Capitolo 60

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Quando mi accorgo che il tempo sta cambiando ci troviamo ormai a poco più di metà strada per la Laguna dei Fanoni, un piccolo pezzo di paradiso terrestre sconosciuto alla maggior parte della gente, persino a chi vive qui da sempre, ricco di vegetazione e di grotte misteriose in cui, secondo mia madre, l'acqua assume una colorazione irreale. Giuseppe mi ha detto che dall'esterno sembrano solo quattro scogli anonimi, a forma di enormi denti di balena, ma che superata una piccola strettoia tra i due centrali si apre agli occhi una sottile spiaggia di sabbia nera e brillante, ricca di materiale ferroso. È lì che avevo intenzione di portare Giulia, e già fantasticavo su me e lei, novelli Adamo ed Eva, a nuotare in quella laguna, nudi e felici, come se fossimo gli unici rimasti al mondo. Ecco, questa era la mia idea di perfezione.

Purtroppo, a giudicare dalle nuvole che salgono rapidamente dall'orizzonte, potrei aver commesso un errore di valutazione quando stamattina ho guardato il cielo. Mi preoccupa soprattutto il fatto di conoscere poco la zona e di trovarmi ad affrontare il mare agitato con questo gommone che, a dispetto di quanto ci ha assicurato il truffatore finto invalido, non credo possa reggere più di un acquazzone.

"Non fare il solito paranoico, è solo qualche nuvola innocua" mi prende in giro Giulia, vedendomi così agitato, mentre consulto per l'ennesima volta la carta nautica per valutare se sia ormai più conveniente proseguire fino a destinazione o tornare indietro.

"Tu non conosci il mare come lo conosco io, soprattutto da queste parti – le rispondo corrucciato – il tempo qui cambia in pochi minuti...le vedi quelle nubi scure oltre quegli scogli laggiù?"

Giulia stringe gli occhi per mettere a fuoco meglio, poi scuote la testa.

"Ma sono lontanissime! E poi siamo abbastanza vicini ormai, giusto?"

"Siamo più o meno a una mezz'ora, secondo la carta, e per tornare indietro ci metteremmo sicuramente di più, anche perché saremmo contro vento, quindi non ci resta che andare avanti e sperare in bene" le rispondo teso.

Lei capisce che non è il caso di continuare a sminuire la mia preoccupazione, quindi si siede accanto a me e tace.

Proseguiamo così nel nostro viaggio, con il vento che diventa di minuto in minuto sempre più insistente, rombando feroce e iniziando ad agitare anche il mare, ora sempre più scuro e torbido, schizzandoci ad ogni sobbalzo del gommone.

Anche Giulia ha cambiato espressione, scrutando preoccupata l'orizzonte in attesa di vedere la parete rassicurante di una scogliera, o la vegetazione di una delle tante isole a largo del golfo.

Ma intorno a noi sembra esserci solo un'enorme distesa d'acqua che ribolle come una creatura infuriata.

Le nuvole scure, cariche di pioggia, ci hanno raggiunto in una decina di minuti, proprio come temevo, e adesso, con il sole completamente oscurato e la spuma di mare che crea una fitta nebbia umida intorno a noi, comincio ad avere davvero paura. La visibilità è scarsissima, e senza riuscire a scorgere alcun particolare della costa diventa praticamente impossibile per me orientarmi.

"Resta il più possibile bassa, e mettiti subito quel giubbetto di salvataggio!" Urlo a Giulia in mezzo al rumore delle onde, sempre più assordante.

Lei annuisce e camminando carponi raggiunge la parte posteriore del gommone, dove dovrebbe trovarsi il kit di pronto soccorso, obbligatorio da anni in tutti i mezzi nautici, e un numero di salvagenti pari alle persone per cui il mezzo è omologato.

"Andre, qui vedo solo un giubbetto! Non riesco a trovare l'altro!" grida sgomenta Giulia, con la voce carica di terrore, mentre le onde cominciano ad essere talmente forti da rovesciarsi sopra di noi, ormai completamente fradici.

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