Chapter 83

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JESS POV
Mi alzai di scatto mettendomi seduta. Nel buio della camera solo il mio respiro ansimante spezzava il corso naturale della notte.
Chiusi gli occhi cercando di fare respiri lunghi e regolari, mi misi una mano sul petto trattenendo i singhiozzi che salivano potenti.
Le immagini mi scorrevano davanti in un turbinio confuso. Il prato, la buca, i miei. Il prato, la buca, i miei...
Mi presi i capelli tra le dita e li tirai leggermente obligandoni a smettere di tremare.
-Okay... okay. È tutto a posto- ripetei quando tornai a respirare normalmente.
-Tutto a posto-
Deglutii sospirando forte.
Negli ultimi mesi ero riuscita a perfezionare il mio controllo dopo un incubo. Quando mi svegliavo sapevo di potercela fare.
La porta si socchiuse in quel momento e vidi la testa del mio migliore amico sbucare.
-Ho urlato?- gli chiesi tirandomi le dita di una mano.
-No, ero in cucina e ti ho sentita muovere-
Annuii.
-Tutto okay?-
-Sì grazie-
-Bene, buonanotte-
-Notte-
Chiuse la porta silenziosamente e tornò in camera sua lasciandomi di nuovo sola.
Mike correva da me solo quando mi sentiva urlare, in quei casi quando riprendevo conoscenza non riuscivo a gestire la realtà. Era raro che succedesse, ma terrificante.
Mi allungai sul grande letto per vedere l'ora: 4.20.
Mi asciugai dal sudore che mi aveva imperlato la pelle e mi risistemai sotto le lenzuola. Abbracciai il cuscino e ripiombiai nel sonno, volevo solo dormire.
***
-Buongiorno Elliot. Il solito?- sorrisi al vecchietto davanti a me.
-Buongiorno a te cara, sì il solito-
-Arriva subito!-
Tra tutti i clienti abituali il mio preferito era in assoluto Elliott, un vecchietto arzillo e sorridente che da qualche anno era rimasto vedovo. A tenerlo occupato erano i tre nipoti di tre, cinque e sei anni che venivano a trovarlo ogni pomeriggio e il giardinaggio.
Era come il nonno che non avevo mai avuto, mi lasciava sempre mance esagerate anche se più di una volta gli avevo detto che non doveva.
Presi un canovaccio e ripulii un tavolo appena liberato mentre An faceva accomodare altri clienti vicino alla vetrata.
-Giornata impegnativa- mi disse Mike passandomi un vassoio.
-Così sembra- sorrisi.
Quando tornai da Elliott con il suo ordine lo vidi illuminarsi.
-Bambina non sai quanto tu possa fare felice questo vecchio uomo- rise battendosi una mano sul grande ventre.
-Quanto questo pancake ti può fare felice vorrai dire-
Rise di gusto assaporando il pancake e il caffè appena fatti.
Servii un'allegra famiglia seduta al tavolo cinque e per poco non caddi quando uno dei bambini si mise a correre intorno al tavolo.
Andò a sbattere contro la mia gamba ma riuscii a mantenere in equilibrio il vassoio.
-Scusa piccoletto- gli sorrisi e lui ricambiò rimettendosi seduto.
Dall'altra parte della sala sentii un bicchiere cadere e andare in frantumi. Mi girai per rimediare al danno ma An aveva già in mano scopa e paletta. Probabilmente si aspettava che di lì a poco sarebbe successo e a giudicare dalle urla della madre non era il primo bicchiere che la piccola peste del tavolo dieci rompeva.
- Buongiorno, desiderate fare colazione con il menù della casa?-
-Sì grazie, per due-
Sorrisi alla giovane coppia davanti a me e portai l'ordine al banco, poi tornai in sala a sparecchiare il tavolo dodici dove feci accomodare subito altri clienti.
Il locale continuò a riempirsi di famiglie nelle ore più tarde, fino ad arrivare all'ora di pranzo, quando vennero sostituite dagli impiegati che arrivavano dai loro uffici.
Il tavolo di Elliott era ora occupato da un gruppo di uomini in giacca e cravatta.
-Salve, posso portarvi qualcosa da bere?-
Loro alzarono velocemente lo sguardo su di me.
-Dell'acqua naturale per favore-
-Subito-
Mi fermai a prendere l'ordine di un altro tavolo prima di aprire le porte a vento della cucina e infilarmi nel frigo per recuperare due bottiglie di acqua.
-Voglio prendermi un anno sabbatico- disse Tony da dietro i fornelli.
-L'ora di punta è solo iniziata- chiusi l'anta con il fianco tenendo una bottiglia per mano.
Un gemito uscì dalla sua bocca prima che prendesse in mano tre biglietti con su scritti gli ordini e cominciasse a buttare la pasta nell'acqua bollente.
Non lo invidiavo. Fare la cameriera era duro, ma mai come fare il cuoco.
Per le due ore successive non feci altro che portare vassoi dalla cucina alla sala e viceversa, finché finalmente la gente non cominciò a tornare a lavoro ed ebbi un attimo di calma.
Gli uomini che avevo servito per primi si attardarono a leggere una moltitudine di carte sparpagliate sul tavolo e presero due caffè a fine pasto.
Stavo pulendo l'ultimo tavolo liberato quando mi chiamarono per il conto.
-Grazie per la pazienza e scusateci se ci siamo trattenuti più del previsto- mi sorrise uno allungandomi la carta di credito.
-Figuratevi. Il locale è vuoto e non avete disturbato nessuno, non avrei motivo di buttarvi fuori- sorrisi passando la carta.
-Inoltre vi ho visti molto impegnati- gliela restituii.
-Sì infatti, questo problema va avanti da mesi- mi rispose un altro alzando gli occhi al cielo.
-Sono sicura che troverete una soluzione-
Mi lasciarono una bella mancia e se ne andarono salutando educatamente.
Finii di sparecchiare e mi godetti il mio momento di pausa.  
Mi sedetti in cucina per mangiare gli avanzi che Tony cucinava in più per noi. Mi rilegai i capelli in una coda alta cercando di combattere il caldo che era arrivato prepotente a Londra. Presi fuori dal grembiule il cellulare e lo posai sul tavolo di fianco a me per leggere i messaggi di Sam che mi raccontava della sua vacanza con Drew. A quando pareva stava andando tutto a meraviglia.
Presi una caraffa, la riempii sotto il ribinetto e tornai al tavolo per versarvi un bicchiere d'acqua quando lo schermo si illuminò di nuovo con il simbolo della chiamata.
Rimasi a fissare il tasto verde inerme senza sapere cosa fare. Sentii il cuore correre nella gabbia toracica.
La luce lampeggiante continuava a segnalarmi l'arrivo della telefonata mentre io fissavo l'apparecchio senza il coraggio di prenderlo in mano.
Sentii una goccia cadermi sulle scarpe e mi accorsi che l'acqua era strabordata dal bicchiere fino a terra.
-Merda!- alzai la caraffa e la appoggiai sul tavolo.
Mi asciugai le mani nel grembiule e corsi a prendere due stracci, uno per asciugare il piano e l'altro lo buttai per terra.
-Che giornata stressante!- entrò An con uno sbuffo.
-C'è qualcosa da mang... ma che hai combinato?-
Mi guardò intenta a rimediare al casino che avevo fatto.
-Mi sono distratta- mi alzai da terra e buttai entrambi i pezzi di stoffa fradici nel lavello.
Quando ributtai l'occhio il telefono aveva smesso di squillare.
An prese il suo piatto e si mise accanto a me cominciando a mangiare.
-Hai sentito Sam? Ieri mi ha mandato delle foto stupende-
Cercai di rallentare i battiti.
-Sì, mi ha scritto dicendomi che va tutto bene-
-Dovremo fare presto quella serata che abbiamo in progamma, sono tutti in attesa- rise.
-Hai ragione-
-Oggi Elliott mi sembrava di buonumore- continuò allegra.
-Sì probabilmente con il bel tempo può dedicarsi totalmente al suo giardino-
-Che uomo strano- scosse la testa sorridendo.
-Sembra proprio quel..- la sua attenzione venne catturata dal mio cellulare che tornò ad illuminarsi.
-Jess..-
-Lo so- risposi guardando nella sua stessa direzione.
Ashton
-Non rispondi?-
Rimasi in silenzio.
Se Ash mi chiamava era per qualcosa di importante. Ma Ian era partito quindi cosa avrebbe potuto dirmi?
Dovevo rispondere. Sapevo di doverlo fare. Si trattava di Ian.
Ma la mia parte razionale non me lo permetteva.
-An non so cosa fare- dissi con voce tremante.
La luce si spense per la seconda volta.
Lei mi guardò.
-Penso sia una decisione tua-
Annuii continuando a tenere lo sguardo fisso sul telefono.
Si illuminò ancora.
Vidi gli occhi di An schizzare prima sul piano e poi su di me.
Deglutii.
Lo presi con mani inferme prima che smettesse di squillare un'altra volta.
-Pronto?-
Il tempo parve fermarsi. Tutto sembrò perfettamente immobile. Ma sapevo che di lì a poco sarebbe crollato.
-Grazie al cielo hai risposto-
Cercai di respirare strigendo il cellulare.
-Che succede?- chiesi in modo circospetto provando a mantenere la calma.
-Devo vederti. Oggi. Ti raggiungerò ovunque tu sia, ma per favore Jessica devi ascoltarmi-
Il cuore riprese a battere all'impazzata.
-Così mi spaventi Ash, è qualcosa di grave?-
-Dobbiamo parlare. È importante-
-Allo Starbucks in fondo a George Street-
-Sei in periferia?- sembrò sorpreso.
-C'era un appartamento libero qui-
Rimase in silenzio un istante.
-Oggi alle 6, per te va bene?-
Staccavo alle 5 quel giorno, mi bastava prendere l'autobus per arrivarci.
-Okay-
-Bene, grazie. A dopo-
-Ciao...- chiusi la chiamata in uno stato di shock. Il cuore mi martellava nel petto ma non riuscivo a muovere altro muscolo.
Solo quando sentii il bip continuo del fine chiamata abbassai il braccio e mi appoggiai al tavolo.
-Che cosa ha detto?- mi chiese An allarmata.
-Mi vuole vedere-
-Per cosa?-
Mi girai lentamente verso di lei con gli occhi sbarrati.
-Non lo so-
Lei annuì e mi accarezzò un braccio comprensiva.
-Se vuoi posso sostituirti oggi pomeriggio. Puoi andare a casa a prepararti-
-No. Devo lavorare. Non so come distrarmi altrimenti-
-Va bene-
Finì in fretta il suo pranzo e sparecchiò. Io non avevo più toccato cibo dopo la telefonata.
Tornammo in sala e ripresi a girare per i tavoli cercando una qualsiasi scusa per tenermi occupata.
Lanciavo continue occhiate all'orologio ma i minuti non passavano mai.
Aiutai persino Mike a mettere in ordine il bancone e girai tutte le bottiglie sullo scaffale con l'etichetta verso l'esterno.
-Mi ha chiamato Ashton-
Lui si bloccò con il braccio per aria mentre riponeva una tazzina nel cassetto in alto.
-Ha detto che vuole vedermi. Oggi-
-Ti ha detto il motivo?-
Scossi la testa.
-Ci andrai?-
-Abbiamo appuntamento alle 6 da Starbucks-
Lui annuì e io sgusciai via con un sospiro.
Ripresi a girare per la sala tra i vari tavoli, pulendo macchie inesistenti sulle superfici in legno.
-Scusa-
-Sì?- mi avvicinai alla donna seduta al tavolo tre.
-Potresti portarmi il sale?-
Guardai il contenitore vuoto e mi sbrigai a recuperarlo.
-Mi scusi, glielo porto immediatamente-
Se Olly avesse saputo che mi ero dimenticata di riempirlo mi avrebbe ucciso.
Era una donna precisa e ci teneva che tutto fosse perfetto all'interno del locale. 
Presi in fretta dalla cucina ciò che mi serviva e tornai di corsa in sala per evitare che mi scoprisse. Ci mancava solo che mi mettesse a pulire tutto fino alla chiusura per punizione.
-Grazie mille- mi sorrise cordiale la donna e io sospirai di sollievo.
Feci un giro di tutti i tavoli controllando che non mancasse né sale né pepe e per fortuna non ne trovai altri dimenticati, o forse il tavolo quindici...
-Come procede?-
Sobbalzai alla voce di Olly alle mie spalle.
Parli del diavolo...
-Oddio mi hai spaventata- mi misi una mano sulla fronte.
-Adoro l'effetto sorpresa- sorrise compiaciuta.
-Sì tutto normale- risposi alla sua domanda iniziale.
-I clienti sono contenti?-
-Guarda tu stessa- sorrisi alle facce soddisfatte davanti ai vari piatti.
-Bene. Oggi è una bella giornata, tra mezz'ora siete liberi-
Guardai l'orologio e annuii sentendo un nodo alla gola. 
-Sembri turbata cara, c'è qualcosa che non va?-
Ricacciai il malessere e scossi la testa.
-Tutto a meraviglia. Sono solo un po' stanca-
-Allora dopo riposati, mi raccomando. Sembri pallida. Ho bisongo che le mie cameriere siano in perfetta salute- mi strizzò l'occhio.
-Certo, lo farò-
In quel momento la figura di Malcom incobette su di noi.
-Stiamo lavorando o siamo in pausa qui?- ci sorrise.
-Stavamo facendo due chiacchiere- gli rispose la cugina.
-Come va il lavoro Jess?-
-Tutto alla perfezione grazie- mi illuminai.
Era fantastico che il capo si interessasse al suo personale. Essendo giovani inoltre ci trattavano sempre alla pari, tranne quando dovevano sottolineare che da loro dipendeva il nostro stipendio.
-Mi fa piacere. Olly mi ha detto che finite prima oggi-
-Sì e dovrebbe riposarsi. Non ti sembra pallida?-
Mi squadrò con un sopracciglio alzato.
-A me sembri in forma- alzò le spalle e io mi rilassai.
-Hai programmi per dopo?- nella sua domanda non c'era malizia, solo sana curiosità ed era questo che faceva di Malcom un uomo assolutamente stimabile.
-Devo vedere..mm.. un vecchio amico-
Si scambiarono uno sguardo d'intesa e mi sorrisero.
-Non è come pensate-
-Noi non pensiamo niente- rise lui.
Sbuffai divertita.
-Dammi la divisa, la porto io di là- allungò la mano Olly.
-Grazie-
Mi sistemò la maglietta leggera che portavo e i ciuffi che mi erano caduti dalla coda.
-Devi essere presentabile no?-
Risi e annuii.
-Puoi andare anche ora, diremo noi ad An e Mike che sei uscita- le diede manforte lui.
Malcom in un'altra vita mi sarebbe piaciuto tanto. Davvero tanto. Era stupendo e aveva un carattere altrettanto splendido. Se ogni parte di me non fosse stata persa di un ragazzo che si trovava dall'altra parte del mondo, probabilmente sarei stata nella lunga coda di donne che seguiva il mio capo.
-Grazie mille-
-Ci vediamo lunedì Jess-
Li saluti con un grande sorriso e uscii dal locale.
Mi incamminai verso la fermata dell'autobus con le mani che cominciavano ad essere sudate. Me le strofinai sui jeans e presi un respiro profondo.
Qualunque cosa avesse da dirmi ero intenzionata a non farmi coinvolgere. Dovevo non farmi coinvolgere.
Mi sedetti alla fermata dove già una signora di mezza età stava aspettando con il suo cagnolino. La palla di pelo mi venne vicino cominciando a strusciarsi sulla mia gamba e lo accarezzai dietro le orecchie. Trovata l'attenzione che desiderava si mise su due zampe appoggiato alle mie ginocchia e abbaiò felice.
La signora lo ammonì subito.
Io le feci un grande sorriso e cominciai a giocare con il piccolo animale che continuava a muoversi e divincolarsi.
-Come si chiama?-
-Zack. Ha solo un anno- sorrise lei e delle piccole rughe le si formarono intorno agli occhi.
-Ciao Zack- dissi al cane con una voce un po' troppo infantile.
Lui però parve captare il suo nome, infatti riprese a scodinzolare.
Grazie a Zack e ai suoi continui movimenti riuscii a distrarmi almeno per quella attesa e gliene fui talmente grata che quando me ne dovetti separare gli diedi un bacio sulla testa morbida.
-Arrivederci- salutai la padrona che parve incuriosita dal mio gesto, ma che rispose cordialmente prima di salire dall'altra parte dell'autobus.
Sprofondai nel mio seggiolino tirandomi una gamba al petto e appoggiando la testa al finestrino. Da dove mi trovavo ci volevano circa venti minuti ad arrivare alla fermata e cinque di camminata per Starbucks. 
Osservai i passanti scorrermi a fianco sul marciapiede, chi più intento a guardarsi intorno e chi si guardava i piedi sperando di arrivare a casa in fretta. Una bambina uscì saltellando dalla gelateria con un enorme cono in mano e un altrettanto grande trionfo stampato in viso. Sparì con il suo vestito rosa quando svoltammo un angolo.
Il caldo asfissiante che impregnava l'autobus non mi permetteva quasi di respirare e mi feci aria con la mano cercando un attimo di sollievo. Il suono della chiamata annunciò l'ultima fermata prima della mia e più di metà delle persone scesero concedendomi spazio e aria. Vidi anche Zack, al seguito della sua padrona, imboccare una via scodinzolando.
Quando le porte si chiusero ticominciarono a sudarmi i palmi. E non per il caldo. 
Cercai di rilassarmi distendendo le spalle ma l'ansia che mi opprimeva era troppo forte. Decisi di alzarmi e di posizionarmi già di fianco all'autista battendo il piede per terra a tempo con i secondi e il mio cuore.
Vidi la fermata avvicinarsi e presi un grande respiro mentre le gambe diventavano gelatina. Sarei potuta rimanere sull'autobus. Sarebbe stata una scusa geniale quella della fermata mancata. Ma prima che potessi concludere il piano per scappare al mio destino le porte mi si aprirono davanti e il conducente mi salutò. Risposi con un sorriso tirato e scesi.
Rimasi immobile sulla strada per qualche secondo, tanto che l'autobus ripartì e mi lasciò sola sotto la capannina della fermata.
-Okay- mi dissi.
-Andiamo-
Cominciai a percorrere lentamente i metri che mi separavano dalla caffetteria, ma dopo poco mi accorsi di star correndo per raggiungerla.
Quando arrivai avevo il fiatone e perlustrai i vari tavoli con la gola secca. Finché lo vidi.
O meglio, fu lui a vedere me.
Ash si alzò per farmi cenno di raggiungerlo e il mio cuore ripartì a mille. Non avevo considerato l'idea che potesse esserci Ian con lui.
Che idiozia. Ian è in America
-Ehi- mi salutò un po' imbarazzato.
-Ciao- sorrisi sedendomi.
-Hai corso per arrivare qui?-
Mi accorsi effettivamente di stare ancora cercando di riprendere fiato.
-Pensavo di essere in ritardo- buttai lì la prima scusa.
Lui guardò il suo orologio.
-Non direi, anzi sei in anticipo-
Alzai le spalle.
-È da tanto che non ci vediamo-
Già e probabilmente non avremmo dovuto vederci mai più.
-Come stai?-
-Bene grazie, tu?-
-Tutto okay-
Annuii.
Ci fu un attimo di silenzio in cui nessuno dei due trovò un altro argomento per rimandare ciò per cui mi aveva chiamata.
