IAN POV
Ero di nuovo tra i tubi lerci del seminterrato della scuola. Ero di nuovo in compagnia di quella testa di cazzo di Nathan. Ero ancora incazzato nero e ferito da Jessica. La mia vita sembrava tutto un fottuto punto e a capo.
Ma almeno c'era la vodka.
-Allora ragazzi tra tre giorni ci sarà una grande festa in piscina mi ha detto Sam- parlò Ty.
Brad s'irrigidì al mio fianco credendo forse che avrei dato di matto, invece non mi scomposi di una virgola.
-Già per il compleanno della Packwood- confermò Nath bevendo un sorso dalla bottiglia trasparente come il liquido al suo interno.
Era strano sentirla chiamare per cognome. Io non lo facevo nemmeno quando le davo fastidio i primi giorni che la vidi. Quando il suo nome era solo quello di una sconosciuta come un'altra. Jessica Packwood. Nella mia testa avrei dovuto cominciarla a chiamare così per rendermi conto una volta per tutte che era finita. Jessica Packwood. Una ragazza come un'altra.
Quando l'alcool arrivò a me ne bevvi un lungo sorso. Ma continuai a non scompormi di una virgola.
-Voi verrete?- continuò il riccio lanciandomi un'occhiata da dietro i suoi occhiali.
-Amber vuole andare, lei e le ragazze sono amiche quindi..-
Brad non sapeva da che parte stare.
Se da quella della sua fidanzata super eccitata per il compleanno dell'amica e super entusiasta di partecipare alla festa o da quella del suo migliore amico messo al tappeto dalla festeggiata e per niente intenzionato a mettere piede alla suddetta festa.
-Certamente!- saltò su Nathan.
-Bere, donne, donne ubriache- elencò contando sulle dita prima di scoppiare in una fragorosa risata.
Dio, in tutta la mia vita giuro che di ragazzi come lui ne avevo incontrati pochi. E quei pochi che si erano trovati con me nella stessa stanza non erano finiti bene.
Tutti aspettavano la mia risposta. Sentivo la tensione nell'aria.
Ma non.mi.sarei. scomposto.di.una.dannata.virgola.
Potevo parlare di lei senza dare in escandescenza, potevo intrattenere una conversazione sulla sua diavolo di festa di compleanno.
-Io no- dissi solamente alzando lo sguardo.
-Sai.. non ti obbligo amico, ma è una festa. E sono sicuro che ti divertiresti- provò a convincermi l'occhialuto.
Se non fosse stato Ty, il piccoletto che in fin dei conti mi stava simpatico, lo avrei preso a pugni.
-Grazie amico, ma davvero. Questa volta passo- declinai tranquillo.
Sospirò ma non disse null'altro.
-Pensate che la faranno ubriacare o fare cose imbarazzanti?- chiese Nathan divertito.
Avevo solo voglia di fargli passare quel ghigno di merda sulla quella faccia di merda.
-Non credo, in fondo i diciotto anni li ha compiuti. Chissà cosa le avranno fatto fare l'anno scorso- sorrise Ty.
E in quel momento realizzai. Le ragazze sapevano che Jess era orfana. A eccezione di Helen forse, anche se con ogni probabilità era stata messa al corrente se non da Jess direttamente, da An o Sam.
La festa che stavano organizzando non era un semplice compleanno. Era LA festa. Dei diciotto anni. Diciannove in questo caso. Che non aveva potuto festeggiare come una normale ragazza.
Mi vennero in mente tutti gli scenari possibili. Jess ubriaca fradicia. Jess buttata in acqua con un salvagente a forma di papera. Jess che ballava da sola in mezzo alla pista. Jess accerchiata da ragazzi, forse spogliarellisti, che non vedevano l'ora di toccare il suo corpo...
-Cazzo- imprecai.
-Che succede?- mi chiese Brad girandosi.
Scossi la testa e loro tornarono a parlare.
Non dovevo andare a quella festa. Nemmeno se pensavo che avrebbe fatto qualcosa di ridicolo. Nemmeno nel caso in cui si fosse ubriacata fino a svenire. Nemmeno se pensavo alle mani degli spogliarellisti su di lei. Perché lei non mi apparteneva e io non avevo il diritto di pensarla diversamente. O di agire come se fosse sotto la mia responsabilità.
Io non sarei andato a quella festa.
Ad un certo punto sentii montare la rabbia. Non sapevo nemmeno il motivo esatto. Sapevo solo che un senso di impotenza mi stava attanagliando e non mi piaceva affatto la sensazione. Io ero quello che non aveva bisogno di aiuto. Ero quello che sapeva sempre come risolvere i problemi. Non me ne stavo a guardare. Io agivo. E sapere che questa volta non potevo fare niente mi prendeva il cuore e me lo stringeva fino a far fatica a respirare.
Mi alzai di scatto.
-Vado a fumare- annunciai andandomene.
Sentii solo i saluti, nemmeno più confusi, dei miei amici. Sapevano che a volte dovevo stare semplicemente per i conti miei.
Brad non venne con me e gliene fui grato. Avevo bisogno di stare solo con la mia sigaretta e le cose sarebbero andate meglio.
Girai l'angolo e mi ritrovai accecato dal sole. Camminai tastando le tasche e presi il pacchetto contenente l'ultima fonte di calma. Feci una smorfia e mi girai per tornare indietro e andarmene a comprare un altro quando il mio telefono vibrò. Lo presi fuori stizzito e guardai il mittente della telefonata.
Papà.
Già. Avevo pure salvato il suo numero.
Decisi di fermarmi a rispondere anche se avevo davvero bisogno di un pacchetto nuovo.
-Ehi papà-
Tornai a camminare in direzione del centro del cortile.
-Figliolo! Come stai?-
-Tutto bene grazie. Stanco. Tu e la mamma?-
Misi la sigaretta tra le labbra e presi l'accendino.
-Tutto bene anche noi. Non mi ricordavo così tanta gente a New York- rise.
Aspirai finalmente un tiro.
-Immagino siate stati molto impegnati-
-Già, da quando siamo tornati è stata una continua corsa. Questo è il primo momento di pausa che non uso per dormire o mangiare-
Risi un poco e feci un'altro lungo tiro. Ma la rabbia non passava, la sentivo solo lì messa da parte per qualche attimo.
-Hai quasi finito l'anno. Come vanno gli esami?-
-Mmmm- sbuffai il fumo.
-Bene, credo. Mi manca quello di letteratura e due di francese e biologia-
-Qual è stato l'ultimo che hai dato?-
-Matematica. È andato discretamente- risi e lui con me.
-Bene. La mamma ti saluta-
-Salutamela- Buttai il mozzicone e ripresi il pacchetto ricordandomi dopo con fastidio che era vuoto.
Mi passai le mani sui jeans e camminai avanti e indietro irritato.
-Senti Ian la nostra proposta è ancora valida- buttò fuori di d'un tratto.
Mi passai una mano tra i capelli cercando di riorganizzare i pensieri.
-Di venire a stare qui- spiegò calmo.
-Ah- dissi bloccandomi.
Non avevo voglia di pensarci in quel momento. Avevo già abbastanza casino in testa.
-Senti papà ti dispiace se ne riparliamo un'altra volta? Davvero ora non riesco a concentrarmi anche su quello-
Lui sospirò ma acconsentì e dall altro capo del telefono riuscii a sentire mia mamma borbottare.
-Ci penserò, promesso- dissi e non capii nemmeno perché volessi compiacerli.
-Certo, capiamo se hai bisogno di tempo-
Il punto non era quello ma non glielo avrei detto. Non avevo voglia di stare a spiegare l'uragano di pensieri che mi faceva scoppiare la testa. Non avevo voglia di niente.
Beh quasi niente. C'era una cosa che avrei voluto con tutto me stesso..
-Papà devo andare- dissi sentendomi di nuovo impotente e disarmato.
-Ci sentiamo-
-Ciao figliolo-
Riattaccai e cacciai il telefono nella tasca.
Subito mi sentii in colpa per aver chiuso così in fretta la telefonata, ma me la feci passare in fretta e ricominciai a provare.. niente in realtà.
Mi tirai i capelli sulla nuca stremato. Volevo una sigaretta per l'amor di Dio.
Mi diressi a passo svelto nel tabacchino della scuola e mi gettai dentro come un razzo.
-Marlboro gold. Da venti- dissi e la ragazza dietro al bancone mi guardò facendo scoppiare la gomma che stava masticando.
Poi con lentezza si alzò dalla sedia, si allungò sullo scaffale, prese il pacchetto e me lo porse continuando a fissarmi insistentemente.
Le lanciai i soldi appoggiando gli avanbracci al bancone mentre aspettavo il resto ma lei sembrava intenzionata a tenermi prigioniero di quel negozio per più tempo possibile.
-Che hai da fissare?!- chiesi burbero.
Solitamente non ero così con le donne, ma diamine volevo andare a fumare e quella dark mi stava facendo perdere tempo.
-Niente è che.. sembri sconvolto- alzò le spalle aprendo la cassa, mettendo i miei soldi e contando il resto.
Lo ero ma chissene importava.
Decisi di ignorarla e sbuffai ancora più spazientito.
Alzò lo sguardo, ma non su di me per fortuna, le ricadde alle mie spalle dove qualcuno era entrato e un ampio sorriso le incurvò le labbra.
Schiacciò i soldi sul bancone senza più fregarsene di me e prese un'altro pacchetto identico al mio.
-Ehi Abby, il solito-
-Già pronto Jess- rise.
Mi irrigidii fino a diventare una statua e mi incollai al pavimento. Non riuscivo a muovere un muscolo. Non di nuovo lei.
Mi si avvicinò e sentii il suo profumo. Intenso e indimenticabile. Ma annusarlo ora dopo tanto tempo mi fece malissimo.
Non mi riconobbe e si mise al mio fianco. Il suo minuscolo corpo che sovrastavo da sempre ora era caldo vicino al mio e mandava scariche elettriche senza che lei se ne accorgesse.
Quando girò il viso verso di me il sorriso le morì di scatto e le scappò un respiro tremante.
-Ian- sospirò così a bassa voce che mi trattenni dal chiudere gli occhi e piangere.
Sembrava così sexy il mio nome uscito dalle sue labbra. Ma il tono stupito e quasi spaventato con cui lo aveva pronunciato mi aveva distrutto. Non c'era nemmeno una sfumatura di quel calore a cui mi ero abituato.
Ma non mi sarei scomposto di una virgola.
Non mi sarei scomposto di una virgola cazzo.
Potevo parlare con lei. Potevo farlo e lo dovevo a me stesso.
Deglutii e la fissai.
-Jessica- dissi con la voce tranquilla e abbozzai addirittura un sorriso che mi fece male a tutta la faccia. La sua era tesa, con la bocca schiusa e gli occhi vitrei.
Provai l'impulso di rassicurarla e dirle che era tutto okay. Ma non lo era e non lo sarebbe stato presto. Decisi che non dovevo fermarmi a pensare o mi sarebbe crollata tutta la determinazione che avevo assunto in queste tre settimane.
Lei non riuscì a distogliere lo sguardo e io nemmeno. Ma mi obbligai a farlo. Non provava quello che stavo provando io.
Il mio cuore era a pezzi quando la guardavo mentre il suo probabimente apparteneva già a un'altro.
-Lo pago io- allungai altri soldi alla ragazza che ci fissava sbalordita.
Non sapevo nemmeno che si conoscessero e non immaginavo come una dark e Jess potessero trovare qualcosa di cui parlare.
-N-no, lascia- balbettò riprendendosi e agitandosi verso il bancone.
-Già fatto dolcezza- le strinse l'occhio Anny? Ally?
Lei sospirò e prese il pacchetto.
-Grazie allora-
-Figurati- raccattai il mio e lo infilai in tasca.
Non sapevo nemmeno perché avessi compiuto quel gesto. Dovevo odiarla e invece le pagavo le sigarette.
Dio quanto ero stupido.
La guardai metterle in borsa e quasi pensai che saremmo andati a fumare insieme sotto il nostro albero.
Illuso. Mi derise la mia coscienza. Non la misi nemmeno a tacere perché sapevo che aveva fottutamente ragione.
Mi voltai per andarmene ma appena misi fuori il piede dal negozio la sentii venirmi dietro.
-Ian- disse questa volta con più sicurezza. Ma sempre con un tono lontano e sulla difensiva.
Doveva smetterla di dire il mio nome così. Come se non lo avesse mai detto mentre i nostri corpi erano intrecciati nudi.
Presi un respiro e mi voltai con la mia facciata più neutra. Sperai fosse credibile.
-Io.. posso offrirti un caffè? S-sai per ripagarti- gesticolò.
Una scintilla di speranza si accese in me, ma la sentii spegnersi non appena vidi la sua faccia.
Si era pentita di quello che aveva detto appena le parole erano capitolate dalla sua piccola bocca.
Già, anche io mi pento di averti creduto per un singolo istante. Aver creduto che non mi avresti mai lasciato.
Davvero ero ridicolo. Risi di me stesso dentro di me. Ma che cosa pensavo? Di poter sistemare le cose e riavere la donna che, giurai su Dio, era quella della mia vita per quanto la avevo amata?
Sentii la pelle formicolarmi e il cuore pompare la rabbia per ancora quel senso di impotenza che mi stritolava.
Aprii la bocca per rispondere ma lei mi precedette.
-Forse.. non è-
-Una buona idea- finii per lei facendo un sorriso triste e stanco.
Lei mi guardò con gli stessi occhi ma non per la medesima ragione. Io ero stanco e triste di vivere senza di lei. Lei era così perché provava pena per me. O compassione. La compassione che lei diceva tanto di odiare era ora limpida sul suo viso.
-Ciao- dissi prima di scoppiare.
-Ciao- sussurrò.
Percorsi il corridoio a ritroso sentendo le paglie bruciarmi in tasca. Tutta colpa loro.
Il respiro irregolare mi ricordava quanto fossi stato stupito a sprecare i miei soldi per pagarle anche a lei. Ma non mi pentivo. Cazzo non mi pentivo affatto perché ogni volta che avrebbe aperto quel pacchetto le sarei venuto in mente io.
E odiavo ridurmi a questi giochetti. Solitamente mi sarei preso quello che volevo come avevo sempre fatto. Come avevo fatto anche con lei. Ma non riuscivo a sopportare anche solo l'idea di un suo rifiuto. Ero un uomo disperato. Disperato e ridicolo.
La testa mi faceva un male cane e volevo solo prendere a pugni qualsiasi cosa mi fosse capitata davanti.
Corsi in camera e sbattei la porta. Presi i libri che trovai sulla scrivania e li scaraventai a terra.
Non andava bene. Non andava per niente bene.
Mi misi le mani nei capelli e li tirai così forte che pensai si sarebbero staccati. Ma non successe.
Alzai gli occhi al cielo e mi sentii cadere all'indietro. Ma non successe nemmeno quello.
Immaginai che quella porta si aprisse ed entrasse la mia Jessica in lacrime pregandomi di perdonarla e sentendomi dire che stava una merda senza di me. Che non poteva vivere senza di me e che sarebbe voluta morire piuttosto che continuare a sopravvivere così. Come mi sentivo io. Lo desideravo così tanto. Ma non successe. Non successe niente di niente e caddi sul letto scosso da potenti singhiozzi.
Rivederla era stato un colpo duro. Ma parlarle mi aveva completamente steso.
Lei stava benone e io ero stato solo un incidente di percorso. Perché avevo troppi problemi di cui lei non poteva farsi carico. Lo aveva detto prima di mollarmi. Io non ero abbastanza. Lo aveva detto prima di mollarmi.
Quello era il punto. Mi aveva mollato e non sarebbe tornata indietro. Non mi avrebbe ripreso. Niente "felici e contenti" per noi. Per me.
-Fanculo!- sbottai nel silenzio della stanza.
-Fanculo- ripetei più piano.
Presi la catenella con mani tremanti e la appesi fuori dalla camera.
Non mi sarei fatto vedere in queste condizioni da Mike. Per nessuna ragione al mondo. Jessica mi guardava già abbastanza come se fossi un cane bastonato. Non mi serviva anche lo sguardo intenerito del suo migliore amico.
Chiusi la porta con un calcio e mi ci appoggiai sopra scivolando con il culo per terra.
Questa cosa mi stava distruggendo e non c'era via di scampo. Io lo sapevo. Sapevo che non dovevo rimettere il mio cuore in gioco così. Dio santo quanto mi odiavo. Quanto odiavo Jessica e quanto odiavo provare dei sentimenti.
Sentivo la mia virilità andare a puttane ogni volta che una lacrima mi rigava il volto. Ma in fondo che ne sapevano gli altri di quello che avevo vissuto io? Non avevano il diritto di giudicarmi.
E se invece quello sbagliato che si distruggeva per amore e piangeva fossi stato io? In fondo in fondo dovevo voler bene così tanto a me stesso che mi concessi il beneficio del dubbio. Perché avrei sfidato chiunque ad entrare nella mia vita per una settimana e a rimanerne indifferente.
E questo mi faceva incazzare. Perché io dovevo essere forte. Io dovevo essere in grado di superare qualsiasi cosa mi fosse capitata davanti. Da solo. Sapevo cosa si provava e dovevo combattere invece di starmene seduto a singhiozzare.
Sospirai e presi un respiro profondo. Mi alzai e asciugai le guance sulla maglietta. Andai in bagno e finiii per fissarmi allo specchio con gli occhi rossi.
Ripromisi a me stesso che non avrei più visto il mio riflesso così.
JESS POV
Non potevo credere di aver parlato con Ian. Di essergli stata a un centimetro di distanza e di aver sfiorato il suo corpo.
Lui era stato così freddo e calmo. Cosa che di certo non ero stata io.
Avevo cominciato pure a balbettare dannazione! Ma la verità era che mi aveva distrutta vedere con quanta facilità lui avesse ricominciato.
Invece di andarsene senza degnarmi di uno sguardo si era fermato al mio fianco e mi aveva sorriso. Non come mi sorrideva prima, no quell'amore era sparito, ma mi aveva dedicato quel meraviglioso gesto che su di lui era così perfetto.
Chiusi forte la porta alle mie spalle. Buttai lo zaino per terra e con le paglie in mano mi rifugiai in balcone.
Perché mi aveva pagato il pacchetto? Perché doveva essere così fottutamente fantastico anche dopo tutto quello che gli avevo fatto?
Vederlo compiere quel gesto mi aveva scaldato e distrutto il cuore nello stesso momento.
Presi una sigaretta e la accessi facendo un lungo tiro e chiudendo gli occhi. Sentii la testa leggera e le mie barriere si abbassarono per una tregua.
Per non parlare della mia assurda proposta di prendere un caffè insieme che lui aveva gentilmente declinato. Che mi aspettavo? Che accettasse felice e che avremmo risolto tutto? Che mi amasse ancora e che avremmo ricominciato?
Sentii male al cuore. Invece di odiarmi riusciva a fare gesti carini nei miei confronti e con una tale semplicità che mi illudeva quasi che fossimo amici e le cose tra noi non fossero un totale casino.
Non lo avrei mai capito. Ian era troppo per me. Non lo meritavo affatto e non meritavo nemmeno un suo sguardo, tanto meno un suo sorriso.
Dovevo essere felice per lui. Avrebbe trovato una ragazza perfetta come lui e sarebbe andato nel paese delle opportunità.
Alzai gli occhi al cielo trattenendo le lacrime che mi pizzicavano le iridi. Poi li riabbassai sul pacchetto e tirai su con il naso.
Ogni singola sigaretta che avrei preso da quel pacchetto mi avrebbe ricordato che lui non era più mio, che non potevo più sentire le sue braccia o la sua bocca, che non meritava i miei disastri ma una vita splendida come lui e che lo amavo maledettamente tanto.
Sentii le lacrime cadere una ad una sulla carta bianca.
Cazzo se lo amavo.

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Breathe
Roman pour AdolescentsCiò che è mio mi appartiene e non sono disposto a condividerlo con nessuno. Non sono disposto a condividerti con nessuno intesi? Quindi quando premerò le mie labbra sulle tue sarai mia. Mia e di nessun'altro