Capitolo 35

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Il primo giorno di Accademia non sono riuscito a rimanere lontano più di cinquecento metri da lei.

La situazione è sempre più grave, dal mio punto di vista. Mi sembra che mi manchi il respiro a saperla separata da me troppo a lungo. A momenti le proponevo addirittura di pranzare insieme, invece che lasciarla fare nuove conoscenze come è normale e giusto che sia.

Mi sento patetico ad un livello preoccupante, mi sono persino domandato se ci siano anche maschi etero in quel genere di istituto, e la risposta mi è arrivata dritta in faccia con un tipo alternativo, il classico artista maledetto, pieno di dreads verdi e blu, che stava serenamente limonando sul cancello con una donna molto più grande di lui.

"Soggetti interessanti da queste parti" ho commentato secco, scrutando con la coda dell'occhio Giulia che raccoglieva lo zainetto dal porta oggetti della moto presa a noleggio.

"E' normale, qui sono tutti dei creativi, pieni di idee originali...non vedo l'ora di iniziare!" mi ha risposto lei illuminandosi come una bambina di fronte ai regali di Natale.

"In bocca la lupo per il tuo primo giorno!" le ho augurato con tutto il cuore, baciandola più volte e tirandola di nuovo verso di me ancora e ancora, come se avessimo un elastico legato ai polsi.

"E dai, stai tranquillo, non parto mica per il fronte! Ci vediamo alle quattro, bimbo" si è messa a ridere dandomi un piccolo morso sulla guancia.

"Lo so, scusa, è che mi piace troppo baciarti...credo di aver sviluppato una specie di dipendenza..." le ho risposto con un'alzata di spalle, guardandola allontanarsi felice e sparire nel grande portone a vetri colorati.

E poi è successo che sono rimasto comunque lì, a guardare la gente entrare, a scrutare tutti i volti chiedendomi se Giulia li avrebbe trovati interessanti, simpatici, odiosi, se avrebbe stretto amicizia con loro, o se qualcuno di quei ragazzi avrebbe potuto prendersi una cotta per lei.

E qui è iniziato il mal di stomaco feroce, perché la risposta era più che ovvia. Giulia è talmente bella, solare, intrigante che è impossibile non innamorarsene. Quindi qualcuno di questi stronzetti con i pantaloni strappati, i capelli pazzi e gli zaini scarabocchiati, sarà destinato a fare una bruttissima fine.

All'ora di pranzo ho deciso di fare un giro con la moto per il quartiere, cercando di memorizzare le strade, i negozi, e i locali dove verosimilmente Giulia passerà parte del suo tempo, e ho scoperto così una graziosa panetteria francese, che mostra in vetrina squisite baguette ripiene, quiche di pasta sfoglia, brioche parigine e pane al cioccolato. Il locale si chiama Le Vrai, ed è un piccolo pezzo di Francia in mezzo ai capannoni industriali convertiti in open space alla moda di questa parte di Milano. Ha un arredamento semplice ed elegante, con piccole lampade in ferro battuto e vetro che pendono dal soffitto, divanetti in velluto Borgogna, puntellati di piccoli bottoni decorativi di metallo, e tovaglie di lino ricamato.

All'entrata mi accoglie il profumo paradisiaco del pane appena sfornato, e un mix di aromi di erbe, agrumi, cioccolato e vino rosso. La brasserie è incantevole, ma decido di seguire l'odore che proviene dai forni e lasciarmi tentare da una fetta di torta brisee al salmone, formaggio di capra e erbe di Provenza. La proprietaria, madame Claire, è una bella signora italo francese sulla cinquantina con un sorriso accogliente da madre premurosa e l'eleganza inarrivabile di un attrice del cinema muto. È un curioso insieme di contrasti, esattamente come il suo accento, milanese con la erre arrotolata e vibrante e una strana grammatica.

"E' tutto buono, oui? Oggi abbiamo usato un fromage speciale, direttamente dalle colline de la Bretagne..." mi sorride portandomi un cestino pieno di profumatissimi grissini aromatizzati

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