•CAPITOLO 116•

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Appena terminata l'ennesima simulazione d'esame, mandai un messaggio ad Harry, dicendogli che avrei avuto ginnastica.
Nonostante non avessi affatto voglia di fare ginnastica, andai negli spogliatoi per infilare la tuta e poi mi recai in palestra con i miei compagni.
Fortunatamente, dopo qualche minuto di corsa, giocammo un po' a pallavolo; di solito facevamo esercizi vari e questo mi annoiava un po'.
Emily non mi aveva fatto più domande, ma appena arrivata in classe, mi venne a salutare. Non riuscivo bene a capirla; non ero mai riuscita a capire il perché avesse smesso di odiarmi da un momento all'altro.

Durante il pomeriggio studiai per ore, fermandomi solo per mangiare e per bere qualcosa. Mamma parlò per ore al telefono con Ted; ero felice di vederla così... rilassata e tranquilla.
Quando Charlie arrivò a casa mia, continuammo a studiare. Le raccontai della mia intenzione di andare via con Harry. Lei, al contrario di come io potessi immaginare, ne fu felice. Mi disse che era la cosa migliore per stare tranquilli, senza problemi. Ero felice che la pensasse esattamente come me.

"E tua madre?" -mi chiese.

Riflettei un po', prima di risponderle.

"Sa che può fidarsi di Harry... ed anche di me..."

"E poi adesso c'è Ted... quindi lei è molto più tranquilla." -continuai.

Lei annuì, sorridendo. Poi tornammo a studiare e continuammo per tutta la sera.
Charlie mi fece pensare che... forse Harry non aveva picchiato Beck (come immaginavo avesse fatto) , perché Beck sapeva chi fosse. Perché Beck avrebbe potuto denunciarlo ed inoltre, spargere la voce che stessi con un ex insegnante.
Pensai che fosse un ragionamento più che logico da fare.

Arrivata la tarda sera, il display del mio telefono si illuminò; era una chiamata di Beck.
Quando risposi, lui mi pregò di non riattaccare e mi chiese di vederci per soli cinque minuti, per parlare.
Quando gli dissi di no, mi pregò in cento modi diversi e guardando Charlie, mi venne l'idea di accettare, ma solo se lei fosse venuta con me; non ci sarei mai andata da sola.
Andammo nel luogo dell'incontro, un bar notturno vicino casa e quando vedemmo Beck, lo raggiungemmo.

"Ciao ragazze." -disse, guardandoci.

"Ciao." -ricambiammo noi all'unisono.

"Cosa volevi dirmi?" -chiesi, incalzando il discorso.

"Che non voglio avere più problemi, ne con te, ne con il tuo ragazzo, tanto meno con la polizia."

Io annuì, speranzosa che lui dicesse quello che speravo.

"Non mi interessa chi sia il tuo fidanzato, se è un'insegnante..."

"Era." -lo interruppi.

"Era." -confermò lui.

"Non mi interessa, dimmi solo che non vuoi più vedermi ed io non mi farò più vedere."

Guardai Charlie, incredula. Poi guardai nuovamente lui; stava giocherellando con un tovagliolo.

"Beck..."

"Io vorrei solo che tu non mi dessi problemi. Perché mi hai solo fatto del male, da quando ti conosco."

"Lo so."

<Beh, almeno riusciva ad ammetterlo>, urlò la mia vocina interiore.

"Per me possiamo anche rimanere amici... ma non voglio che tu interferisca nella mia relazione."

Lui mi guardò ed annuì.

"Se è questo che vuoi..." -alzò le mani in segno di resa.

"Sappi che tu non mi sei indifferente, Tamara... non mi sarei mai indifferente, ma ti ho fatto del male e questo lo so benissimo. Non voglio continuare a darti problemi."

Il professore della porta accantoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora