Epilogo

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2 anni dopo...
-Dai Ian rimani qui- lo tirai di nuovo con me sul letto.
Lui, che si era appena rimesso i boxer, rotolò sul materasso ritrovandosi il naso premuto contro il mio.
Risi e gli feci gli occhi dolci.
-Jessica...- abbassò la voce.
Mi rannicchiai tirandomi le coperte addosso.
-Piccola facciamo questa cosa. Abbiamo già rimandato troppo-
In effetti non aveva tutti i torti.
Dopo un ultimo anno lungo e faticoso ci eravamo finalmente diplomati al Dallas college di Londra. Tutti ma proprio tutti avevamo quel pezzo di carta, stampato con i nostri nomi che attestava il nostro grado di maturità, appeso al muro della propria camera e da circa otto mesi avevamo iniziato la nostra vita da neo universitari. Economia per me e Ian, giurisprudenza per An, matematica e fisica per Mike.
Ero riuscita a pagare tutte le rate scolastiche, i libri (usati ma in ottime condizioni) e ogni mese arrivavano a a casa le bollette, pagate puntualmente. Insomma, la vita costava, ma era una soddisfazione riuscire ad andare avanti.
Al momento eravamo tutti alloggiati nella ex casa di Ash. Sì, ex. Finalmente il cugino maggiore Jons aveva trovato quella che sembrava essere la sua anima gemella e aveva deciso di trasferirsi in un attico da scapolo per avere la sua privacy, lasciando a noi la casa che ci aveva salvati dall' orfanotrofio un bel po' di tempo fa..
I problemi non erano mancati nella nostra convivenza a quattro, anche tra coppie. Ma niente che non si potesse risolvere nel giro di poche ore. Io e Ian da quella notte in cui avevamo rischiato di perderci per sempre non avevamo più avuto dubbi l'uno sull'altra. Forse perché avevo imparato a dire le cose, dirgli quanto mi importasse di lui e quanto volessi che rimanesse nella mia vita. Arrivata ad oggi non sapevo dire se mai ci saremmo sposati e avremmo avuto dei figli, sapevo che per ora funzionavamo. Lo amavo. Lui amava me. E mi bastava.
-Non obbligarmi ad alzarti di peso. Sai che lo faccio-
Sbuffai e mi arresi. Questa volta non avrebbe ceduto. Anche se il rigonfiamento sotto la cintura..
-Amore andrà tutto bene- mi baciò sulla testa e si alzò di nuovo andando in bagno.
Sospirai e chiusi gli occhi.
Okay, ce la posso fare. Io ce la faccio sempre
Dopo il diploma mi ero fatta una promessa. Sarei tornata a Glasgow per denunciare Mrs Grace. Quella strega non poteva continuare a dirigere l'orfanotrofio, non avrebbe fatto ad altre bambine quello che aveva fatto a me. Non glielo avrei permesso. Ero in ritardo di parecchi anni ormai, ma ora ero qui. E Ian era con me per assicurarsi che portassi a termine il mio compito.
An e Mike avevano insistito fino all'ultimo per accompagnarmi ma sapevo che avrei dovuto farlo da sola. Era l'unico modo per chiudere con il passato.
Alzai il telefono e vidi tre messaggi da Sam, uno da Helen e uno da Abby.
Sam e Drew avevano comprato un grazioso appartamento vicino al centro di Londra, entrambi erano molto impegnati tra l'università e i reciproci lavori, ma trovavano sempre un momento solo per loro, che fosse una passeggiata serale ad Hide Park o una colazione insieme alla mattina.
Helen e Thomas vivevano felici e innamorati come sempre, pareva davvero che fossero nati per stare insieme e nell' aria girava la parola matrimonio.. "Ma dopo l'università" smentivano entrambi. Staremo a vedere.
Abby lavorava da un tatuatore in centro, uno dei più conosciuti e apprezzati, che l' aveva amata dal primo momento in cui aveva visto un suo schizzo. Da anni non aveva collaboratori e che avesse assunto proprio lei la rendeva ancora più speciale. Inoltre ormai anziano, Si apprestava a lasciare la sua attività e cedere il posto a qualcuno.. e sembrava sì, proprio alla mia amica.
Ty aveva finalmente rivelato il nome della sua amata, la ragazza della porta accanto. Un cliché che si era trasformato in una splendida storia. Si era dato una regolata, sembrava un altro ragazzo da quando Lena lo aveva preso con sè.
Brandon e Amber avevano caricato due valigie in macchina ed erano partiti, la meta non era nota a nessuno, probabilmente neanche a quei due. Mi piacevano, ogni tanto facevamo un'uscita a quattro con loro. Amber era molto simile a me come carattere, non ci eravamo trattenute in tanti convenevoli e c'era stata subito sintonia. Brandon era un tipo in gamba, a tratti quasi ombroso, tranne quando guardava Amber: quando i suoi occhi si posavano su di lei il suo volto era raggiante.
-Sei ancora a letto?- Ian uscì dal bagno vestito, pettinandosi alla meglio i capelli con le mani.
Mi riscossi dai miei pensieri e con il cuore in gola buttai prima un piede e poi l'altro giù dal letto.
-Okay, sono pronta- sospirai.
-Posso farcela-
***
Arrivammo davanti al cancello del mio vecchio orfanotrofio e le mie unghie affondarono nella pelle del sedile della macchina che avevamo noleggiato.
Da molto tempo ormai non avevo più incubi, ma la sensazione che provai in quel momento fu molto simile a un risveglio dopo uno di quelli.
Guardai le inferriate nere alle finestre, i muri scrostati e le tegole arrugginite sul tetto che facevano contrasto sul cielo grigio.
Ian mi prese una mano e ne baciò le nocche
-Stai tranquilla-
Io annuii solo e aprii la portiera facendo atterrare i miei piedi sulla ghiaia.
Mi vennero incontro due agenti della polizia in borghese e mi condussero dentro un furgoncino parcheggiato a lato della siepe mentre Ian si appoggiò alla macchina fumando. La sua sigaretta che si accendeva fu l'ultima cosa che vidi prima che le porte si chiudessero.
-Allora signorina Packwood, le spiegheremo come ci muoviamo in questi casi e com'è la procedura. È pronta?-
Annuii, la voce non ne voleva sapere di uscire.
-Le metteremo addosso questa ricetrasmittente. All'occorrenza potremmo suggerirle noi qualche domanda, ma ci manterremo il più possibile silenziosi se non del tutto assenti. Attraverso questo dispositivo registreremo tutta la conversazione e non appena avremo la confessione completa entreremo nell'edificio. Tutto chiaro?-
Annuii di nuovo.
-È sicura di farlo signorina?-
Lo guardai negli occhi sbattendo le palpebre due volte e per la prima volta da quando avevo deciso davvero di portare a termine il mio piano mi sentii coraggiosa e fiduciosa di potercela fare. Io dovevo farcela. Per il bene di tutti i bambini che sarebbero entrati in quell' orfanotrofio.
-Sì agente, sicurissima-
Uscii dal camioncino pronta e sicura di me. Alzai il mento e raddrizzai le spalle, la vecchia Jessica Packwood era irriverente e spavalda, dovevo tornare lì come ne ero uscita. E non volevo per nulla al mondo che Ian mi vedesse così. Lo scorsi con la coda dell' occhio provare ad avvicinarsi ma uno della squadra lo bloccò come avevo chiesto. Sapevo che avrebbe capito. Lui mi conosceva.
Non mi guardai indietro, entrai e basta. Ciò che provai fu terrore puro: Il parco non era cambiato di un filo d'erba da quando me ne ero andata, gli stessi vecchi giochi cigolanti, i bambini che correvano intorno agli alberi senza nessuno che li controlasse. Erano soli. Lasciati soli.
Vidi un gruppo di ragazzi più grandi affacciarsi da dietro il muro e poi continuare a fumare. A distanza di qualche passo sentii l'odore dell' erba bruciare nelle cartine.
Sentii un brivido gelido lungo la schiena ma continuai a camminare. I bambini mi fissarono curiosi e forse speranzosi che fossi qui per uno di loro.
Sono qui per tutti voi, da oggi in poi avrete un'infanzia, Se non del tutto felice, almeno sopportabile.
Afferrai la porta con decisione, presi un respiro ed entrai.
Il portone emise un gemito e appena misi piede all'entrata i miei passi rimbombarono nell'atrio vuoto. Dietro una scrivania, da anni, Cloe.
Mi guardò e tese un sorriso.
-Buongiorno, posso aiutar.. Jessica?-
Deglutii e annuii poco convinta. Quella donna non aveva colpa di tutto l'inferno che regnava in quel posto. Non sapeva cosa succedeva da sempre intorno a lei, si occupava solo della burocrazia.
-Ciao Cloe-
Lei girò intorno al tavolo sorreggendosi con una mano e mi guardò.
-Come sei bella tesoro, Come stai? Che cara ad essere tornata a salutare, Come posso esserti utile?-
Mi venne da vomitare. Io non ero tornata a salutare, ero lì per distruggere quel luogo.
-Dovrei parlare con la direttrice- dissi in tono piatto ignorando il resto della sua frase.
Lei parve stupita e anche un po' dispiaciuta alla mia risposta fredda ma annuì.
-Certo, puoi salire. La strada la sai- fece un piccolo sorriso.
-Grazie- girai i tacchi con il cuore in gola.
-Jessica?-
-Si?-
-Stai bene cara? Sembri pallida-
Mi guardai le mani e scossi la testa.
Cercai di sorridere anch'io. Così non va Jess. Sii naturale, Non devono sospettare niente
-Il viaggio per arrivare qui è stato un po' stancante. Ho solo bisogno di una bella dormita-
Lei annuì, parve credermi e mi fece un cenno con la mano di proseguire mentre usciva per andare a richiamare i bambini in giardino.
Rimasta sola guardai le scale che mi avrebbero portata dalla donna che mi aveva rovinato la mente. Mi sarei ripresa la mia rivincita. Quei bambini meritavano un po' di pace nelle loro vite.
Iniziai a salire e ogni gradino fu un colpo al petto. Mi sentivo pietrificata, Come se una forza mi tirasse giù e mi dicesse di non proseguire. Ma io dovevo farlo. Mi aggrappai al corrimano ma tolsi immediatamente la mano come se scottasse. Tutto in quell' edificio mi pareva contaminato.
Arrivai al secondo piano con il fiatone. Non sapevo cosa mi sarei trovata di fronte. In effetti non avevo neanche preparato un piano, un discorso. Niente di niente. Mi prese il panico.
Mi guardai intorno e le pareti sembrarono inghiottirmi. Mi passarono davanti le immagini di me portata di forza davanti alla sua porta, trascinata su per quelle stesse scale. Potei sentire anche i battiti furiosi delle nocche contro la sua porta prima di ricevere il consenso a entrare e poi buttata a terra, davanti alla sua cattedra, enorme e io così piccola..
Mi appoggiai a un muro. Dovevo riprendermi.
-Ci siete?- sussurrai.
-Si signorina Packwood, La riceviamo forte e chiaro. Quando se la sentirà noi saremo qui a registrarla-
Annuii anche se non potevano vedermi.
Mi sentii con le spalle protette. Se la situazione fosse degenerata sarebbe intervenuta la polizia e sarei stata salva. Quella donna non poteva più niente contro di me.
All'improvviso una rabbia cieca mi riscosse e mi ripresi.
Ero a un capolinea. Era finita per tutto quel dolore che aveva inflitto a me e a chissà quanti prima e dopo. Sarebbe marcita in carcere. Non aveva più assi nella manica, mentre io, ne avevo tantissimi.
Era ora. Adesso o mai più
Quasi corsi alla sua porta e prima di bussare presi un grande respiro. Tre tocchi. Forti. Che si preparasse ad affrontare la sua morte.
-Avanti-
La sua voce. Sentii come unghie su una lavagna. D'istinto mi tappai le orecchie mentre il cuore galoppava
Non sarai mai abbastanza
Sei solo una puttana
Nessuno ti vorrà mai
Per quello che hai fatto ti meriteresti una punizione ben più dura..
-Avanti!-
Strinsi i pugni e affondai le dita nei palmi, poi presi la maniglia e spinsi.
Ciò che mi ritrovai davanti fu come rividere un film dell'orrore. Sai cosa aspettarti, ma ogni volta senti quell' adrenalina mista a terrore che ti fa sobbalzare.
-Bene bene- rise di scherno.
-Guarda un po' chi si rivede-
Mi aveva riconosciuta subito. E non parve neanche troppo stupita nel vedermi lì. D'altronde, altro non mi aspettavo. Pensava che fossi tornata con la coda tra le gambe, che non riuscissi a proseguire la mia vita e che reclamassi la sua pietà.
Chiusi la porta dietro di me e la guardai negli occhi. Azzurri, gelidi, spaventosi.
-Che fai sulla porta Jessica? Avvicinati, o hai paura?- rise ancora. 
La furia di poco prima tornò impietosa.
-Non mi fa paura mrs Grace- avanzai verso la sua scrivania ma le mie parole dovettero risultare poco convinte perché vidi il riso nei suoi occhi.
-Oh cara, siediti, non stare in prestito lì in piedi. Forse preferisci stare faccia al muro per sentirti a tuo agio? Era il tuo posto preferito in questo studio- rise di una risata grossa.
Quando mi doveva punire stavo sempre faccia al muro. Mani appoggiate alla parete e testa china.
-Preferisco guardare la sua faccia di merda se non le dispiace-
La sua risata si interruppe di colpo.
-Vedo che i tempi non sono cambiati. Sei ancora la stessa insulsa puttana dalla lingua troppo lunga- mise d'istinto la mano sopra la gonna e i miei occhi guizzarono in quella direzione mentre la gola si seccava.
Fece un sorriso storto, malato.
-Te la ricordi eh. Non costringermi a riprenderla fuori-
Quel tono mi fece accapponare la pelle.
-Dimmi piuttosto. A cosa devo questa spiacevole visita?-
Ora Jessica
-Sono qui per riprendermi la mia vita. Dopo tutto quello che lei mi ha fatto-
Mi guardò e rise. Di nuovo. Odiosamente.
-Mia cara, piccola, stupida Jessica. E come vorresti fare? Vorresti dirmi quanto sono cattiva? Vorresti ricordarmi i nostri momenti insieme? Vuoi uccidermi?- rise ancora tanto che pensai si sarebbe messa a piangere dalle troppe risa.
Pezzo di merda.
-Lei non si rende conto!- sbattei un pungo sul tavolo.
Mi guardò ancora con l'ombra del sorriso dipinta in viso.
-Lei non è cattiva, lei è un mostro che fa cose orribili a bambini indifesi! Non si sente in colpa a prendere fuori quella stecca di merda e picchiare ancora delle creature che Dio solo sa quanto abbiano sofferto?! Lei mi ha rovinato l'esistenza, lei mi ha fatto sentire una nullità e io non permetterò che lo faccia anche ad altri-
Si mise sulla difensiva.
-E quindi?- congiunse le mani davanti a sè sulla scrivania.
-Lei è malata. È pazza cazzo se non si rende conto di quello che ha fatto-
-Te lo meritavi tesoro, non fare la finta ingenua-
Sentii la pelle formicolare.
-Io non mi meritavo di essere picchiata- scandii ogni parola. 
-Mi dica. A quanti bambini ha fatto quello che ha fatto a me?-
-Al giusto numero-
Non parve minimamente scalfita dal mio scoppio emotivo.
-Lei ha picchiato dei bambini. Se ne rende conto?! Questo è un orfanotrofio per l'amor di Dio! Dovrebbe prendersi cura dei poveretti che ci finiscono dentro! Per non parlare di tutti gli insulti che mi hanno fatto sentire una merda a questo mondo! Lei mi ha procurato degli incubi la notte!-
Mi guardò senza dire niente mentre io annaspavo senza respiro.
Mi inchiodò con quegli occhi di pietra, marci ormai e alla fine, quando pensavo che un minimo di umanità l'avesse trovata dopo anni e anni, la sua bocca si incurvò all'insù.
Poi applaudì, lentamente.
-Brava Jessica. Bellissima scenata mia cara, patetica come al solito-
Poi si fermò e mi congelò con lo sguardo.
-Tu non vali niente. Sei qui a urlarmi contro senza una ragione. Vuoi farmi sentire in colpa? Mia cara, è così irrilevante la tua vita per me-
Si alzò e io indietreggiai d'istinto.
-Vedi? Hai paura di me perché sai che posso farti male. Molto male. Quindi perché insistere e continuare a provocarmi?-
-Perchè lei deve andare in manicomio-
Rise di nuovo e si avvicinò alla finestra guardando il giardino.
-E mi ci porterai di peso? O pensi di convincermi?-
Fece una pausa.
-Li hai visti quei bambini che erano lì fuori?-
Annuii anche se era girata di spalle.
-Rispondimi-
-Si li ho visti-
-C'è una bambina che ti assomiglia tantissimo. A volte la chiamo Jessica sai? È una ribelle, proprio come te, viene nel mio ufficio due volte al giorno-
Mi appoggiai alla sedia con la gola secca e il cuore fece una capriola dritta nello stomaco. Due volte al giorno.
-Chieda se la picchia- sentii nell' auricolare.
-La... La picchia?- riuscii a rantolare.
Lei rise a bassa voce e le sue spalle sobbalzarono.
-Oh si, proprio come facevo con te. È così insulsa, piccola, trema di continuo e chiama sempre la mamma. Una scena pietosa-
Il sangue mi ribollì dentro. Volevo trovare quella bambina e dirle che tutto questo era finito. Che qualcuno un giorno l'avrebbe amata e che non era una cattiva persona. Il destino era solo stato crudele con lei.
-Non si sente un mostro a picchiare dei bambini?!- urlai.
Fece un cenno stizzito con la mano.
-Smettila di ripetere sempre le stesse cose, Che noia. Crescerà meglio, con la consapevolezza di tenere sempre la testa bassa-
-Lei è pazza!-
-Forse- si girò verso di me.
-Ma tu non lo dirai a nessuno- un ghigno si aprì sul suo volto e i miei occhi si spalancarono.
-Mi hai stancato Jessica. Vuoi fare la paladina della giustizia, ma non ne hai le capacità. Non salverai nessuno e nessuno verrà a salvare te-
Toccò la gonna per prendere la stecca e si avvicinò con passo pesante.
Guardai la sua mano stringere quell' arnese di tortura e tornai ad avere dieci anni. Tremai come una foglia mentre la mia bocca si apriva e si chiudeva senza emettere un suono.
Pensai che il cuore mi sarebbe uscito dal petto tanto batteva forte.
Mamma, papà, sono qui. Vi prego aiutatemi
La vidi sempre più vicina e indietreggiai fino a toccare il muro. La mia schiena sbattè sui mattoni freddi e mi sentii in trappola. Il petto che si alzava e abbassava in modo irregolare. Senza più via di uscita scossi la testa mugolando un "no" e mi piegai su me scivolando a terra con le mani sopra la testa, incapace di reagire. Ancora una volta.
Il suo braccio si alzò su di me
Mamma, papà aiuto...
Vidi la stecca abbassarsi, ma invece di sentire la mia pelle lacerarsi sentii la porta aprirsi di colpo e qualcuno urlare: "Stia ferma, polizia!"
Aprii gli occhi e li vidi. Sei agenti con le loro divise blu erano intorno a Mrs Grace e la accerchiavano tenendola lontana da me.
Sulla sua faccia lo sgomento e il panico. Non credeva che dicessi sul serio.
Marcirai tra le pene dell'inferno, pazza. Quello che non farà la galera faranno gli altri carcerati.
-Voi... Tu!- mi indicò e cercò di raggiungermi. Io mi raggomitolai schiacciandomi contro il muro.
Venne immediatamente bloccata. Un agente le tolse la stecca e altri due la presero per le spalle per ammanettarla.
Sentii la stecca toccare terra e scivolare lontana insieme a tutto il male che aveva fatto.
Era finita. Per sempre.
-Signora lei è in arresto per violenza fisica e psicologica su minori, aggravata dalla sua posizione di educatore-
-Brutta puttana, io..-
-Taccia!- le urlò un altro.
-Da ora ha diritto solo a parlare con il suo avvocato, qualsiasi cosa dirà potrà essere usata contro di lei-
Mi guardò con uno sguardo feroce come se volesse davvero prendermi la testa e sbatterla a terra distruggendola.
-Portatela via, Cristo!- urlò quello che pareva essere il capo.
-Cammini-
Provò a ribellarsi e di nuovo a venirmi incontro, ma venne di nuovo bloccata e condotta lontana da me. Per sempre.
Sentii solo i suoi lamenti e ringhi lungo il corridoio mentre la scortavano verso la galera.
Non appena la sua voce divenne un eco scoppiai a piangere. Un pianto liberatorio dopo anni di incubi e paura.
-È finita signorina Packwood- sentii una mano prendermi la spalla.
Alzai la testa ma vidi tutto appannato davanti a me.
-Grazie- sussurrai mentre un fiume mi inondava il viso.
-È nostro dovere. Lei è stata molto coraggiosa. Ha salvato la vita a molte anime innocenti-
Ancora non lo vedevo chiaramente ma potevo scorgere dei baffi lunghi e un cappello blu.
Annuii ringraziandolo ancora.
-Quando si sentirà pronta potrà scendere. L'hanno portata via, Ma in compenso il suo ragazzo è molto in pensiero- sorrise.
-Ian..- tirai su con il naso e mi asciugai con un lembo della maglia.
Mi porse gentilmente un fazzoletto senza dire niente.
Mi soffiai il naso e annuii. Le ginocchia mi tremavano e cercai di alzarmi a fatica. Mi aiutò a rimettermi in piedi e quando fu certo che mi reggessi sulle mie gambe mollò la presa.
-Grazie. Grazie. Di tutto signore-
-Signorina, se tutti avessero il suo coraggio il mondo sarebbe un posto migliore-
Annuii e ricominciai a piangere.
Uscii da quell' ufficio maledetto senza voltarmi indietro. Era finita.
Vidi Cloe corrermi incontro per il corridoio.
-Cos'è successo? Oh mio Dio tesoro stai bene? Cosa ci fa qui la polizia? Dove..-
-Signora- la bloccò l'ufficiale.
-Sarò lieto di rispondere a ogni sua domanda. La ragazza ha bisogno di riposare ora-
Mi guardò e arrossì.
-Oh si scusami tesoro, va' va'. C'è un giovanotto che chiede di te nell' atrio- sorrise.
-Grazie Cloe- le rivolsi un sorriso sincero.
-Addio-
Lei mi accarezzò una guancia e indietreggiò per farmi passare.
Camminai fino alle scale a passo lento, trascinando i piedi, come se un peso enorme si fosse finalmente tolto dalle mie spalle e mi avesse lasciata stremata.
Alzai gli occhi verso le scale e vidi una ragazza appoggiata alla parete. Forse una dell' ultimo anno alla ricerca di informazioni sulla pazza che aveva cacciato la direttrice dal suo stesso orfanotrofio. 
Mi legai i capelli disordinatamente e finalmente vidi l'inizio dei gradini. Il mio cuore si alleggerì e i miei piedi ripresero un'andatura normale.
-Jessica?-
Mi bloccai e mi girai. La ragazza sulla parete mi fissava come se fossi quasi un'apparizione. 
-Ehm.. si- risposi incerta guardandomi intorno.
Lei si mosse verso di me e io rimasi bloccata a guardarla avvicinarsi. Qualcosa mi diceva di non aver paura di quei capelli blu sulle punte, i vestiti sbrindellati e le scarpe di tre taglie più grandi.
Anche se quella ragazza di per se, era davvero inquietante, mi costrinsi a guardarla più attentamente.
-Oddio come sei cresciuta Jessy...-
Fu come ricevere un colpo allo stomaco e al cuore nello stesso momento.
-Dana...- scoppiai a piangere come una bambina per l'ennesima volta in pochi minuti. Quella che aveva abbandonato quando l'avevano portata via.
Mi prese tra le braccia e mi strinse forte.
-Si tesoro, sono io. Quanto mi sei mancata- stava piangendo anche lei.
-Io..- balbettai.
-Io ti ho cercata ma.. Ma tu eri scomparsa e.. e non sapevo da dove partire- continuai a frignare.
Lentamente mi spinse per guardarmi negli occhi.
-Ce l'hai fatta invece. Tu sapevi dove cercarmi-
Scossi la testa senza capire mentre mi asciugava le lacrime sulle guance.
-Ian Jons mi ha trovata chiedendo di me a Ted-
Il mio cuore cominciò a galoppare feroce. Sapevo quanto era costato a Ian fare una cosa del genere. Ma l'aveva fatta. Per fare felice me in questo giorno.
-Ti sta aspettando giù dalle scale-
Mi girai di scatto verso di esse poi mi rigirai.
-Ma tu..-
-Noi avremo tempo per parlare. Ora non vado più da nessuna parte- mi sorrise tra le lacrime.
Non era morta. Dana era qui davanti a me. Non in un cimitero sperduto chissà dove. Era viva, stava bene e voleva stare con me per recuperare tutti questi anni.
La abbracciai ancora.
-Mi sei mancata tanto- dissi.
-Anche tu Jessy. Anche tu-
Mi staccai e dopo averle dato un'ultima occhiata partii a rotta di collo giù per le scale.
Volevo solo Ian. Il mio Ian. Il mio dolce, stronzo, determinato, impulsivo, generoso Ian.
Lui voltò la testa quando sentì i miei passi sulle scale e il sorriso gli si spense in volto quando vide il mio viso bagnato.
Arrivata agli ultimi gradini gli saltai in braccio. Lui emise un gemito di sorpresa ma mi prese e mi tenne stretta contro di sè.  
-Piccola.. stai bene?-
Gli presi le guance tra le mani e lo baciai.
-Grazie Ian-
Lo baciai ancora guardandolo negli occhi.
-Grazie per avermi portato qui, grazie per Dana, grazie... di tutto-
Lui mi mise un ciuffo dietro l'orecchio.
-Ti amo Jessica. Voglio solo vederti felice-
-Ti amo Ian- 
Sentii delle vocine e vidi i bambini spiarci dietro una porta.
Ridemmo e riappiggiai i piedi a terra.
Una bambina mi si avvicinò e io mi abbassai per ascoltarla.
-Se n'è andata? Per sempre?- sussurrò.
Mi guardava con due occhi enormi e speranzosi e capii esattamente chi avevo davanti.
-Si piccola. È finita-
Lei si mise a piangere in silenzio e mi abbracciò. Io la presi in braccio e Ian mi prese per i fianchi salutando la bambina per farla ridere.
-Bambini!- li chiamai tutti vicini a me.
-Chi vuole la merenda?-

Fine

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