Voleva parlare di Ian? Ma cosa avrei potuto dirgli io? Era un mese e mezzo che non lo vedevo, non sapevo niente di lui, nessuno mi aveva informata se fosse arrivato, se stesse bene
-Salve! Volete ordinare?-
Sobbalzai sulla sedia prima di focalizzare la mora sorridente di fronte a me.
-Un bicchiere d'acqua- mormorai.
-E un caffè lungo grazie-
-Arrivano subito-
Essere la cliente e non la cameriera era destabilizzante.
-Vi trovate bene in periferia?-
Alzai gli occhi sul cugino Jons. Stava davvero cercando di fare conversazione?
-Sì, abbiamo affittato un appartamento molto carino. È economico-
Lui annuì comprensivo e parve soppesarmi. In realtà era da quando ero arrivata che mi fissava in un modo indagatore.
-E lavorate?-
-Sì, in un bar vicino. Io e An cameriere e Mike come barman-
-Fantastico e com'è il vostro capo?-
Cominciai ad innervosirmi. Faceva troppe domande e non mi dava risposte.
-Malcom e Olly sono fantastici-
-Ah sono due?-
-Sono cugini-
Annuì di nuovo.
Aprii la bocca ma venni interrotta di nuovo dalla ragazza che mise sul tavolo le nostre ordinazioni. Ash pagò il suo caffè e lei ci lasciò nuovamente soli.
Presi il mio bicchiere e ne tracannai metà, lui invece sorseggiò con calma per poi decidere di aggiungere dello zucchero.
-Beh mi fa piacere che stiate tutti bene. An e Mike sono finalmente tornati insieme?- continuò imperterrito.
Vedendo la mia indecisione proseguì.
-Se non vuoi dirmelo non..-
-Ashton- lo interruppì e i suoi occhi saettarono su di me.
-Perché mi hai chiamato?-
Lui si mise composto sulla sedia e si schiarì la voce.
-Per parlare di mio cugino ovviamente-
Il mio cuore affondò.
-E cosa potrei dirti io? Non lo vedo e non lo sento dalla fine della scuola. Dovresti dirmi tu se è arrivato dall'altra parte del mondo sano e salvo-
Ti prego dimmi di sì, dimmi di sì
Lui fece un cenno con la mano.
-Ian è ancora a Londra- sganciò la bomba.
Sbarrai gli occhi e il mio respiro si spezzò. Lui era qui
-Per ora-
Io annuii e presi un sorso d'acqua abbassando lo sguardo.
Lui era ancora a Londra. Ian non era partito
-Perché non è in America?-
-I suoi genitori dovevano finire di organizzare alcune cose, ma per lui tutti è pronto: la casa, la scuola, lo stanno aspettando-
-Certo- la mia voce si incrinò più di quanto avrei voluto.
Guardai Ash e feci un sorriso triste.
-Sarà felice-
E fu lì che Ash mi guardò davvero. Mi sentii trapassare interamente dai suoi occhi. E io non potei fare altro che abbassare i miei per paura che vedesse troppo.
-Perché pensi che Ian se ne voglia andare?-
Alzai le spalle. Che domanda stupida.
-Per i suoi genitori-
Aspettai ma non rispose. Quindi lo guardai.
-Davvero pensi questo?-
Corrugai la fronte confusa. Per quale altro motivo dovrebbe andarsene?
-Sì Ash. Ian non vede i suoi genitori da anni. È ovvio che voglia stare con loro-
Lui scosse la testa in un sorriso incredulo e io mi ritrovai ancora più confusa e irritata.
-Che c'è- chiesi infine.
-Certo, dovevo immaginarlo- rise.
-Cosa?-
-È ovvio a tutti tranne che a te-
Scossi la testa.
-Di cosa stai parlando?-
-Ian non se ne va per i suoi genitori Jessica, è contento certo di aver riallacciato i rapporti, ma non si trasferirebbe mai dall'altra parte del mondo per loro. Non ora-
Rimuginai sulle sue parole.
-E allora perché se ne va?-
Qualcosa mi diceva che la risposta non mi sarebbe piaciuta per niente e l'ansia mi stava divorando.
