•CAPITOLO 38•

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Salì in camera da letto quando Harry mi disse che erano arrivati gli alunni per il corso di fotografia. Non avrei partecipato. Rimasi in camera da letto per tutto il pomeriggio. Scambiai messaggi con Charlie e mamma.
Inventai l'ennesima bugia a mamma, dicendole che ero a casa di Charlie e che forse, avrei dormito da lei.

Venerdì, 07:21 a.m.
Aprì gli occhi, strizzandoli quando il sole mi arrivò dritto in faccia.
Quel giorno avrei marinato la scuola.
La porta della camera da letto era chiusa, ma mi resi conto che Harry avesse dormito nel letto con me, dato che il cuscino aveva la forma della sua testa e che l'orologio ed il suo telefono fossero posati sul comodino. Quel maledetto telefono.
Rimasi un po' a letto, osservando la finestra, o meglio, ciò che stava dietro. Vedevo le case, i tetti, gli alberi. Mi alzai, affacciandomi dal balconcino. Abbassai lo sguardo, notando che il famoso posacenere, era ormai vacante. Sospirai, ripensando a quella notte. Pensavo in continuazione al fatto che lui potesse avere altri tipi di droghe,in casa. Ciò mi faceva arrabbiare, ma soprattutto, mi faceva preoccupare. Anche se in quel momento non parlavo con lui, rimaneva sempre una delle cose più importanti della mia vita.
Pensai anche a quello che Yvonne mi disse il pomeriggio precedente. Non sarebbe stata la prima volta che avrei visto dei vetri sul pavimento. Non ne capivo ancora il senso. Harry era la mia vita, ormai. E mi preoccupavo per lui. L'unica cosa bella in un mondo scuro, triste, privo di magia. Mi ero innamorata di lui, in poco tempo.
Lui aveva colmato quella parte vacante in me.
Chiamai mamma, quando mi accorsi di aver ricevuto un suo messaggio; era appena tornata a casa.

"Mamma, sono da Charlie!" -le dissi.

"Si, io sono appena tornata. Vado a fare una doccia e poi a sbrigare delle cosette alla posta"

"Va bene, ci sentiamo dopo, allora!"

"Sta attenta, Tami!"

"Anche tu!"

Chiusi la telefonata e le mandai un messaggio con un cuoricino. Lei ricambiò allo stesso modo.

12:30 p.m.

"Ai, cavolo."-portai il dito alla bocca, quando toccai la padella calda, accidentalmente.
Quella mattina, incrociai Harry in salotto, in cucina. Era pur sempre casa sua; ero io, ad essere fuori posto.
Nonostante i forti tentativi di chiarire che attuò Harry, io rimasi impassibile. Stavo cucinando anche per lui, ma non voleva dire che era nuovamente tutto rosa e fiori. Anzi, non era per niente rosa e fiori.
Trasalì,quando trovai Harry poggiato allo stipite della porta, al suo solito. Portai la padella a tavola, posando una fetta di carne nel suo piatto, ed una fetta nel mio.
Si sedette, silenzioso.
Allungai un braccio, per afferrare la ciotola con l'insalata e accidentalmente gli sfiorai il polso.

"Tamara.. parlami, ti prego."-alzai lo sguardo, ma lo abbassai subito, sul mio piatto.

"Non voglio."

"Ti prego." -lasciai cadere le posate sopra il mio piatto, guardando Harry.

"Cosa cavolo vuoi che ti dica?"

"Non lo so, qualunque cosa."-girai di poco la testa,tornando a guardarlo.

"Sei un bastardo. Ti basta?"-afferrai nuovamente le mie posate e continuai a mangiare.

"Lo so." -lo guardai.

"Bene, sarebbe stato peggio se non l'avessi saputo."-di colpo, anche il pezzo di carne che stavo masticando, sembrò sapere di metallo.

"Tamara, io non riesco più a stare così. Mi fa malissimo vederti piangere e non poter intervenire. Mi fa male vederci così." -sospirai, guardandolo ancora.

"L'hai voluto tu, Harry."

"Se solo tu mi dessi modo di rimediare.."-lo interruppi, alzando lo sguardo.

"Non puoi rimediare, Harry. Io non ti perdonerò, fin quando non saprò l'esatto motivo per cui tu mi abbia tradita." -allontanai il busto dal tavolo, appiccicando la schiena alla sedia e incrociando le braccia al petto.
Abbassò lo sguardo.

"Non lo so." -la sua voce era quasi udibile.

"Perché sono un coglione." -continuò. Annuì con la testa e pensai tra me e me che perlomeno riusciva ad ammetterlo.

Non era stato solo un coglione, per me. Ma molto di più. Lui, in prima persona, sapeva cosa significasse non avere un genitore accanto. Nel mio caso, la figura di un uomo, che avrebbe dovuto colmare lui stesso. Lui in prima persona, sapeva che non meritavo un simile torto.

"Forse aveva ragione Yvonne; quando diceva che preferisci le donne più grandi. Forse non sono fatta per te, Harry." -lui alzò lo sguardo, fissandomi e agitando la testa, in segno di negazione.

"Non dirlo neanche per scherzo, Tamara."

"Non dirlo mai più." -lo guardai a lungo, inchiodando i miei occhi ai suoi.
Intanto, mi alzai, portando il piatto ormai vacante, al lavello.

Rimasi immobile, dandogli la schiena, poco prima di voltarmi, appoggiandomi al freddo marmo della cucina.

"Io.."-non riuscì a completare la frase, poiché il suo telefono squillò.

"Rispondi, Harry." -la suoneria del cellulare, sembrò spanarmi i timpani.
Tirò fuori il telefono, dalla tasca dei jeans.

"Pronto?" -si voltò verso di me, guardandomi.

"No, oggi non è possibile, mi spiace. Ha già un'altro impegno." -qualcosa mi fece pensare che stesse parlando di me, ed inclinai un po' la testa, cercando di ascoltare, invano.
Mi staccai dal bancone, andandogli incontro.

"Le farò sapere presto. Buona giornata."

"Chi era?" -alzò lo sguardo, squadrandomi.

"Il fotografo."
Una bollente rabbia mi bollì dentro. Aveva deciso per me. Senza interpellarmi.

"Perché cavolo gli hai detto che non posso andarci?" -il mio tono si alzò, di molto.

"Perché tu non andrai via da qui, se prima non chiariremo."-uscì velocemente dalla stanza, sentendomi chiamare da Harry, che adesso, mi seguiva.

Afferrai velocemente il giubbotto dall'appendiabiti, precipitandomi alla porta.

"Tamara, fermati subito." -non osai voltarmi. Non chiusi nemmeno la porta e iniziai a correre per strada.

Notai i volti dei passanti, abbastanza scioccati dalla scena che si stava svolgendo davanti ai loro occhi. In quel momento non mi importava di nulla. Volevo andare a casa mia, lontana da lui.

Il professore della porta accantoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora