NEREO

La chiave gira nella toppa senza ostacoli, la porta si apre sotto la mia mano.

«Prego, da questa parte.»

Dietro di me, quelli che sembrano alieni avvolti in tute bianche.

Li osservo fare il loro ingresso nell'appartamento di Leon, infilo le mani in tasca per mascherare il disagio.

Mi sento come se stessero violando una mia proprietà.

Un colpo di tosse attira la mia attenzione. Mi raggiunge un uomo sulla trentina, è davvero semplice indovinare la sua identità.

«Fabio», dico, «stavolta non siete riusciti a proteggerlo.»

Mi affianca, mi offre una sigaretta, rifiuto, la sua mano guantata torna sotto la giacca a vento scura. Gli occhi tradiscono una certa irritazione, la bocca è una riga, tesa come corda di violino. Aver perso Leon è una sconfitta, hanno fatto qualsiasi cosa per proteggerlo, fin da bambino.

Annuisce con aria grave, «Dobbiamo raccogliere tutte le sue cose. Sono delle prove.»

Abbasso la testa. Non riesco a tenere per me la domanda, devo farla. Con questi qui, tutto è possibile, e io ancora spero che sia tutta una farsa.

«Leon è morto davvero?» chiedo.

Fabio resta in silenzio. La sua mano va dietro il collo, «Non siamo riusciti a proteggerlo, mi dispiace. La sua relazione gli ha fatto abbassare la guardia, e quando se n'è andato...»

«Io gliel'ho detto, giuro, ho provato a...»

«Nereo, non devi fartene una colpa.» Si guarda attorno, ha una strana consapevolezza negli occhi, «Leone si era stancato, ha voluto vivere per qualche giorno come un ragazzo normale. Non posso nemmeno biasimarlo, chiunque avrebbe voluto la stessa cosa.»

Dalla libreria, un uomo gli fa cenno.

«Scusami.»

Se ne va, lo seguo con lo sguardo. Davvero sa dirmi solo questo? Davvero?

Stringo i pugni.

Quindi... è così. Non rivedremo mai più Leon, è una conferma definitiva.

Abbasso la testa, non voglio che vedano le mie lacrime.

Tutti escono, hanno finito di rovistare in casa sua, mi sento meglio

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Tutti escono, hanno finito di rovistare in casa sua, mi sento meglio.

Mi tengo in disparte, loro parlottano, io non riesco a stare in mezzo alla gente. Non adesso.

Sospiro.

Mi sembrano così lontani, così alieni. Ma è normale, sto vivendo un dolore che solo gli altri quattro possono comprendere.

Anzi, no, nemmeno. Io e Leon avevamo un rapporto diverso, a me aveva raccontato tutto.

Mi rendo conto tardi che Fabio mi sta guardando. I suoi occhi sono biglie di vetro senz'anima. Mi aspetta sulle scale, del resto anche lui voleva bene a Leon.

«L'hanno presa male, eh?»

Alzo le spalle, «Come qualsiasi persona a cui muore qualcuno di morte violenta.»

«E quella ragazza, come si chiama... insomma, come sta?»

«L'abbiamo ripescata abbracciata alla lapide sotto la pioggia, te che dici?»

Non so se mi guarda perché sono stato sgarbato, o per la notizia in sé. Alzo una mano, «Scusa, tu non c'entri niente.»

«Sì e no. Mi dispiace.»

Per fortuna, gli passa la voglia di parlarmi. E per fortuna, arriviamo all'androne, anche se quelle scale mi sembrano la discesa verso l'inferno.

L'aria pura mi toglie di dosso la sensazione di essere in apnea, uscire mi fa bene, vedere le luci della sera, altra gente che gira...

«Noi rientriamo», dice l'ispettore, «Nereo, se hai bisogno di qualcosa...»

«Lo so. Grazie.»

Sono obbligato a rivolgergli un sorriso, lui con me è stato sempre molto gentile, e anche ora non si fa parlare dietro. Si allontana con difficoltà, dal suo sguardo capisco che non si fida a lasciarmi solo. Del resto, Leon era il mio migliore amico.

Giro le spalle, cammino e mi tuffo dietro al primo angolo. Mi fermo, torno sui miei passi e mi sporgo.

Non c'è più nessuno.

Devo sapere.

Torno indietro, tiro fuori dalla tasca la chiave di riserva di casa di Leon. Tento di sopprimere il ricordo del momento in cui me l'ha affidata, non devo farmi bloccare ora. Scavalco gli scalini due a due, sono di nuovo di fronte alla porta.

Aggirare i sigilli non è un problema. Apro.

L'appartamento di Leon è buio come l'abbiamo lasciato, e in un primo momento scelgo di farmi luce con il telefonino. Questo posto è spettrale ora che lui non c'è, ma non mi lascio fermare.

Vado verso la sua stanza, e solo lì accendo la luce. Il letto è ancora sfatto, com'è stato lasciato quel mattino da Cass. Sul cuscino ci sono ancora un paio di capelli rosso fuoco.

Inspiro forte, apro l'armadio e rovisto tra gli abiti rimasti.

Mi mordo le labbra, le lacrime devono rimanere dentro la mia testa, devo pensare a qualsiasi altra cosa e inizio a canticchiare una delle ninne nanne che cantavo ad Alexi quando era piccolissima. Apro un cassetto, un altro, un altro ancora, ed eccolo lì.

Un album di fotografie.

Lo apro con cautela, ho quasi paura di strapparlo tanto è vecchio. Le foto della famiglia Martinelli vedono la luce dopo non so quanto tempo.

Mi fermo su un'immagine particolare: due bambini identici, i capelli biondi oltre le spalle, gli occhi verdi strizzati da due sorrisi sdentati.

Dietro di loro, un uomo dallo sguardo sicuro che sembra voler trafiggere il fotografo, gli abiti eleganti, scuri, i capelli raccolti in un codino.

Suo padre.

Per colpa tua, Leon ha vissuto una vita di merda.

Chino il capo, alla fine le lacrime escono di prepotenza.

Chino il capo, alla fine le lacrime escono di prepotenza

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