Capitolo 27

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Il viaggio verso Roma è qualcosa di irreale.

Siamo immersi in un silenzio attonito, con la mente che continua a montare e smontare immagini, frasi, pensieri, e a cercare di metterli in fila perché tutto questo acquisisca una parvenza di significato. Ma la verità è che non ha alcun senso.

L'aria intorno a noi è diventata sempre più pesante con l'aumentare dei chilometri percorsi, fino a farsi piombo fuso sulle nostre spalle. Nessuno ha il coraggio di parlare, come se tacendo evitassimo di rendere la cosa reale.

In macchina con noi c'è anche Mac, che conosce Simone da quando era bambino perché amico dello zio paterno, e per la prima volta lo vedo smarrito, stanco, sembra invecchiato di colpo di dieci anni. Non ha fatto domande sulla presenza di Giulia, si è limitato ad annuire quando gli ho detto che sarebbe venuta insieme a noi.

Probabilmente ha capito senza bisogno di troppe spiegazioni, o semplicemente al momento non ha alcuna importanza. Di fronte a quello che è successo sembra diventato improvvisamente tutto futile.

Quando arriviamo in ospedale è quasi l'alba, un'infermiera solerte ci blocca in maniera brusca l'ingresso al reparto, dicendo di non poterci dare alcuna informazione, e ci indica una piccola sala d'attesa proprio di fianco alla porta.

Mi lascio cadere su una poltroncina consunta e appoggio la testa al muro, esausto, mentre Giulia si rannicchia accanto a me in silenzio.

Edo invece non si rassegna e cerca di estorcere notizie a tutto il personale medico che vede transitare per il corridoio. Una dottoressa giovane e visibilmente stanca è l'unica che si ferma e cerca di rassicurarlo con un briciolo di umanità.

"In questi casi la notte è cruciale, e se non ci sono notizie è già una buona cosa, coraggio, vedrà che andrà tutto bene" lo rincuora mettendogli una mano sulla spalla.

"Anche se ci fossero novità quella nazista laggiù non ci farebbe sapere niente" ribatte Edo afflitto, indicando con lo sguardo l'infermiera che ci ha bloccati poco prima.

La dottoressa guarda per un attimo da quella parte prima di dirigersi al bancone dell'accettazione.

La vediamo confabulare a lungo con l'infermiera, per poi tornare verso di noi.

"Allora, io non vi ho detto niente, anche perché non siete parenti del ragazzo e la legge lo impedisce, comunque le sue condizioni al momento sono stabili, ha reagito bene al trattamento gastrico e probabilmente nelle prossime ore diminuiranno la sedazione e proveranno a svegliarlo..."

"Che significa?" Balbetta Edo, guardando alternativamente lei e noi che ci siamo avvicinati per ascoltare.

"Significa che il peggio è passato, il vostro amico è fuori pericolo" sorride mentre, per primo Edo e poi uno dopo l'altro tutti noi, le stringiamo la mano ringraziandola della sua gentilezza.

"Grazie di cosa? Ricordate: io non vi ho detto niente" se ne va strizzandoci l'occhio, mentre l'infermiera in lontananza scuote la testa sospirando.

Edoardo finalmente si siede, appoggia la testa sulle mani e piange in silenzio, lacrime di sollievo e di stanchezza, mentre Mac gli mette un braccio intorno alle spalle, tossendo per dissimulare il groppo in gola che probabilmente abbiamo tutti.

"Chissà che cazzo è successo..." ripeto ancora sotto choc, buttando giù il caffè che Giulia è andata a prendere per noi al distributore.

"L'importante è che possa stare di nuovo bene..." mormora lei dandomi un bacio tra i capelli, prima di sedersi di nuovo al mio fianco.

So che ha ragione, è solo che non capisco. Avrei dovuto accorgermi di qualcosa, notare dei segnali, invece mi sembrava sempre il solito, inattaccabile, Simone...

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