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Il mattino dopo sentii qualcosa che mi premeva contro la spalla sinistra. Cercai di spingerlo via, ma lui insisteva.

"Clive, piantala, stronzetto" farfugliai, nascondendo la testa sotto le coperte. Sapevo che non l'avrebbe piantata finché non gli avessi dato da mangiare. Quella bestia era schiava del suo stomaco. Poi sentii una risata umana... era grave e certo non apparteneva a Clive.

Aprii gli occhi di scatto, e di colposo mi tornò il ricordo della notte precedente: lo spavento, la torata, le coccole. Allungai il piede destro all'indietro, facendolo scivolare sul letto finché non sentii qualcosa di caldo e peloso. Anche se a quel punto ero sicuro che non si trattasse di Clive, lo tastai con l'alluce, salendo lentamente finché non sentì un'altra risatina.

"Mr Sbatticuore?" mormorai, deciso a non girarmi. Per onor di cronaca, ero spaparanzato su tutta la superficie del letto, con la testa da una parte e i piedi dall'altra.

"L'unico e il solo" mi sussurrò all'orecchio una voce celestiale.

Le mie dita dei piedi e lo Zayn Sotto la Cintura si contrassero. "Merda." Rotolai sulla schiena per constatare il danno. Lui era raggomitolato nell'angolo che gli avevo lasciato. Le mie abitudine di condivisione del letto non avevano fatto il minimo passo avanti. "Certo che ne occupi, di spazio" disse lui, sorridendomi da sotto il pezzetto di coperta afghana che glia avevo lasciato. "Se lo facciamo di nuovo, dovremmo stabilire alcune regole di base."

"Non succederà più. È stata la conseguenza di un film pauroso che hai voluto affligere a entrambi. Niente più coccole" dichiarai con fermezza, chiedendomi quanto fosse orribile il mio alito dopo la notte di sonno. Mi misila mano davanti alla bocca, respirai, e diedi un'annusatina veloce.

"Rose?" chiese lui.

"Ovvio" dissi, con una smorfia.

Lo guardai, spettinato in quel suo modo irresistibile e sdraiato sul mio letto. Lui fece il suo solito sorrisetto, e io sospirai. Per un attimo mi concessi la fantasia in cui in un lampo mi trovavo scaravoltata sulla schiena e scopata senza ritegno, ma presto ripresi il controllo del mio ragazzaccio interiore.

"E se stasera avrai paura?" chiese, mentre mi sedevo e mi stiravo.

"Non succederà " ribattei da sopra la spalla.

"E se dovessi avere paura io?"

"Cresci,ragazzino. Andiamo a fare in caffè, che devo andare al lavoro." Lo picchiai con il cuscino. Lui scivolò fuori dalla coperta, piegandola bene e portandola con sé in cucina, dove la posò con delicatezza sul tavolo. Sorrisi, pensando a quando la notte prima aveva pronunciato il mio nome. Cos'avrei dato per sapere cosa gli passava per la testa.

In cucina ingaggiammo un lento balletto, macinando chicci, misurando il caffè, versando l'acqua. Io preparai lo zucchero e la panna, mentre lui sbucciava e tagliava a fette una banana. Io versai nelle ciotole i cereali, lui il latte e la banana. Nel giro di pochi minuti, eravamo seduti un oaccanto all'altrosugli sgabelli, a fare colazione come se fosse un'abitudine. Quella sensazione di familiarità mi sorpeendeva. E mi preoccupava.

"Cos'hai in programma per oggi?" chiesi, pescando una cucchiaiata di cereali.

"Devo passare all'ufficio del 'San Francisco Chronicle.'"

"Stai lavorando a un articolo per il giornale?" chiesi, sorpreso dall'ansia che mi trapelava dalla voce. Dunque sarebbe rimasto per un po' in città? Perché mi interessa? Oh, cavolo.

"Devo dedicare qualche giorno a un servizio sulle gite nella Bay Area... escursiomi per un weekend e cose del genere" rispose con la bocca piena di banana.

"Quando parti?, Chiesi, esaminando l'uva passa nella mia ciotola e cercando di non sembrare troppo interessato alla sua risposta.

"La prossima settimana. Martedì" rispose lui, e il mio stomaco si strinse. Quella settimana saremmo dovuti partire per andare a Tahoe. Perché, santo cielo, il mio stomaco era tanto interessato al fatto che lui non sarebbe venuto?

"Capisco" aggiunsi, di nuovo ipnotizzato dall'uva passa.

"Ma finirò prima di Tahoe. Avevo pensato di andarci direttamente, quando finisco di scattare" mi disse, guardandomi da sopra il bordo della tazza di caffè.

"Ah bene, ottimo" risposi con calma, ormai flagellato dalle fitte allo stomaco.

"Tu quando vai a proposito?" chiese, come se fosse a sua volta assorbito dalla propria ciotola.

"I ragazzi partono giovedì cone Neil e Louis, ma io devo restare in città a lavorare almeno fino a mezzogiorno del venerdì. Quel pomeriggio noleggiò una macchina e li raggiungerò."

"Non c'è bisogno che noleggi una macchina. Passo a prenderti io" propose, e io annuii senza una parola.

Detto questo, finimmo la colazione e guardammo Clivei seguire un baturrolo di lanuccio attorno al tavolo. Non parlammo molto, ma ogni volta che i nostri sguardi si incontravano, sorridevamo entrambi.

Pareti comunicanti - ZiamDove le storie prendono vita. Scoprilo ora