo partner fisso di ballo. Non se ne separa mai.

«E come mai non è qui?» Riconosco quello sguardo, «Non sa che sei qui, giusto?»

«Sì, confesso, ma... Lily, cerca di capirmi... Remi voleva mettermi a dieta

Spalanco gli occhi, «A... dieta? Te?»

Ma se è magrissima, più di me.

«Ho messo cinque chili durante la convalescenza, vedi?» Con due dita, cattura un sottile lembo di pelle sulla pancia, «Ma non me ne frega niente, io sto bene. È lui che rompe. Vuole che torni a danzare, ad allenarmi, fai almeno lo stretching, devi tenere i muscoli in allenamento, gne gne gne...»

Dire che sono basita, è poco. Io sto affrontando le conseguenze che mi ha lasciato mia madre, e questa qui... mobilita mezza Melbourne perché non vuole mettersi a dieta.

Scuoto la testa, «Dovresti avvertirlo.»

«Scherzi? Sono scappata a gambe levate, da lui e dalla gente. Tutti a parlare di me stavano, tutti a farsi i fatti miei. Quanto mangio, cosa prendo al supermercato, i confronti del mio corpo con lo scorso anno... poi i social, ah! Parliamone!»

«No, meglio di no.»

Se sapessi cosa stanno dicendo a me...

Un sorriso le illumina il viso, i denti la fanno somigliare a un grazioso castoro, «Quando mi presenti i tuoi amici?» Lo chiede come se nulla fosse.

Amici... un tantino riduttivo.

«Oh, beh... oggi, credo. Abbiamo le prove, se vuoi puoi venire.»

Non vede l'ora, le si legge in viso, «E il tuo ragazzo c'è? Sono proprio curiosa di conoscerlo!»

«Figurati se quello non c'è. Il tuo bagaglio è...?»

Emi guarda in aria e indica lo zainetto glicine che ha sulla spalla, «Ehm... sì, ho solo questo

Non è cambiata, è rimasta l'incosciente che conoscevo. Come hanno fatto ad accettarla in una compagnia di balletto classico?

Inspiro a occhi chiusi, «Ce l'hai almeno un cambio di intimo?»

«Beh, sì, certo,» è stupita, «almeno quello l'ho portato.»

Almeno quello.

«...va bene, ho capito.» Ho bisogno di massaggiarmi la nuca, altrimenti sento che il mio mal di capo si ripresenterà a breve. Per colpa sua.

Le faccio cenno di seguirmi, «Andiamo, ti porto al centro commerciale.»

Povera me.

Povera me

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