4. Ieri - La guerra

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Lo ricordava bene il giorno che la guerra era finita. Erano tutti nella sala grande, sospesi tra sensazioni diverse, tra il dolore delle perdite subite, la gioia della vittoria, l'incredulità che fosse veramente finita. Si guardava intorno, cercando di assorbire tutti gli impulsi che le arrivavano addosso come ondate, quando lo aveva visto e la rabbia aveva preso il sopravvento. Era seduto a uno dei tavoli, in mezzo ai suoi genitori, e avevano tutti e tre l'aria smarrita. Poi, di punto in bianco lui s'era alzato ed era corso fuori, incurante dei richiami della madre.

Come se qualcuno avesse tirato i fili di una marionetta, lei s'era alzata e l'aveva seguito. Nella sua testa non c'erano pensieri o ipotesi su cosa lo stesse spingendo a correre fuori, c'erano solo rabbia e giudizio. Ma quando finalmente lo raggiunse, all'esterno del castello, rimase paralizzata a guardare, con le sensazioni azzerate da un'immensa meraviglia. Aveva appellato una pala e stava scavando, a mano, come se non avesse avuto poteri magici. Come Harry aveva scavato la fossa in cui avevano seppellito Dobby. Con furia e dolore. Cadde a sedere sull'erba e rimase a guardarlo.

Dopo un minuto, probabilmente preoccupati di averla vista inseguirlo a quel modo, erano corsi fuori i suoi amici, e anche loro si erano bloccati lì, a bocca aperta. Poi Harry aveva appellato una pala e l'aveva raggiunto; si erano guardati senza parlare, e avevano cominciato a scavare insieme. Dopo di che, uno a uno, si erano uniti anche i loro amici, qualcuno muto, qualcuno con un borbottio tra i denti. Rimasta sola sull'erba, aveva lasciato che le lacrime scendessero libere, senza più vergogna, finché non s'era sentita come un guscio vuoto, poi s'era spolverata il vestito ed era tornata nel castello.

***

Erano passate le ore, gli studenti impegnati a scavare le tombe entravano e uscivano dal castello, per lavarsi e rifocillarsi. I più avevano cominciato a scavare con la magia, così che il lavoro fosse meno stancante.

Lui no. Non era mai tornato nel castello. Continuava a scavare senza fermarsi, sempre con la pala, senza bere e mangiare. Senza dire una parola.

Lei era uscita un paio di volte a guardare e l'aveva sempre trovato a scavare, con gli occhi bassi. Dopo tre ore, aveva i palmi delle mani lordi di sangue. Lei aveva spalancato gli occhi.

- Harry! Qualcuno deve fermarlo, ha le mani distrutte!

- Perché non lo fai tu? - Fu la risposta secca del suo amico. Lo squadrò allibita e tornò dentro. Non gli avrebbe mai rivolto la parola, mai!

Calò la notte e uno a uno gli studenti tornarono in sala Grande per dormire nei sacchi a pelo. Lui non rientrò. Rimase solo nel buio a scavare e scavare, con il sangue che colava lungo le braccia.

Né la madre né il padre uscirono, a parlargli o a guardarlo. Non una sola volta e se ne andarono, nella cenere del camino, senza dargli un saluto. Solo la madre, al momento di andar via, si slanciò verso Harry all'improvviso, stringendogli le mani e sussurrando:

- Forse tu potrai fare qualcosa, noi no... non dopo quello che gli abbiamo fatto.

Forse aspettava un cenno di assenso, ma si trovò davanti un volto di cera, senz'altra espressione che quella derivante dalla stanchezza e dallo stordimento. Fu una voce di donna a rispondere.

- Ad Hogwarts un aiuto verrà sempre dato a chi lo chiederà.

Il ritorno della FeniceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora