Capitolo 25

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La mattina seguente mi risveglio in un confuso groviglio di gambe, capelli e lenzuola, con un dolce peso sul petto che respira piano ancora immerso nei suoi sogni. Sorrido in silenzio pregustando la giornata speciale che ho organizzato per stupirla, ma ben presto sono costretto a distogliere lo sguardo dalla sua schiena, per evitare l'impulso prepotente di svegliarla prima del tempo, in preda a questo anomalo desiderio che con lei sembra non esaurirsi mai.

Stanotte siamo crollati entrambi molto in fretta, complice il sakè e il calo di adrenalina dopo la fuga dal ristorante, il tempo di una doccia e ci siamo addormentati esausti l'uno nelle braccia dell'altra.

A volte mi chiedo se tutto questo abbia un prezzo, se questa felicità improvvisa e travolgente, come un'estate inattesa, chieda alla fine qualcosa in cambio, qualcosa che magari ancora non sappiamo di dovere alla sorte, ma che prima o poi verremo obbligati a pagare. L'accarezzo lentamente con la punta delle dita, mentre il cuore mi batte veloce.

Per averla sono disposto a corrompere anche il destino, non mi importa quello che dovrò mettere sul piatto. Purché lei mi voglia quanto io la voglio. Purché lei sia mia e basta.

La sento muoversi leggermente, mugolando nel sonno e rotolando sul cuscino fino a darmi le spalle. Mi sposto senza scuotere troppo il letto e la ricopro con il piumone, osservandola ancora un attimo immersa nella beatitudine del riposo e del tepore, con le guance rosee da bambina e i capelli sparsi in ogni direzione. Trattengo a stento l'istinto selvaggio di alzare le coperte e infilarmi di nuovo sotto con lei, e mi dirigo in cucina, dove con un caffè forte cerco di ritrovare un minimo di lucidità prima di andare da Mac, per una sessione di rifinitura della ritmica.

Giulia ha molto insistito perché non trascuri la musica a causa sua, dato che sa che per me questo momento è molto delicato, quindi le ho promesso che avrei lavorato almeno la mattina per poi avere il pomeriggio e la sera tutti per noi. Così le lascio un biglietto sul cuscino insieme ad un piccolo geranio rosa preso in prestito dal terrazzo del vicino, ed esco di casa quasi correndo, smanioso di finire presto per tornare da lei.

L'ufficio di Mac è a pochi passi da casa mia, all'ultimo piano di un elegante palazzina in stile liberty, di proprietà della famiglia Velardi da tre generazioni, con tanto di cortile interno e giardino sul tetto, un lusso che possono permettersi in pochi in pieno centro. Al citofono mi risponde Bimbo, il suo dobermann di due anni e mezzo che ormai conosce la mia voce e ha imparato ad aprirmi il cancello, e come ogni giorno mi accoglie in cima alle scale scodinzolando, mentre Charly, il golden retriver, che da quel che mi ricordo Mac possiede da sempre, non si scompone dalla sua posizione in poltrona, limitandosi ad alzare un sopracciglio e annuire col muso.

"Buongiorno anche a te, palla di pelo, potresti anche salutarmi qualche volta" gli dico accarezzandolo sul suo comodo trono.

Mac mi raggiunge poco dopo, con due cornetti caldi in mano.

"Mangia te, che poi ti riammali, sei deboluccio..." mi dice infilandomene uno in bocca prima che possa dire qualcosa.

"Mi sento molto meglio in realtà...– mento con disinvoltura dopo essermi leccato via la crema dalle labbra – deve essere stato un colpo di fresco, niente di grave, per fortuna"

"Meglio così, c'è ancora tanto da fare e Burioni, lo stronzo, mi ha chiamato già tre volte questa settimana...vuole il pezzo per la fine di Aprile..." annuncia Mac scuotendo la testa.

"Aprile?? Ma avevamo concordato per Maggio! – urlo sgomento – Dobbiamo ancora finire la base e poi incidere le voci...non abbiamo abbastanza tempo...brutta merda..."

"Io te l'avevo detto dall'inizio che quello non mi piaceva... – sottolinea Mac – non gliene frega niente della qualità a quella gente...tanto ormai hanno il nome...ma per te è diverso, tu ti giochi la credibilità, e con un esordio sbagliato ..." Non conclude la frase, ma il significato è chiaro.

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