•CAPITOLO 97•

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Una settimana dopo.

Quando Harry aprì la porta d'entrata di casa sua, mi sentì subito bene.

Tentai di spostare la pesante porta con la gamba, ma gemetti quando sentì un po' di dolore. La gamba andava bene, ma avevo ancora bisogno delle stampelle per non fare troppa pressione.
Harry tenne la porta aperta per farmi passare, dopodiché, la chiuse alle nostre spalle.
La casa era identica a come la ricordavo, niente era cambiato; sul tavolino del salone c'era soltanto uno degli inviti dell'inaugurazione della mostra di Harry.

"E quello? Che ci fa lì? -chiesi.

"Stavo sistemando un po' e l'ho trovato".

Guardai Harry camminare verso l'interruttore della cucina, pochi secondi dopo, la luce illuminò la stanza.

"Hai fame?"

"Si, ma ho voglia di pizza". -dissi. Non mangiavo pizza da tantissimo tempo.

Harry sorrise e mi venne incontro. Quanto amavo quel sorriso.

"Mm... fammi indovinare..." -cominciò, baciandomi una mano.

"La vorresti con le patatine...con tantissime patatine...vero?"

Risi quando indovinò la pizza che desideravo.

Un'ora dopo stavo seduta sul divano con la gamba dolorante poggiata al tavolo e con il cartone della pizza accanto.
Ero persa a guardare Harry, seduto sul divano con le gambe divaricate, la mano sulla mia coscia, mentre con l'altra reggeva una bottiglia di birra ormai quasi vuota.
Era una delle visioni più belle che potessi chiedere di avere.
Quando si accorse che lo stavo guardando con forse un po' di insistenza, sorrise, guardandomi per qualche secondo.
Non mi vergognavo di guardarlo. Una cosa così bella meritava di essere guardata a lungo.

Finì la mia pizza e posai il cartone vuoto sopra il tavolo.

"Non ho mai adorato così tanto una pizza in vita mia." -dissi, guardando Harry che adesso stava in piedi davanti a me.

"Sono felice che tu stia mangiando."

"Che intendi?"

"Il dottore mi ha detto che in ospedale hai mangiato davvero poco. E che se avessi continuato a mangiare in quel modo, avrebbe dovuto farti altre flebo." -rabbrividì al pensiero di un altro ago ficcato al mio braccio. Non ne potevo più.

"La pizza è pizza!"

"Hai parlato con tua madre?" -chiese.

Pensai a mamma. Si, le avevo parlato al telefono.
Sapeva dove fossi e con chi fossi. A quel punto, non c'era più motivo di doverle inventare di essere in un fantomatico posto, quando in realtà stavo con Harry.
Sapevo che fosse arrabbiata, delusa, triste, ma sapevo anche il bene che mamma provava per me. Ed era infinito. Sapeva che ero felice, che stavo bene.
Mi faceva male la pancia quando pensavo che avrei dovuto farli incontrare. Questa volta, avrei dovuto presentare Harry come il mio fidanzato.
Mamma adorava Harry; sotto forma di professore, certo. Ma la differenza era poi così tanta? Harry era comunque sempre Harry. Professore o... fidanzato.
E poi, Harry non avrebbe più insegnato nella mia scuola. Quindi non ci sarebbe stato più alcun pericolo.

"Si, un po'."

"Come sta?"

"Sollevata dal fatto che io stia bene e che sia uscita dall'ospedale." -dissi.

"Si sistemerà tutto... le spiegheremo tutto ciò che è accaduto."

Quando la sua mano toccò il mio viso, mi sembrò di volare tre metri sopra al cielo.
Mi strinsi a lui, sistemandomi comoda nel divano di pelle del salone.
Harry aveva spento la grande abat-jour nell'angolo, quindi la stanza era illuminata solo dalla tv.

Una settimana dopo.

"Sei sicura, Tamara?" -mamma mi guardò e ancora una volta mi fece la stessa domanda.
La sua auto era parcheggiata proprio difronte l'accademia.

"Si, mamma! Dovrò pur tornare a scuola, prima o poi, no?" -risi. Lei rise con me.

"Si ma se non ti senti ancora bene... e poi ho paura che..."

"Cosa? Che Stephen sia ancora in giro e possa farmi del male?" -la interruppi.
Kris le aveva raccontato tutto, per filo e per segno.. Adesso lei sapeva tutto. Sapeva tutto ciò che era successo prima che io finissi in ospedale ed era scoppiata a piangere.

"Si."

"Non devi avere paura... lui non si farà più vivo." -cercai di convincere anche me stessa con quella frase. Harry mi aveva detto così e di lui mi fidavo.

"Va bene."

Diedi un bacio a mia madre e scesi, con una smorfia, dall'auto. La ferita alla coscia mi faceva male solo se facevo peso sulla gamba.
Non dovevo più camminare con le stampelle, mi ero abituata a camminare senza far troppo peso sulla gamba.

"Ciao Tamara!"

Una voce familiare risuonò alle mie spalle, poco prima che entrassi nel plesso centrale.
Non riuscivo a collegarla a nessuno.
Mi voltai e vidi Brandon.

"Ei, ciao!"

"Come stai?" -mi chiese, avvicinandosi a me.

"Molto meglio.. grazie!"

"Volevo... ringraziarti!" -continuai.

"Per cosa?"

"Beh, mi hai aiutata... mi hanno detto che sei stato in ospedale con me e che... hai avvisato la mia famiglia. Quindi, grazie."

"Non devi ringraziarmi. Ho parlato con il tuo fidanzato, qualche settimana fa. Ero venuto a trovare te o.. Eva, ma ha aperto lui."

Ricordo perfettamente quando mi nascosi dietro la porta mentre Harry parlava con lui. Lo aveva ringraziato anche lui.

"Si, me lo ha detto..."

"Posso chiederti una cosa, Tamara?"

"Certo!"

Lo seguì fino al marmo delle scale esterne e ci sedemmo sui grandi gradini grigi.

"Ecco, io... sono in questa Accademia da poco..."

Lo guardai aggrottando le sopracciglia. Sembrava imbarazzato.

"Sono andato sul sito della scuola per cercare dei corsi extra scolastici. E... scendendo a pochi mesi fa, ho visto una foto di..."

Oh no. La foto di Harry nel sito della scuola... ricordai quando Charlie mi chiamò apposta per farmela vedere. Era forse lo stesso giorno in cui lo avevano conosciuto.

"Di un'insegnante."

"Si." -dissi, cercando di mascherare la paura.

"Stai con un' insegnante?" -chiese.

Mi voltai a guardare se ci fosse qualcuno nei paraggi.

"Lui... non è più un'insegnante di questa scuola." -ammisi.

"Io non ti giudico, Tamara. Ho soltanto visto una sua foto e ho collegato il suo viso a quello del ragazzo che mi ha aperto la porta a casa tua."

"Si, è lui."

Brandon mi sorrise e mi sentì sollevata, poi guardò un punto fisso davanti a lui e tornò serio.

"Beh, se avessi anche io un professore come lui...ci proverei."

Ridemmo insieme. La sua ironia mi divertiva. Lui guardò in basso ed accennò un sorriso leggero, poi tornò serio, di colpo. I suoi cambiamenti d'umore mi facevano venire il mal di testa.

"Ti prego di non dirlo a nessuno. Finirei nei guai.. anzi, finiremmo nei guai, se qualcuno dovesse saperlo."

"Non sono il tipo che fa la spia. Stai tranquilla."

Il professore della porta accantoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora