•CAPITOLO 33•

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Sbiancai, appena la vidi.
I jeans aderentissimi fasciavano le sue lunghe gambe, facendola sembrare più alta.

"Emily, come mai qui?" -mia madre sapeva che io ed Emily non andavamo molto d'accordo; forse è per questo che rimase accanto a noi.

"Dovrei parlarti, se posso." -non avevo mai visto un sorriso più finto di quello che mi rivolse.

"Certo." -sapevo perché era lì; mi spostai lateralmente, indicando le scale con la mano. Sorrisi a mia madre, poco prima che entrasse in cucina.
Non appena fummo in camera mia, Emily incrociò le braccia al petto, guardandomi.
Chiusi la porta alle mie spalle, osservandola.

"Allora?" -le chiesi, sedendomi sul mio letto.

"Non fare l'ingenua con me, Tamara." -alzai un sopracciglio.

"Non so di cosa tu stia parlando."

"Oh, si che lo sai!" -il suo tono era prepotente.
Il mio cellulare emise una vibrazione, poi un'altra e un'altra ancora; Harry mi stava chiamando. <Non potevi scegliere momento peggiore, Harry..> -urlò la mia dea interiore. Fortunatamente, il mio cellulare era accanto a me; chiusi la chiamata, nascondendo l'apparecchio sotto il cuscino.

"Chi era? Il tuo amato professore? Perché non rispondevi?" -uscì una risatina, dalle sue labbra.
Aggrottai le sopracciglia, sentendo un vortice di ansia, crescermi dentro lo stomaco.

"Emily, sei ridicola."

"Oh no, tesorino, non sono ridicola. Io so quello che dico."

"Si? E come fai ad esserne così sicura?" -rimasi seduta, poiché, se mi fossi alzata, sarebbe finita male. Strinsi i pugni, quando la sua mano tirò indietro una ciocca di capelli.

"Lo so e basta. Cosa c'è fra voi?"

"Emily, è un nostro professore!"

"Oh, io lo so, forse dovresti capirlo anche tu, no?"
Alzai gli occhi al cielo, quando il mio cellulare vibrò nuovamente.

"Rispondi, dai!" -Emily posò le mani in ambi i suoi fianchi.

"Smettila, Emily, è solo Charlie. Vattene via."

"Io vi metterò in ridicolo, chiaro? Non finisce qui, Tamara." -la sua figura scomparve oltre la porta e tirai un sospiro di sollievo.
Rimasi ad aspettare che la porta di casa si chiudesse. Non appena venne sbattuta, cercai a tentoni il telefono sotto il cuscino. Harry aveva già chiuso, così lo richiamai, assicurandomi che mia madre non stesse salendo le scale.

"Tamara!" -la sua voce fu un sollievo. Era così profonda.

"Harry, scusami."

"Non preoccuparti piccola! Tutto apposto?" -il suo tono era dolce, basso.

"No, per niente. Emily è stata qui."

"Cosa? Emily?" -ripeté.

"Si. È venuta a dirmi di essere sicura di quello che c'è tra noi."

Sentì il respiro regolare di Harry.

"Stai bene?"

"Si, sto bene." -la mia voce era tremolante.

"Stai tranquilla, Tamara! Ci sono io con te..."

"Lo so!"

"Domani e dopodomani c'è il corso di fotografia. Avrò gli alunni a casa." -mi disse. Vero.

"Si, ricordo."

09:53 p.m.
Come poteva essere capace di calmarmi? La sua voce mi tranquillizzava da morire.
Mi sdraiai, gettandomi a peso morto nel mio letto. Harry sarebbe arrivato da me di li a poco.

Feci una smorfia, quando i miei denti divennero ghiacciati, a causa del gelato. Mamma era andata via già da mezz'ora.
Corsi in camera mia, con la stecca del gelato ancora in bocca; guardai il mio riflesso sul grande specchio.. poteva andare.
I miei pantaloncini neri, si abbinavano alle righe stampate sulla canotta bianca; nulla di che; normale abbigliamento da casa. Guardando ancora il mio riflesso, abbassai di poco la scollatura, mettendo ancora più in mostra la collana.. e non solo.
I miei capelli erano ancora bagnati, così, misi un po di schiuma per capelli, in modo da non farli diventare orribili, una volta asciutti.
I miei piedi nudi, si appiccicavano al pavimento, ad ogni passo che compivo, e con un sorriso, notai che anche lo smalto dei miei piedi era nero, e si abbinava al mio outfit.
Sorrisi, quando il campanello emise il classico suono. Gettai il bastoncino di legno del gelato nel cestino,mentre uscivo dalla mia camera. Scesi le scale in fretta e furia, catapultandomi alla porta.
Non appena aprì, un adone mi si posò davanti.
Harry portava dei jeans neri e una maglietta verde militare, con maniche a trequarti.

"Ciao!"

"Ciao piccola." -chiusi la porta, gettandogli le braccia al collo, una volta che fummo entrambi dentro.
Mi sollevó, in modo che potesse prendermi in braccio e baciarmi.

"Hai visto se c'era qualcuno fuori?" -chiesi.

"Non c'è nessuno. Ed ho parcheggiato la macchina più lontano."

"Portami di sopra." -dissi.

Mi portava come se non pesassi nulla.
Non appena fummo in camera mia, mi mise giù, abbracciandomi.
Poggiai la testa sul suo petto, sentendo il battito del suo cuore.

"Tutto bene?" -mi domandò, sollevando il mio mento con le dita.
Annuì, dandogli un bacio vicino la clavicola destra.
Gli afferrai la mano, davvero grande in confronto alla mia.
Si guardò intorno, osservando la mia camera. Nella mezz'ora che precedette il suo arrivo, mi diedi da fare per ordinarla il più possibile.

"Carina"-rise, indicando una mia foto, scattatami all'età di 6 anni.
Risi anche io.
Lo vidi dirigersi verso la panca davanti la grande finestra, sedendosi. Le sue mani sbatterono sulle sue cosce, invitandomi a sedere su di lui.
Gli posai un braccio intorno al collo, mentre lui, allungava le mie gambe lungo la panca.
Gli stampai un bacio su di una fossetta, facendolo sorridere.

"Allora? Dimmi tutto." -sospirai.

"Si, è venuta a dirmi che è sicura di sapere ciò che c'è tra me e te." -dissi tutto d'un fiato, mostrando un filo di ansia.

"E tu?" -mi guardava le labbra.

"Ho provato a smentire, ma mi ha assicurato che ci avrebbe scoperti, in qualche modo." -mi accarezzò la guancia.

"Non preoccuparti, va bene?" -come facevo a non preoccuparmi? Quella ragazza era capace di tutto.
Annuí, poggiando la testa sul suo petto.
Lo sentì ridere leggermente, non capendo il perché.

"Perché ridi?" -abbassó la testa, continuando a ridere.

"Perché sei così spaventata!" -mi accarezzò la guancia.
Alzai le sopracciglia.

"E questo ti fa ridere?" -lo provocai, sorridendo.

"Si. Sei così tenera." -mi stampò un bacio sulla guancia destra.

Socchiusi gli occhi, stringendomi ancora di più a lui. Sorrisi, baciando il suo braccio, che cingeva il mio piccolo corpo.
La mia schiena aderiva perfettamente al suo petto; facendomi sentire ancora più piccola.
Harry sarebbe andato via domattina, presto; prima che mia madre rincasasse.
Come pensavo, Harry mi diede la traccia del compito che si sarebbe svolto il giorno dopo.
Erano ormai le undici e trenta, circa; mostrai le mie doti culinarie ad Harry, preparandogli della pasta.
Mi resi conto di quanto fosse bello stare tra le sue braccia, sdraiati nel mio letto, con la luce della luna ad illuminare parzialmente la stanza.

Giovedì, 05:50 a.m.

"Tamara?" -una voce familiare rimbombò per la casa. Mia madre.
Spalancai gli occhi, voltandomi verso Harry. Rendendomi conto, che era ancora li, addormentato.

"Harry, Harry!"-lo chiamai, fin quando aprì gli occhi, con un'espressione interrogativa. Capì tutto quando sentì la voce di mia madre, urlare il mio nome.

Il professore della porta accantoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora