Wuthering Heights.

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Wuthering Heights.


(Castiel POV)
Quando arrivi in alto, quando scali la montagna più alta e sopra di te c'è solo il cielo limpido, oltre l'euforia e la gioia di essere arrivato dove hai sempre voluto ti rimane un agghiacciante paura: Cadere.
Perchè una volta che sei arrivato così in alto, sai la caduta ti ucciderà.
Sai che non puoi salire oltre le nuvole, e che sotto di te c'è solo il vuoto, il nero oblio.
E se cadessi? Che accadrebbe? Riusciresti mai a rialzarti?
No, risponde una vocina dentro di te.
Sto precipitando, sempre di più, e so che una volta che avrò toccato terra morirò.
Morirà la mia anima, morirà il mio cuore, perchè non rimarra nulla per cui valga la pena di vivere.
Mi sembra come se il tempo si sia fermato da quando Dean se n'è andato, continuo a chiamarlo, ripetendomi che tornerà, che è solo un momento, che da un secondo all'altro busserà alla mia porta.
Solo che questo non accade, e io rimango immobile con la mia disperazione.
Meg è tornata in hotel con il bambino, quel bambino che potrebbe essere mio figlio.
Mio figlio. Com'è possibile? Com'è accaduto tutto questo?
Voglio riavvolgere il tempo, tornare a quel momento sul divano, e fermarlo.
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La lezione procede come sempre, io spiego, gli alunni ascoltano, eppure niente è come sempre, perchè Dean non mi guarda.
Continuo a guardare verso di lui sperando in un sguardo, un sorriso, un cenno, qualsiasi cosa.
Ma lui fissa il foglio, immobile, quasi come se non fosse qui.
Quando la lezione finisce lui cerca di uscire subito, ma lo blocco usando l'autorità del professore, non ho alternative.
Lui resta con la testa bassa, accanto alla porta, in silenzio.
"Dean... Dobbiamo parlare." Gli dico accarezzandogli il braccio.
"Non abbiamo più niente da dirci." Risponde lui scostandosi da me.
"Abbiamo tutto da dirci..."
"No, vivi la tua vita e sii felice Cas..."
"E come faccio? Come faccio senza di te?"
Lo prendo per le braccia, cercando di abbracciarlo, ma lui si ritrae.
Sento il cuore spezzarsi ogni minuto di più.
"E' la cosa giusta da fare Cas..." Dice con la testa bassa e gli occhi socchiusi.
"Da quando ti importa di fare la cosa giusta?"
"Da quando c'è in gioco la vita di un bambino! - Urla - Cazzo ma cosa pretendi da me eh? Che ti dica di abbandonare quella creatura a se stessa per spassartela con me?"
"Dean, tu non capisci..."
"No, sei tu che non capisci! Non puoi capire cosa voglia dire crescere senza un padre, soffrire e sentirsi solo e abbandonato, ma io si! E ora pretendi che condanni un bambino allo stesso infame destino per egoismo?"
Tra di noi cala il silenzio, e io allento la presa.
"Sei cresciuto Dean... Questo è quello che farebbe una persona matura..."
E' tutto ciò che riesco a dire, spiazzato dalle sue parole.
"Non è quello che volevi? Che crescessi? Beh l'ho fatto! Ora pensa a crescere tuo figlio..." Lo dice in un sussurro tormentato, come se ogni parola gli facesse male e graffiasse per uscire dalla bocca.
Non l'ho mai visto così...
Sento le lacrime uscirmi dagli occhi, e fa male, fa così male che vorrei urlare e accasciarmi a terra.
"Dean io... Io ti amo. Ho bisogno di te!"
Lui si allontana, senza guardarmi.
"Ci sono cose più importanti dell'amore... Tuo figlio ha bisogno di me, molto più di quanto tu e io ne abbiamo dell'altro.."
"Dean ti prego, non lasciarmi..."
"Non deluderlo ok? E non deludere me, perchè sei tu che mi hai fatto diventare quello che sono..." Sento la sua voce incrinarsi, poi si gira, ed esce dalla porta.
Rimango li, immobile, stordito, confuso, distrutto, senza respiro.
E' come se il mio cuore e il mio cervello si fossero fermati.
Non è possibile che stia accadendo, devo tornare indietro, devo fermare tutto questo...
Quando finalmente riesco ad uscire dal college, come un corpo senza vita che procede per inezia, vedo Meg ad aspettarmi, con un bambino in braccio.
Mi avvicino titubante a lei, come chi si avvicina al fuoco.
Lei sorride, mi porge bruscamente il bambino, poi si accende una sigaretta.
Rimango con quel piccolo essere in mano, che sorride e si guarda intorno curioso.
"Come si chiama?" Domando a Meg, con il cervello che lentamente inizia ad uscire dalla nebbia.
"Jack." Risponde lei soffiandoli in fumo in faccia.
Jack. Mio figlio si chiama Jack.
Una parte di me si chiama Jack.
Il bimbo tossisce, e Meg continua a fumare indifferente alla sua sofferenza.
Non posso lasciarlo nelle sua mani, non posso permettere che questo bambino cresca così.
Sono suo padre no? Non è compito di un padre porteggere suo figlio? Insegnarli a vivere?
Devo insegnarli a leggere i grandi autori, ad andare in bicicletta, a guidare e a pescare... E' una mia responsabilità dopotutto. Devo fargli conoscere le cose veramente importanti, anche se per farlo, devo rinunciare alla persona che per me è più importante di tutte.
Mi torna in mente una frase che mio padre mi disse da ragazzo: Il giorno che ti troverai davanti ad un bivio e dovrai compiere una scelta, dovrai scegliere tra la cosa giusta e la cosa facile.
Vorrei solo che la cosa giusta non fosse così dolorosa. 

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