Chapter 41

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-Avevo sette anni quando i miei morirono. Incidente stradale, tamponamento, finiti in un fosso e mai più risaliti. Per i primi tre mesi restai con una zia, lontana parente di mio padre, poi lei dichiarò apertamente che non sarebbe riuscita a tenermi più a lungo e mi portarono così all'orfanotrofio- respirai.

-Quando arrivai dovettero portarmi a forza dentro l'istituto. Urlavo, mi sbracciavo e mi attaccai persino al cancello pur di non entrare. Ho pianto tanto quella notte. Volevo i miei genitori, volevo le coccole di mia madre e le storie di mio padre. Rivolevo la mia vita felice-

Ian appoggiò una mano sulla mia quando mi bloccai a guardare avanti a me.

-Le altre bambine non mi si avvicinarono per le prime due settimane. Quando riuscii a parlare cominciai a legare con alcune di loro. Le più grandi. Quelle che non mi guardavano con compassione. Odiavo gli sguardi delle persone lì dentro. Tutti a fissarti con negli occhi la tristezza, come se fosse capitato a loro, o peggio, come se stessi per impazzire-

Risi amara.

-Dal giorno in cui entrai là mi promisi che nessuno mi avrebbe vista crollare. Nessuno a parte me stessa. Nessuno finché non incontrai Mike-

Lo guardai di sfuggita ma mi obbligai a continuare.

-I primi giorni mi rifiutavo di andare a lezione o di fare qualsiasi altra cosa che non fosse stare chiusa in camera mia a leggere l'unico ricordo della mia vita passata-

-Giulietta e Romeo- sussurrò lui.

Annuii chiudendo gli occhi.

-Me lo aveva regalato mio padre per i miei cinque anni- un sorriso mi spuntò agli angoli della bocca.

-Mi disse che in futuro lo avremo letto insieme. E lo fecimo una volta. Prima e ultima. Mia mamma invece mi insegnava a cucinare, le piacevano i muffin. Ne facevamo a volontà.

Quando il quarto giorno mi decisi ad uscire dal mio rifugio di dolore, mi trovai davanti il vero incubo: lei. Mrs Grace. La direttrice- Inspirai bruscamente come se fosse ancora davanti a me.

-Aveva sentito parlare di me. Le lamentele degli insegnati perché non andavo a lezione e delle cuoche perché non mangiavo. Mi ricordo ancora cosa mi disse: "Ciao Jessica. Vieni con me. Ci divertiremo insieme". Che potevo fare se non fidarmi? La seguii per i corridoi dell'orfanotrofio fin nel suo ufficio-
"Siediti pure" mi indicò la sedia enorme davanti alla sua scrivania. "Vedi tesoro, in questa scuola ci sono delle regole che vanno rispettate:
1) bisogna sempre andare a lezione.
2) bisogna sempre andare a mangiare.
3) fa i lavori che ti vengono affidati.
4) mai disubbidire.

-Mi disse che mi meritavo una punizione per quel che avevo fatto-
"Devi imparare che qui non si scherza. Non esiste il non voglio e il non riesco. Tu fai e basta. Non mi importa se è faticoso. Alzati ora e seguimi"
-Lavai i bagni e i corridoi per un mese ignorando le prese in giro degli altri ragazzi che mi vedevano piegata a terra. Finché un giorno non ci vidi più-
"Ma guardala. Una sguattera. Ehi cenerentola, non è che scoperesti un po' anche in camera mia?"

-Si chiamava Andrew. Quel figlio di puttana si divertiva a farmi perdere le staffe ogni volta che c'era la direttrice in giro. Non era molto più grande di me, ma era all'orfanotrofio da più tempo. Stando lì, con ragazze più grandi e diventando adulti molto prima, capisci anche le battute più spinte. Avevo sette anni sì, ma nessuno mi metteva i piedi in testa. Neanche Andrew-
"Ehi Dana guarda. La conosci?"
Dana era la mia compagna di stanza, nonché la prima che mi aveva parlato e insegnato come andavano le cose all'orfanotrofio.
Annuì passandomi accanto.
"Hai perso la lingua orfanella?" Mi urlò ancora.
All'epoca non ero abituata a quella parola.
"Non starlo a sentire Jess. È un idiota" mi sussurrò Dana.
"Allora? Cos'è? Non ti piace il tuo nuovo nome? Orfanella?"
"Chiudi quella fogna" sussurrai appena. Lo avevo sentito dire dalle altre un paio di volte.
"Cos'hai detto?!"
"Ho detto: chiudi. quella. fogna."
"Come ti permetti stronza?!"
Con un gesto veloce presi il secchio di acqua sporca e glielo scaraventai addosso.
"Adesso lo sei pure. Una fogna"

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