-Per te Jessica. Se ne vuole andare perché ha paura di te-
Ha paura di me?
-Ash davvero non ti seguo-
Lui continuò a scuotere la testa incredulo.
-Davvero non te ne rendi conto? Ian è innamorato pazzo di te e non sopporta l'idea che tu non sia più sua. Non vuole vivere a Londra perché ha paura di vederti con un altro-
Ora la mia testa cominciava a girare.
Ian voleva andarsene per me? Aveva paura di vedermi con un altro? Pensava che non fossi più sua?
Fu il mio turno di scuotere la testa. Il mio cuore martellava furioso nel petto e mi sentii le lacrime agli occhi.
-No Ash ti sbagli. Ian mi ha detto che i suoi volevano che andasse a vivere con loro nella Grande Mela- ripetei le sue parole.
-Appunto. Loro, non lui-
-Io l'ho visto com'era felice a quella proposta! E ora ha la possibilità di andarci-
-Non se ci sei tu dall'altra parte-
In quel momento sentii il mio cuore spezzarsi per l'ennesima volta.
-Non mi ha più rivolto la parola dopo..-
-Il tuo compleanno?-
Rimasi stupita che glielo avesse raccontato e arrossii annuendo.
-Se fossi continuata a stare con lui gli avrei impedito di stare con la sua famiglia. O peggio, sarebbe arrivato il momento di dirci addio all'aeroporto in un modo che avrebbe fatto molto più male ad entrambi. Gli ho solo facilitato le cose- sputai tutto quello che mi tenevo dentro da troppo tempo.
Lui parve confuso e ci mise qualche minuto a ribattere.
-Vuoi dire che tu l'hai lasciato per permettergli di scegliere liberamente?-
Annuii e tirai su con il naso. Alzai gli occhi al cielo per evitare che le lacrime scorressero lungo le mie guance.
Appoggiò i gomiti al tavolo e si prese la testa tra le mani.
-Jess...-
Non risposi. Non sarei riuscita a non scoppiare a piangere.
-Hai solo ottenuto l'effetto opposto-
-In ogni caso se ne va, no?- dissi arrendendomi.
-Non per i giusti motivi. Jess so che tu hai agito in buona fede ma hai fatto una grandissima stronzata. Ian non se ne vuole andare. Vuole stare con te-
Abbassai la testa e passai le mani sotto gli occhi.
-Devi credermi Jessica. Non fare l'eroe per qualcosa che non vale la pena. Persino i suoi genitori hanno capito che sta solo cercando di scappare-
Cercai di respirare. Mi stava distruggendo. Mi vergognavo per tutto quello che avevo fatto.
-Soffrirete entrambi per tutta la vita. Sarà il vostro più grande rimpianto-
Lo guardai con il viso piegato in una smorfia.
-Lo so- sussurrai.
Lui addolcì lo sguardo.
-C'è un modo per fermarlo-
-Lui pensa che non lo ami più. L'ho ferito nel peggiore dei modi- mi sentii una persona orribile, tutte le mie colpe mi caddero addosso come macigni.
-Dimostraglielo-
Non potevo ancora credere che Ian non se ne volesse andare per me.
-Ash non voglio essere il motivo per cui starà lontano dai suoi genitori per altro tempo. Mi odierà per questo in futuro-
-Jessica a lui non frega niente dell'America. I suoi genitori non hanno fatto parte della sua vita per troppo tempo. È grazie a te se oggi hanno rapporto-
Le lacrime caddero copiose.
-Ma non vuole andarsene perché è qui che ha tutto ciò che ama: la sua famiglia, i suoi amici, il suo futuro, te-
Sentii il petto serrarsi. Ero stata un'idiota. Io amavo Ian e lui amava me. Alla follia.
-Non mi perdonerà mai-
-Il suo aereo parte alle 7. Una macchina lo verrà a prendere per portarlo in aeroporto alle 5 di domani mattina-
-Cosa devo fare?-
-Non perderlo un'altra volta-

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