•CAPITOLO 85•

2.9K 122 5
                                    

Camminai sull'erba bagnata, fino ad un'apertura nella parete frontale dell'edificio. I muri erano grigi, ma coperti di scritte fatte con bombolette. L'aria era sporca e lo notai soprattutto quando entrai all'interno dell'edificio.
Mi bloccai quando vidi migliaia di scarpe vecchie sul pavimento; i vetri erano rotti e c'erano persino delle macchine da lavoro.
Mi muovevo intorno, cercando quel bastardo. Salì la prima rampa di scale, ritrovandomi in un ambiente identico a quello al piano di sotto. Un movimento alle mie spalle mi fece voltare.
Stephen stava su un angolo, con un coltello in mano. Mi venne da ridere, sembrava un cane bastonato.
Mi avvicinai, mentre lui indietreggiava. Si agitò, quando toccò il muro alle sue spalle.

"Lo hai ridotto proprio male." -disse.

"Pensa che ridurrò peggio te."

Guardai lateralmente, la polvere era spessissima sulle macchine da lavoro e c'erano forse più scarpe di quante ce ne fossero al piano di sotto.

"So che lo avresti fatto. Ma non pensavo così presto. Mi hai colto di sorpresa, figliolo."

"Non sono tuo figlio." -sbottai.

"Ti ho fatto io."

"Avrei preferito non essere nato, che avere un padre come te."

Mi avvicinai minacciosamente a lui, con i pugni stretti.
Non smetteva di fissarmi.

"Harry, sei il sangue del mio sangue." -disse.

Arrivai davanti a lui, sovrastandolo.
Senza neanche pensarci, alzai il pugno e lo colpì, facendogli perdere l'equilibrio.

"Sei sempre stato un bambino tranquillo, da cosa è data questa violenza?" -si toccò la guancia appena colpita.

"Hai anche il coraggio di chiedermelo?" -lo colpì ancora.

"Hai sempre abusato di mia madre ed hai fatto picchiare e violentare la mia ragazza, ringrazia Dio che non ti ho ancora ucciso." -dissi, colpendolo.

"Quella puttanella non merita di stare al mondo." -tossì.

Afferrai il suo collo e premetti le dita sulla pelle. Quando divenne quasi viola per la mancanza di ossigeno, ripresi a picchiarlo con tutte le mie forze.

"Tu non meriti di stare al mondo, figlio di puttana." -vedevo il sangue sgorgargli dalla bocca, dal naso.
Lo sollevai dal colletto della camicia e appiccicai la sua schiena al muro, dove continuai a colpirlo.

"Uccidimi e basta." -si lamentò, ormai stremato. Non si dimenava più, non ne aveva le forze.

"No, sarebbe troppo facile. Ti farò arrivare al limite, così ti ricorderai di non avvicinarti più a me e alla mia famiglia."

"E mi riferisco soprattutto a Tamara." -continuai.

"Potrei denunciarti." -sputò del sangue per terra.

"Oh, non aspetto altro."

Mi alzai, osservandolo. Non si muoveva ma si lamentava.
Istintivamente, gli diedi un calcio sul fianco sinistro, poi un altro e un altro ancora.

"Sai, dato che in parte, sei tu la causa della mia violenza, ti ringrazio." -risi, dandogli un altro calcio.

La mia mente si fermò su Tamara. Chissà se si era svegliata.

"Ti chiedo una cosa. Perché l'hai fatto?" -chiesi, fissandolo.

"Cosa?" -sussurrò, sputando sangue.

Il professore della porta accantoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora