Capitolo 9

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Muovo qualche passo incerto. Il vento che si è levato all'improvviso è poco gentile, mi sferza le guance e scompiglia i capelli mentre continuo a procedere lentamente, lungo un sentiero sterrato immerso nel silenzio.

Giulia ha insistito per bendarmi, voleva a tutti i costi che il mio primo sguardo fosse al momento giusto nel posto giusto, così appena scesi dalla macchina di sua madre ha tirato fuori dalla borsa un foulard e me lo ha annodato dietro alla nuca, coprendomi gli occhi. Lo ha fatto con una lentezza seducente, che per un attimo mi ha fatto dimenticare dove fossi e perché. Non saprei dire se lo abbia fatto inconsciamente o con la malizia di una donna esperta, ma il fatto di sfiorarmi le labbra, il collo, i capelli con le dita e la seta mi ha fatto rimescolare il sangue e senza rendermene conto ho cominciato a respirare più in fretta, con dei brividi violenti che mi salivano dalla base della schiena fino ad esplodermi nella testa.

"Hai freddo Andrè?" mi sussurra vicino all'orecchio, dopo avermi preso la mano per guidarmi.

"Un po', forse – mento – Tu?"

"Sto morendo, ma ne vale la pena, credimi!" mi risponde entusiasta accelerando il passo.

Facciamo ancora qualche metro in silenzio, con l'unico rumore delle nostre scarpe sulla ghiaia ad accompagnarci, e il cuore che mi martella nel petto e nelle orecchie, che grazie al cielo posso sentire soltanto io.

Giulia si ferma all'improvviso. Mi lascia la mano per un attimo mentre tutti i miei sensi sono ormai all'erta in attesa di un suo tocco, del suo respiro sul mio viso, qualcosa che mi faccia ancorare a terra anima e corpo. Ogni istante che passa senza sentirla mi provoca un senso crescente di disagio.

Sono bendato e inerme, ma sento inspiegabilmente verso questa ragazza qualcosa di simile alla fiducia, nonostante questo non abbia alcun senso, abituato come sono a contare sempre e solo su me stesso.

Finalmente si avvicina, i suoi capelli mi solleticano la bocca. Anche lei sta trattenendo il fiato, la sento vibrare come se fosse fatta di corde, ma con la grazia di una melodia che solo io posso capire. Solo io posso sentire.

Mi libera con un gesto disinvolto, come un prestigiatore che sta per svelare il colpo ad effetto del suo trucco. La prima cosa che vedo di fronte a me sono i suoi occhi, accesi di una luce meravigliosa mentre sorride emozionata, felice di condividere qualcosa di speciale con me, che non sono nessuno, e nemmeno sento di meritarlo.

"Ti regalo Roma, Andrea, e ti regalo anche un po' di me!" annuncia con i capelli scompigliati dal vento, le guance paonazze, il naso rosso per il freddo e le labbra dischiuse in un sorriso che mi toglie il fiato.

Giulia è pura e autentica bellezza.

L'intera città eterna, con tutte le sue luci, i suoi monumenti dormienti, le rovine del suo passato glorioso, i giardini che la punteggiano come pozze di verde in un mare di tetti dai mille colori, la Cupola di San Pietro, i mille ponti sul Tevere, i palazzi moderni, le auto che da questa distanza sono solo scie luminose senza rumore, non sono niente.

Niente è paragonabile a lei.

Per la prima volta nella mia vita sono in difficoltà.

"E' bellissimo..." riesco a dire con la voce che mi si spezza, trattenendo con i denti stretti tra le labbra socchiuse un'emozione così violenta che mi prende allo stomaco e mi fa girare la testa.

"Questo posto è il mio preferito, mi ci portava papà da piccola la domenica mattina e mi diceva che fino a dove potevo vedere con gli occhi quella era casa mia, tipo Simba, hai presente? Capirai, credevo di essere più o meno la regina di Roma!" Ride.

"Invece chi sei, Giulia?" Le chiedo a bassa voce. E mentre le rivolgo questa domanda mi rendo conto che la sto rivolgendo soprattutto a me stesso.

Chi accidenti sei, Giulia? Sei reale, sei il frutto di un trauma cranico di cui non ricordo, sei la punizione divina per tutte quelle che ho fatto soffrire, sei la donna che ho disegnato nella mente da bambino? Chi sei?

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