NEREO

Guardo l'orologio e sbuffo per l'ennesima volta. Stamattina sono stato costretto a servire in cassa per tutto il tempo, non vedo l'ora di andarmene.

Per fortuna il turno è quasi finito, tra poco filo a prendere Alexi a scuola e la porto a mangiare al fast food, come tutti i venerdì.

Oppure... potrei portarla al centro commerciale a Laurentina.

Il telefono squilla, s'intromette come sempre fra me e me stesso. Che palle, pure a quest'ora chiamano...

«Cassa Rurale, buongiorno», aggrotto le sopracciglia, «Jean, che succede?»

«So che vuoi portare Alexi a mangiare fuori come sempre, ma primo pomeriggio ci vediamo in sala? Forse c'è Ashley, almeno proviamo qualcosa.»

Sospiro. Addio centro commerciale.

«Va bene, ma stavolta devo portare la pupa, altrimenti chiama il telefono azzurro e me la tolgono per abbandono di minore», dico.

«Ci fa sempre piacere avere la nostra mascotte tra noi!»

Lo saluto e mi stufo. Spengo il pc, vado verso l'uscita, fa troppo caldo per la giacca e vado a prenderla a piedi. La scuola è a due isolati, mi fa piacere passeggiare in un posto popolato dai bambini che tornano a casa.

Li guardo venirmi incontro, gruppi di ragazzini sorridenti, sdentati, i tempi andati mi tornano alla mente: la scuola, i bei voti, i pomeriggi a giocare ai videogiochi, le serate passate tra jam session nei locali.

E Nadia.

Il senso di colpa è arrivato in men che non si dica, ma non voglio farmi vedere così da Alexi, quella sente tutto. Devo riuscire a scacciare il pensiero.

Arrivo poco distante al cancello della scuola, e... diamine, c'è il solito gruppo di milfone che mi spolpano con gli occhi quando vado a prendere la bambina.

Queste qui mi fanno sentire un oggetto, non hanno il minimo ritegno.

Le saluto con la mano per pura cortesia, ma rimango a distanza. Meglio non dare troppa confidenza, non si sa mai.

Sento la campanella suonare all'interno, per fortuna, così non avranno spazio per avvicinarsi. Una volta, una rampante quarantenne si avvicinò, con tutta la mercanzia esposta. Non amo quel tipo di donna, preferisco un tipo più acqua e sapone.

Come Emerson.

Una marea umana di bambini esce dall'ingresso, si riversa al cancello, qualcuno resta nel giardino a giocare e deve essere riacchiappato dalla propria madre.

Vedo la testa bionda di Alexi saltellare verso di me, i codini si muovono a ritmo, mi prende la mano. Sa già cosa l'aspetta.

La guardo, sorrido.

«Vuoi hamburger e patatine, o preferisci una bella insalata?»

Lei mette un broncio su questa faccetta da schiaffi, «Oh, no, papà! Panino!»

Abbiamo mangiato, Alexi si è divertita un po' alle giostre e ora siamo qua, appena parcheggiati di fronte alla saletta

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Abbiamo mangiato, Alexi si è divertita un po' alle giostre e ora siamo qua, appena parcheggiati di fronte alla saletta.

«Ti ricordi di mettere le cuffie solo quando arrivano tutti?» Guardo mia figlia, lei annuisce. I suoi occhioni azzurri sono tutti per me, la boccuccia è una linea dritta, seria. Mi fa morire quando fa così, l'impegnata.

La prendo in braccio quando siamo di fronte alle scale, scendiamo più veloce, e ci affacciamo sulla porta della saletta due. C'è Jean, dentro. Sta seduto sulla pedana della batteria, rimango un po' di sale.

«Ci sei solo tu?» Jean annuisce alla mia domanda, poi allunga le braccia verso Alexi.

«Perché non vieni in braccio a zio e gli dai un bacino?» La prende, strofina il naso con quello di lei, che afferra una ciocca di capelli, un'altra e tenta di fargli una treccia, senza esito. I ricci di Jean sfuggono, le fanno il solletico sulle guance.

Tempo due minuti e si stufa, come sempre. La lascia scendere e va sul divano, tira fuori dei pacchetti di figurine e inizia ad aprirli.

«Ancora fanno quei cosi?» chiede Jean.

Sollevo le sopracciglia, «Per fortuna. Almeno non si annoia. Dobbiamo montare qualcosa?»

«No, io sono arrivato in anticipo sperando d'incrociare Ashley. Ha mandato un messaggio a Seth e sembra che oggi voglia provare...»

«Da che ora sei qui?»

Ci mette qualche istante a svelarmelo, «Dalle dieci e mezzo.»

«Alla faccia dell'anticipo!»

Il suo sorriso mesto mi lascia un po' dispiaciuto per lui. Jean è un forte, non lo vedevo così da almeno un anno. Si volta di scatto, io guardo oltre le sue spalle.

Qualcosa ha attirato la sua attenzione.

«Che c'è?» domando.

Scuote il capo, abbassa lo sguardo sulle sue scarpe, «Niente. Mi sembrava che... volevo essere sicuro che nessuno ci sentisse.» Sistema i capelli dietro la nuca, li scioglie e li cattura di nuovo nel mollettone, «Sono stato a letto con Cass.»

Devo aver capito male. Sì, per forza.

«Scusa?» chiedo.

«Sono stato a letto con Cass, ho detto.»

...non posso crederci. Veramente, non posso crederci. Sta scherzando, per forza. Studio il suo sguardo, ma mi rendo conto che è serio.

Ora capisco il suo imbarazzo, e... onestamente, sono imbarazzato anche io. Ma non mi sento proprio nella posizione di poterlo rimproverare, anche perché Jean è libero, Cass pure... che cosa gli devo dire, io?

«Oh. E... come...»

«Com'è stato?» M'interrompe, «Strano. Ash mi ha rifiutato ed ero distrutto, avevo bisogno di... beh, sai come funziono.»

«No, volevo sapere Cass, come sta.»

Lui arriccia le labbra, «Bene. Oh, chiariamoci subito, è stato consensuale. Non le farei mai del male, eh.»

«Ma sì, figurati.»

«Ha ceduto per evitare che andassi a cercare sesso da mezzo mondo, immagino. Per me è stato come farlo con me stesso, come se fossi completo.»

Un momento di silenzio. Non ha tutti i torti.

«Avete lo stesso trauma», commento.

«Sono certo che il motivo sia questo.»

Dei passi si avvicinarono, ci lanciamo un'occhiata prima di separarci e fare le nostre cose. Seth si affaccia sulla porta, ci saluta e si avvicina al basso sul treppiedi.

«Appena arrivano gli altri, iniziamo.»

»

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