Capitolo 74

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Credo di aver percorso gli ultimi venti minuti di viaggio in completo silenzio. Dall'autoradio escono le note di "Hey You" dei Pink Floyd che mi fanno vagare con la mente in un'altra dimensione, completamente perso nella luce di un tramonto precoce, orlato di porpora come un manto regale.

Il mare rassicurante alla mia destra e la strada che si snoda lenta come ogni cosa in questa terra.

Quella che sto per raggiungere è casa. Ma è anche qualcosa che non esiste più, se non nei miei ricordi. La casa di mio padre, che compare dopo qualche curva appena usciti dalla statale, dove ho mosso i primi passi e imparato a nuotare nella piscina sul retro, è l'icona di un lusso che in pochi avevano da quelle parti quando ero bambino. Adesso invece è circondata da altre ville e complessi residenziali di alto livello, dopo la riqualificazione della zona anche grazie agli investimenti di industriali come lui. Ogni volta che torno qui stento a riconoscere persino la collina dove io e Lucky, il mio beagle nano con la propensione al furto di salsicce, correvamo senza pensieri. Adesso vicino all'aranceto c'è una scuola elementare e parte della collina è recintata e inaccessibile.

Fermiamo l'auto proprio nel parcheggio della scuola, e scendiamo per sgranchirci le gambe. Lei, la Cosa che incombe su di me e sul mio futuro, è lì davanti a noi, in tutta la sua monumentale e sinistra bellezza.

La fabbrica di mio nonno. Di mio padre.

Mia.

"E' questa?" chiede Giulia coprendosi con la mano gli occhi per riuscire a scorgerla meglio controluce.

Annuisco.

Vorrei dire qualcosa ma improvvisamente ho la gola riarsa.

Così le prendo la mano e ci incamminiamo verso la zona degli uffici.

Ovviamente mio padre non poteva semplicemente lasciare per un attimo il suo lavoro e accogliermi in casa, magari davanti a un aperitivo, come un uomo normale che ha appena riavuto dalla sorte suo figlio tutto intero. No, lui ha un compito nella vita, come se fosse stato investito dalla luce divina per una missione superiore. E farmi andare nella fabbrica è già un atto di potere nei miei confronti.

Mi irrigidisco, seguendo il filo del mio ragionamento. Giulia se ne accorge e tira il mio braccio oltre la sua vita per farsi abbracciare più strettamente.

"Ehi, respira, stai tranquillo...ricordati che tuo padre è felice di vederti come tutti i padri del mondo..." cerca di rassicurarmi.

"Non conosci questo particolare esemplare..." ribatto con un filo di voce.

"Sciocchezze. Lo hai detto tu stesso che lo hai sentito diverso. Certe volte per capire davvero chi abbiamo accanto dobbiamo rischiare di perderlo davvero..."

"Beh, non sarebbe dovuto arrivare a questo punto per capirmi..." le rispondo con rabbia continuando a camminare a testa bassa verso l'edificio.

"Nemmeno tu, Andre avresti dovuto..."mi spiazza lei, con tono tranquillo.

"Che intendi?" le domando confuso alzando gli occhi a guardarla.

"Voglio dire che quando una relazione tra due persone che si amano come voi si inceppa, la colpa è sempre di entrambi...Lui non avrà accettato le tue aspirazioni, ma nemmeno tu ti sei messo nei suoi panni..." mi spiega con estrema naturalezza.

Non so bene cosa dire, è una constatazione talmente ovvia da farmi innervosire, perché mi colpisce in pieno. So benissimo di avere le mie colpe e di aver deluso tante volte mio padre, ma questo non avrebbe dovuto consentirgli di trattarmi come se non valessi niente.

Appena entrati in amministrazione Camille, la sua nuova segretaria, ci accoglie con un sorriso esageratamente largo, mostrandoci tutto il rosario dei suoi perfettissimi denti.

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