Capitolo 52

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Mi guardo nello specchio del lussuoso bagno stringendo leggermente gli occhi per mettere meglio a fuoco la mia immagine. Oggi la palpebra sembra un po' meno gonfia, ma una sfumatura artistica che va dal nero al verde, passando per il viola scuro, mi imbratta quasi un quarto del viso.

Mi bagno con acqua fredda e sento sotto i polpastrelli la pelle tesa e tumefatta. Quella merda d'uomo ha fatto un buon lavoro, non c'è che dire. Spero solo che paghi per quello che ha commesso e non trovi scorciatoie o espedienti legali per farla franca.

Inevitabilmente ripenso a Jessica e al suo sguardo spaurito quando sono arrivati i poliziotti. Sembrava non capire più nemmeno dove si trovava, o perché. Non riesco a immaginare come possa sentirsi adesso, ma mi rincuora il fatto che la sua famiglia sia accorsa immediatamente. Spero davvero che possa riuscire a superare, se non a dimenticare, e a ricostruirsi un futuro lontano da certi ambienti.

Mi tasto il fianco, ancora dolorante, e seguo con le dita un enorme ematoma che si avvolge intorno al mio busto come una grottesca fasciatura. Respirare fa ancora abbastanza male, ma almeno posso piegarmi in avanti quel tanto che basta da potermi sciacquare i denti con l'acqua del rubinetto.

Sospiro e torno in camera, dove una bellissima ragazza sta dormendo avvolta in un piumone candido che le scopre appena un fianco nudo e perfetto. Sembra un quadro di qualche artista classico, la mia Venere dormiente.

Decido di non svegliarla e mi siedo su una delle poltroncine del salottino, a guardarla mentre sogna con un'espressione assolutamente beata.

Ieri notte ci siamo amati quasi come se fosse la prima volta. Non so nemmeno come spiegarlo, è stato particolare, persino troppo intenso in certi istanti, per reggere il colpo. Non è solo il piacere carnale a piegare le mie ginocchia di fronte a lei, quasi fosse la divinità pagana della mia personale religione, ma piuttosto il senso di appartenenza. Le ho detto molte volte di essere suo. E lei ha fatto lo stesso. Ma ieri lo siamo stati davvero, completamente l'uno dell'altra.

La osservo e vorrei morderla, per sentire il sapore della sua pelle e della mia, del sesso goduto, ancora imprigionato tra quelle labbra umide che adesso, a vederle così, sembrano del tutto innocenti. Le sue mani piccole e così sicure su di me, prepotenti nel pretendere, abili a vincermi, per poi intrecciarsi alle mie quando si arrendono. Tutto in lei mi attrae, rendendomi fragile e stupido.

Sorrido avvicinandomi in silenzio e sedendomi sul bordo del letto, accanto a lei.

Giulia mugola nel sonno e si scopre leggermente, alzando le braccia sul cuscino e poggiandole accanto al viso. Mi sento avvampare guardandola così nuda e vulnerabile e devo distogliere lo sguardo per non cedere alla tentazione di immobilizzarle le mani e affondare la bocca tra i suoi seni.

Cosa mi ha fatto questa ragazza?

Io una condizione di lucida follia come questa non l'avevo mai vissuta, ma forse è proprio questo l'amore. Perché se non lo fosse, allora vorrebbe dire che non esiste affatto.

Mia, mia, mia.

E' mia mentre mi ama, mentre mi fa del male, mentre scappa da me. È mia mentre mi prende per i capelli, mi urla addosso, mentre gode ad occhi chiusi, mentre sogna come adesso, e sorride sentendomi vicino. È mia mentre socchiude le palpebre un istante e mi dice che mi vuole ancora.

Perché ancora e ancora lei è mia. Ed io sono suo.

Ma qualcosa vibra poco distante da noi.

Il telefono dimenticato nella tasca dei jeans è ancora là, sul pavimento dove ho lasciato i vestiti ieri notte, troppo stanco e dolorante per avere la forza di raccoglierli. Mi muovo più in fretta che posso per rispondere, ma quando finalmente riesco a estrarre il cellulare dai pantaloni ha smesso di suonare.

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