Lady Chatterley's Lover.

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Lady Chatterley's Lover.


(Castiel POV)
"E' così che sono gli uomini! Ingrati e mai soddisfatti. Quando gli respingi ti odiano perchè gli respingi; e quando li vuoi ti odiano lo stesso, per qualche altra ragione.
Oppure senza nessuna ragione, solo perchè sono come bambini capricciosi, mai soddisfatti, qualunque cosa ottengano, per quanto una donna possa fare"

Come sempre, quando sto male e non so come affrontare le cose, leggo.
Non è un caso che la mia libreria sia così stracolma di libri, o che sia diventato un professore di letteratura.
A furia di leggere libri giorno e notte, ho pensato che fosse la cosa più logica da fare con la mia vita.
Funziona sempre, quando ho un dubbio, leggo la storia di qualcuno che l'ha già affrontato, e questo mi aiuta a chiarirmi le idee.
L'amante di lady Chatterly è un bellissimo libro, sincero e crudo.
Ma lo odio. Odio l'idea di essere io l'amante.
Può sembrare folle ed eccitante, un segreto proibito, un avventura.
La verità è che questo funziona solo quando si tratta di sesso, in quel caso il segreto aumenta il desiderio, rende tutto più eccitante.
Quando tieni ad una persona però, quando ci tieni davvero, anche se nemmeno tu ne capisci il motivo, la vuoi tutta per te, non vuoi condividerla.
Non vuoi essere il suo sporco segreto, quello a cui scrive messaggi nascosti, quello da cui andare quando la sua ragazza lo fa incazzare o le cose vanno male.
Vuoi che guardi solo te, che baci solo te, che ami solo te.
"Forse l'animo umano ha bisogno di escursioni, e non si deve negargliele. Ma la caratteristica dell'escursione è che si ritorna sempre a casa."
Maledetto Lawrence.
Cosa sono io? L'escursione o la casa?
Se penso che neanche lo volevo questo rapporto, ho fatto di tutto per evitarlo, e ora che ci sono dentro, vorrei solo che lui si dedicasse a me.
Invece è sempre diviso tra me e lei, e chissa con quale altra ragazza.
So che ci tiene a me, lo vedo, lo percepisco con chiarezza.
Ma tiene anche alla sua libertà, alla sua indipendeza.
Ed è di questo che si tratta alla fine, stare con una persona vuol dire rinunciare alla propria libertà, smettere di dire io, e iniziare a dire noi.
Lo so che fa paura, lo so che è giovane e inesperto, lo so che chiedergli di lasciarla lo spaventerebbe e che si chiuderebbe in se stesso.
Ma so che non è questo quello che voglio.
Io voglio lui, ci ho messo mesi per rendermene conto, ma è così.
E ho paura che se lui continua in questo modo, quel sentimento così forte e vivo che provo per lui inizierà a tramutarsi in odio, e poi in indifferenza.
Non voglio che accada, ma non so come impedirlo.
Guardo fuori dalla finestra, nevica, e penso a quanto sarebbe bello poter guardare la neve con lui nel mio letto, nudi ed abbracciati.
Invece lui è con sua figlia.
Un momento. Sua figlia? Solo ora mi ricordo di questa parola, ero così preso da tutto il resto del disorso che non ci ho fatto caso.
Santo cielo, ha una figlia? Con quella ragazza? Con un'altra?
Che diavolo faccio adesso?
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Guardo l'orologio sul comodino, sono le sei di mattina.
Chi diavolo bussa a quest'ora? Dean?
Mi alzo, incimpando in Oscar, e barcollo fino alla porta con gli occhi semi chiusi.
Credo di essermi addormentato un ora fa. Forse.
Apro e per poco non mi viene un colpo.
Dean è tutto contuso, ferito, con i vestiti lacerati e sporchi di terra.
Mi guarda con un mezzo sorriso e si appoggia alla porta come se dovesse cadere da un momento all'altro.
"Dean! Che diavolo ti è successo?" Urlo afferrandolo e portandolo dentro.
"E' tutta colpa maledizione!" Sbotta.
Mi accorgo che puzza di alcool. E tanto.
"Mia? Mi dici che hai combinato?"
Ride, ma non di quelle risate allegre, di quelle isteriche.
"Vuoi sapere che ho combinato? Ho perso! Un sacco di soldi! Quei bastardi per poco non mi ammazzano!" Dice buttandosi sul divano.
"Perso? Perso cosa? Dean, in che casino ti sei cacciato? Vuoi che chiami la polizia?"
Mi affretto a raggiungerlo sul divano, cercando di capire la gravità delle ferite.
Ride di nuovo.
"La polizia... Ma certo vai a chiamarla, così domani vado direttamente al cimitero."
"Non dire stupidaggini! Non permetterò che ti accada niente del genere!"
Il solo pensiero mi toglie il respiro.
"Almeno rivedrò mamma e papà..."
"Piantala!" Sento le lacrime scendermi sul viso, mi fa davvero male sentirlo parlare così.
Anche se fa il duro, la perdita dei genitori l'ha davvero devastato.
"Tu e le tue cazzate mi avete ridotto così. Continuavo a pensare a te, e ho perso!"
"Perso cosa? Vuoi spiegarmi? Sono stanco di questi segreti dannazione! Parlami!"
"Non sono mai abbastanza... E' inutile, faccio di tutto e non basta mai..."
Mi spezza il cuore se parla così. Mi sento così in colpa...
"Dean... Adesso basta, ne parliamo domani, sei stanco e ferito, lascia che mi prenda cura di te."
Lui mi guarda, con quegli occhi lucidi e profondi, che dicono ho bisogno di te.
Mi alzo per andare a prendere la cassetta del pronto soccorso, quando lui mi blocca, afferrandomi la mano.
La stringe forte, con gli occhi chiusi e il respiro pensante.
Mi sdraio affianco a lui, prendendolo tra le mie braccia, e lo riempio di baci sulla fronte e sulle guancie. Sa di fango e di sangue, ma non me ne importa.
"Va tutto bene - Sussurro accarezzandogli i capelli - Sei a casa, ci sono io."
Lui mugola qualcosa e mi abbraccia, affondando la faccia nel mio pigiama.
E' così tenero...
"E' tutto ok, adesso dormi, mio piccolo principe... Veglierò io su di te."  

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