•CAPITOLO 84•

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Harry:

"Tamara?" - la chiamai. Non rispondeva. Sentivo parlare sottovoce e non distinguevo le parole.Sentì un botto e un' interferenza.
Merda.
Uscì velocemente da casa mia e misi in moto l'auto. Tamara era li, con un uomo che non conosceva e non conoscevo nemmeno io.
Corsi il più velocemente possibile, ma c'era traffico. Porca puttana.
Presi il telefono e provai a chiamarla. Squillava a vuoto.

"Cazzo." -sbattei le mani sul volante, quando il traffico si fece più intenso; il classico traffico serale. Cercai di uscire dalla coda, ma non era possibile.
Chiamai ancora; nulla.
Sapevo che non era Stephen, Tamara aveva risposto fin troppo gentilmente. Ma.. se fosse stato qualcuno mandato da lui? Questa volta avrei combinato un fini mondo.
Il telefono squillava a vuoto.
Suonai il clacson. Si camminava a passo d'uomo ed io cominciavo ad innervosirmi.
Abbassai lo sguardo, quando il mio telefono vibrò; Tamara.

"Tamara, piccola, tutto bene?" -chiesi, allarmato.
La sentivo singhiozzare.

"Harry.."

"Tamara, dove sei?"

"Chiusa in camera mia. Vieni subito, ti prego." -pianse.

"Sono già per strada, piccola, arrivo. Dimmi cosa sta succedendo."

"Lui.. dice di essere mio padre, ma quando ho detto di non credergli, si è infilato in casa e mi ha rincorso."

Un turbine di rabbia mi crebbe dentro, ma la fila stava cominciando a sciogliersi; un incidente sulla destra.

"Non muoverti di lì. Sto arrivando."

"Rimani con me, per favore." -pianse.

"Certo. Piccola arrivo. Dimmi cosa senti".

"Niente. Passi. Sta arrivando. Harry corri!"

Superai molte auto, ma il traffico non cessava.
Sentì un botto e l'urlo di Tamara.

"Tamara!" -la chiamai. La telefonata venne interrotta.
Cazzo.
Mi infilai nella corsia d'emergenza e corsi, nonostante sapessi di potermi beccare una multa. In quel momento non mi importava di nulla. Volevo solo arrivare da Tamara.
Provai a chiamare, ma il telefono era spento.
Entrai nel vialetto e parcheggiai la macchina proprio difronte casa sua. Non mi preoccupai di chiudere i finestrini.
Corsi, la porta d'ingresso era chiusa e non c'era modo di aprirla. Diedi pugni, calci; niente. Sentivo piangere, sentivo Tamara piangere.
Andai di corsa sul retro, ma la porta era chiusa; ripetei le stesse azioni di prima, calciando la porta. Dal retro sentivo le urla ancora più distintamente. Cazzo.
Diedi un altro calcio alla porta ed entrai di corsa, quando il legno sbatté per terra.
Corsi su per le scale, spalancando la porta della camera della mia ragazza.
Il mondo sembró crollarmi addosso; la rabbia mi ribolliva dentro come non mai. Sapevo che il vecchio Harry, quello cattivo, furioso, duro ed arrabbiato, stava venendo fuori. Tamara era sdraiata per terra, senza mutandine; aveva la maglietta sporca di sangue e l'uomo dietro di lei, continuava a violentarla. Nella mano sinistra, teneva un coltello dalla punta macchiata di rosso.
Tamara non riusciva a guardarmi; si dimenava senza sosta e teneva il viso basso, i capelli davanti.
L'uomo mi guardò, si alzò e tirò su i pantaloni. Non ebbe il tempo di fare altro, perché lo spinsi verso il muro con forza. Bloccai il suo polso, quando tentò di accoltellarmi alla spalla.
Cominciai a prenderlo a pugni, finché non si accasciò per terra, senza più lottare. Lo spinsi verso il centro della stanza e feci ciò che feci con Stephen: mi misi su di lui e continuai a colpirlo. Non riuscivo a fermarmi, non volevo fermarmi.
Non si muoveva più; il sangue colava dalla bocca e macchiava la barba scura. Sapevo bene che non poteva essere il padre di Tamara.
Colpivo il suo viso, volevo che morisse; me ne fregavo della prigione. Mi guardò dall'occhio tumefatto, cercando forse pietà.

Il professore della porta accantoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora