JEAN

«Non capisco cosa le stia succedendo», dico, «è sparita, non ha risposto al telefono, mi ha solo scritto che... non ce la fa

Se non ci fosse il muretto a sostenermi, adesso sarei seduto a terra, fregandomene dei pantaloni. Io che sono così attento all'apparenza, ho sempre trattato i miei abiti con la massima cura, adesso li avrei sporcati senza il minimo rispetto.

Gli abiti che mi ha comprato papà.

Cass sospira, butta fuori aria dalla bocca, «Non so cosa dirti... io dormivo già, quando è rientrata. Non so come aiutarti, mi dispiace.»

«Non è colpa tua, se solo si aprisse due secondi, se solo mi parlasse...»

Lei alza le sopracciglia.

«E allora? Vogliamo iniziare?» Eros ci interrompe.

Negli ultimi tempi, riesco a sopportarlo sempre meno. Vorrei... davvero, vorrei avere la possibilità di mettergli una mano in faccia. Come quella volta a scuola, quando Seth venne bullizzata. Ma Eros è molto peggio di quattro stupide oche.

«Prima o poi, lo ammazzo», sussurro.

E poi, un rumore che rimescola tutte le carte nella mia mente. Questa è...

Mi alzo di scatto, tendo il collo. C'è la macchina di Ashley, la sua guida mi sembra più spericolata del solito. Arriva, frena di colpo, scende e neanche ci saluta, sembra non vederci.

Noi, invece, la vediamo benissimo. I miei occhi escono fuori dalle orbite.

«I tuoi capelli...» mormora Cass.

Non le risponde nemmeno. Ora o mai più.

Le sbarro la strada, «Io e te dobbiamo parlare.»

«Sei sicuro?»

Cass se ne va, ci lascia soli.

«Voglio che tu ti apra con me, che mi parli. Perché questa cosa?» indico i ciuffi biondi che le sono rimasti sulla testa, «Perché sparisci di notte senza dirmi niente? Perché mi eviti?»

Lei rovescia gli occhi. Non l'aveva mai fatto, con me, «Davvero non ci arrivi?»

Usa un tono sprezzante, mi ferisce. Lo sta facendo apposta? Vuole ferirmi?

«Jean... è finita. Ho cercato di fartelo capire, ma sei così ossessivo...»

«Non provare a scaricare i tuoi problemi su di me!» grido, «Tu non accetti la morte di Leon e stai reagendo come una ragazzina. Che cosa significherebbe questa cosa? Che cosa sei, un manga, che soffri e ti tagli i capelli da sola?»

«Come ho preso io la morte di Leon non sono fatti tuoi, chiaro? La mia vita non ti riguarda più, mettitelo in testa.»

La trapasso con lo sguardo, ho una rabbia addosso che spinge per uscire da ogni poro. Devo stare calmo.

«Ashley», cerco di contenere il tremolio della voce, «questo è un momento difficile per tutti. Ma non ti devi permettere di trattarmi così, io non sono il tuo vomitorio, chiaro?»

«Io non ti amo più», lo sputa con disprezzo, «non siamo compatibili.»

Sbotto a ridere. Cosa crede di fare, questa qui?

«Tu vorresti manipolare me? Tu? Davvero, Ashley?» mi asciugo una lacrima, «Sai bene che non è vero, e se non fosse morto Leon tutto questo non sarebbe successo.»

«Smetti di parlare di lui!»

La osservo meglio, ha le braccia ancorate al busto, come se volesse difendersi da me. Non si è mai comportata così, con me.

Stavolta me la sono proprio giocata.

Mi sento triste, dal basso arriva una sensazione antica, una vecchia amica che mi apre il petto, esce fuori e mi trascina con sé, nell'oscurità del caos che ho in testa. Mi dice che sono sbagliato io, che la colpa è mia, che sono un essere indegno.

No, non devo caderci.
Devo resistere.

«Ashley... che ti devo dire. Se non te la senti, la chiudiamo qui. Non posso costringerti, anche se non ti credo.»

La sua espressione mi stupisce, vorrei rimangiarmi tutto ma... è tardi, ormai.

Con gli occhi bassi, lei mi supera ed entra in saletta, i passi sfumano mentre scende le scale.

Non riesco a seguirla. Tiro fuori il telefono, chiamo un taxi e inizio ad andare via. Arriva fra dieci minuti.

Il tempo di arrivare nella piazza principale, dove gli ho detto.

Mani in tasca, sguardo alto, la testa piena di pensieri, e mi torna in mente lei, gli occhi che mi hanno appena guardato in quel modo.

Era triste.

Era triste

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