•CAPITOLO 93•

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Quelle parole risuonarono nella mia testa per alcuni secondi; forse 20 o 30.
Rimasi immobile, senza sbattere ciglio, quasi senza respirare.

"Mi dispiace." -continuò il dottor Warren.

"In coma?" -ripetei.

Lui annuì, assottigliando le labbra, mostrando un'espressione di dispiacere.

"Il trauma cranico.." -disse solamente.

Portai le mani al viso, non sapendo se piangere, urlare, scappare o spaccare tutto.

"Lei..si risveglierà?" -chiesi.

"Il coma dura in genere dalle 4 alle 8 settimane." -disse lui, poggiandosi al mobile dietro di lui.

Due mesi.

"Raramente supera questo tempo." -continuò.

"E se dovesse superare questo tempo?" -chiesi, con le lacrime agli occhi.

"Non essere così negativo, figliolo.." -toccò la mia spalla con una mano.

"Non so cosa pensare." -dissi.

"Pensa solo che Tamara, adesso, è viva."

La guardai. Mi faceva malissimo vederla in quelle condizioni. Aveva rischiato la morte a causa mia; più di una volta. Ed io ero ancora con le mani in mano. Dovevo mettere fine a quella storia e sapevo anche come.
La galera non mi faceva più paura; quelle mura grigie mi erano indifferenti e le avrei sopportate, pur di aver mandato all'inferno quel figlio di puttana.

"Tamara non può uscire da questo ospedale, è questo il succo della storia, Harry."

"Deve stare continuamente sotto il nostro controllo." -continuò.

"Lo so."

Sbattè la mano nella mia spalla, nuovamente, dopodiché uscì dalla stanza.
Mi avvicinai lentamente a Tamara.
Il suo polso era fasciato, così come la sua testa. Non potevo vedere altro, poiché era coperta. Avevo paura anche a sfiorarla. Era così fragile.

"Harry, devo farti uscire." -il dottor Warren mi fece trasalire.

"Si."

Lanciai un veloce sguardo a Tamara.

"Ti amo." -sussurrai, prima di lasciarla lì, da sola.

Camminammo lungo il corridoio, fino all'ingresso, dove Eva mi aspettava.

"È in coma." -dissi, non sbattendo ciglio.

Eva annuì e mi abbracciò.

"Andiamo a casa." -sussurrò.

Mi voltai verso il dottor Warren, porgendogli la mano.
L'afferrò con forza.

"Ci prenderemo cura di lei."

"Lo so." -dissi.

Io ed Eva camminammo verso l'uscita, quindi verso l'auto. Fuori tirava un vento abbastanza fresco, che avrei di solito reputato fastidioso, ma in quel momento, la rabbia che avevo dentro, mi ribolliva e faceva salire in me la temperatura.

"Come ti senti?" -mi voltai verso Eva, seduta nel sedile del passeggero.

Non risposi. Scossi solo la testa.

Il professore della porta accantoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora