28. Ieri - Ronald Weasley

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Il sole tramontava tra due cime rocciose. I rametti secchi scricchiolavano sotto i loro passi, gli uccelli fischiavano tra le fronde e i rumori sommessi della foresta li avvolgevano. Il vento fresco accarezzava i capelli del giovane uomo davanti a lui. Rossi, proprio come i suoi: erano la caratteristica della loro famiglia. Camminavano ormai da un'ora, il passo spedito e agile di suo fratello gli faceva da guida; stavano tornando nel rifugio degli addestratori di draghi, erano andati a recuperare un uovo caduto da un nido.

Ronald Weasley era arrivato in Romania, da Charlie, da quasi tre settimane. Dopo un paio di giorni di apatia, aveva chiesto al fratello Charlie di poter imparare il suo lavoro, di poterlo seguire nella sua quotidianità, perché non aveva intenzione di tornare a casa mai più, se non in visita, come si va da un parente di cui non si ha nostalgia.

E Ronald Weasley non provava nostalgia. Per la maggior parte del giorno, non provava niente. Faceva le cose che doveva fare: si svegliava, si lavava, si vestiva. Andava in giro con Charlie, cercava di imparare il suo lavoro. Mangiava con gli addestratori di draghi, in lunghe tavolate chiassose, ascoltava le loro chiacchiere senza partecipare, salvo qualche sporadico mugugno. Poi tornava in giro con Charlie, o nella biblioteca del rifugio studiava al suo fianco le caratteristiche dei draghi, cercando di tenerle a mente più rapidamente possibile.

La sera invece il suo cuore si crepava: sentiva crescere nel petto una ferita, che avanzava lentamente, notte dopo notte, fino a far uscire dal muscolo che aveva in petto tutti i ricordi e le emozioni che di giorno vi nascondeva. Non pensava mai ai suoi amici, anche se non era scappato dai suoi amici, questo no. Non c'era più spazio nel suo cuore per loro. Ogni volta che provava a pensare a Harry o a Hermione, la rabbia prendeva il controllo del suo animo: non fosse stato loro amico, forse Fred non sarebbe morto. Non fosse stato loro amico, lui non avrebbe patito per un anno intero la fame, il dolore, la fatica. Non avesse avuto la sventura di innamorarsi di Hermione, non avrebbe saputo che significa soffrire perché l'altra persona soffre. Se chiudeva gli occhi, pensando ai suoi occhi, o ai suoi capelli ricci, o al suo sorriso, vedeva solo il suo braccio sanguinante, con la scritta "sanguesporco". Se provava a ricordare la sua amicizia con Harry, lo vedeva tra le braccia di Hagrid, con gli occhi rovesciati. Perfino a quel maledetto di Malfoy non riusciva a pensare, senza immaginarlo a scavare fosse, coperto di sudore e sangue. Il pensiero di Hogwarts e dei suoi abitanti, ormai, gli dava solo la nausea.

Si interrogava, talvolta, su quello che provava verso i due ragazzi con cui aveva diviso anche il sonno. Quella sera, gli era sembrato di aver trovato la risposta: malinconica indifferenza. Non provava più alcun affetto per loro, ma questa perdita di affetto gli provocava un senso di tristezza, perché sapeva di averli amati davvero profondamente. Non li avrebbe dimenticati, questo era sicuro, perché era al loro fianco quando aveva scorto il cadavere di suo fratello. Erano lì con lui, quando aveva visto sua madre piegata dal dolore e suo padre con lo sguardo vitreo, ed erano con lui quando aveva guardato negli occhi George, che urlava, urlava come un dannato.

- Siamo arrivati! Dai, andiamo a mangiare qualcosa! – gli disse Charlie con un sorriso.

Suo fratello era un ragazzo forte, dal corpo massiccio e dal cuore grande. Capiva che qualcosa nell'animo di Ronald non era come doveva essere, ma lo amava, era suo fratello. Così lo accoglieva, giorno dopo giorno, nella sua vita, sperando di guarire quello sguardo malato.

Il ritorno della FeniceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora