All was well.

472 24 4
                                    

All was well.


(Dean POV)
"Queste gioie violente hanno fini violente. Muoiono nel loro trionfo, come la polvere da sparo e il fuoco, che si consumano al primo bacio."
Le lezioni a scuola erano delle vere e proprie torture, non facevo altro che fissare un foglio e scarabocchiare citazioni che non volevo leggere, quelle che mi ricordavano lui. Non ricordavo l'ultima volta in cui avevo preso un libro e studiato, la mia media stava fallendo e io con lei.
Ora come ora, mi sentivo crollare e neanche le gare mi andavano nel verso giusto, credevo di aver rischiato la rottura della costola sinistra e dannazione anche sfiorarla faceva male. Dissi a mio zio di aver pestato un bulletto, anche se ero sicuro che lui sapesse la verità di tutto, e mi portò in ospedale dove mi fasciarono dopo aver messo e prescritto delle pomate. La procedura comunque era sempre quella e sotto le magliette non si notava niente, forse un po' all'esterno era visibile il mio malore, ogni volta che mi chinavo per prendere la tracolla vedevo le stelle.
Alzai lo sguardo dal foglio e lui mi guardò, aveva appena fatto ritirare l'ennesimo compito in cui ero andato male, in quello stesso momento sembrava che tutto fosse diventato dannatamente doloroso da sopportare. Sentivo qualcosa all'altezza del cuore stringere così forte da farmi male e più cercavo di trattenerlo e più implorava e sbatteva per uscire. Per quanto fosse crudele, avrei dato qualsiasi cosa per far sparire Meg dalla nostra vita e di conseguenza anche il bambino, di questo i miei genitori non ne sarebbero stati fieri, ma non era giusto tutto questo!
Vivevo bene la mia vita: le mie ragazze erano perfette e sensuali, i ragazzi mi davano quello che volevo e quando volevo, la scuola era la mia ciliegina sulla torta e le corse le amavo alla follia. Poi arriva lui, il professore di letteratura con i suoi occhiali leggermente bassi, i suoi occhi celesti in cui mi perdevo, le sue labbra dolci e passionali, il suo carattere, la sua casa, la collezione di libri e la tranquillità...
Mi sentivo morire a ripensare a noi, a continuare a fissarlo in silenzio, con lo sguardo serio e senza trapelare nessuna emozione. Castiel mi conosceva fin troppo bene, con lui queste cose non avrebbero funzionato e quando sentì la campanella suonare fui combattuto tra la voglia di rimanere e quella di scappare via a casa, tra le lenzuola e far sparire questo dannato dolore con qualche birra.
Optai per la prima.
Quando chiusero la porta, mi avvicinai a lui, tremavo come un pazzo e non ne capivo il perché, ma appena sentì le sue braccia avvolgermi forte, persino il dolore che provavo al contatto con la fasciatura sparì. Passai una mano tra i suoi capelli e chiusi gli occhi senza dire nulla, sentivo il suo corpo sobbalzare dai singhiozzi e io mi imposi di rimanere forte per lui.
Lo strinsi a me e gli sussurravo che sarebbe andato tutto bene, anche se non lo credevo. Cercavo in tutti i modi di memorizzare il suo profumo, il suo cuore battere, la sua pelle per quando avrebbe preso e sarebbe andato a vivere con Meg, eppure non ci riuscivo. C'era qualcosa che me lo impediva...
"Castiel... Devo tornare a casa." Sussurrai staccandomi da lui.
"Dean..." Disse piano.
Si avvicinò a baciarmi e di nuovo quella paura mi uccise l'anima: non volevo tornare indietro, non volevo che quel piccolo crescesse come son cresciuto io. Meritava una vita migliore.
Abbassai lo sguardo e feci qualche passo indietro, sembrava come se un mucchio di spine mi stesse entrando dritta nel petto, una ad una. Mi voltai verso la porta e uscì dalla scuola con i sensi di colpa sul punto di soffocarmi.
Diedi le chiavi della piccola a Sam, era la prima volta che lo facevo guidare e si stupì, io mi sedetti al suo fianco. Lo vidi salutare qualcuno che gli sorrideva e quasi mi venne un colpo quando quel biondino dall'aria furbetta gli fece l'occhiolino. Probabilmente avevo visto male.
Sam scoppiò a ridere leggendo un messaggio, poi accese e si avviò verso casa.
---
La cena era perfetta, Jody aveva cucinato degli hamburger fantastici eppure dopo un morso, proprio perché mi ossessionava per mangiare un po', non avevo più fame.
Ascoltavo gli altri parlare e complimentarsi dei voti di Sam, chiacchierare con Bobby di alcune cose sulle auto che non capivano veramente e con Jody riguardo alcuni episodi successi alla stazione di polizia, nonostante tutto io non ero proprio presente, era come se mi fossi staccato per un attimo dal mio corpo e vagassi per i miei pensieri, pensieri che portavano sempre a lui: Non importava se pensassi alla fauna del Congo. Lui sbucava e si intrometteva nei miei pensieri come un macigno e senza alcun permesso.
"Oggi c'è Romeo e Giulietta alla tv, quello con DiCaprio!" Sbottò poi Jody, guardando il telefono.
"Scusatemi... Devo uscire..." Sussurrai io dopo aver sentito quelle parole.
"Dove vai? Fuori piove!" Chiese Sam curioso.
Tastai le tasche dei pantaloni trovando il mio pacchetto di sigarette e il cellulare.
"Sul portico a fumare." Risposi, prendendone una insieme all'accendino, quando mi avvicinai alla porta. Vidi con la coda dell'occhio zio Bobby alzarsi e guardarmi male, sbottò qualcosa sul fumare e dalle urla notai quanto fosse giustamente incazzato. "Zio... Non ora... P-per favore..."
La mia voce tremava, non riuscivo a controllare le mie lacrime, prima che potessero vedermi uscì di casa sbattendo e mi misi al lato, poggiandomi con la spalla al muro. Accesi la sigaretta e tirai a fondo, quasi tutti i miei problemi potessero svanire in quel fumo grigio, poi sospirai triste e improvvisamente scoppiai a piangere.
Nella foga presi il cellulare e scrissi un messaggio:
-Mi manchi, cazzo!
Mancanza: Pensavo che quel sentimento valesse solo per mamma e papà.
Subito dopo, arrivò Jody: Non disse nulla, mi prese per i polsi e mi tirò a sè in un abbraccio. Dondolò in uno stupido ballo lento e canticchiò una specie di ninna nanna, accarezzandomi in piccole linee la schiena con il palmo delle mani. Non so perché, ma una parte di me voleva che la smettesse perché quel motivetto mi faceva ancor più piangere e questo mi faceva sentir in colpa, il mio muro non doveva crollare, e l'altra la consolava e la faceva star bene, come solo una mamma poteva fare.

Teach me.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora