107. Oggi - Le voci di Ronald

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- Si faccia avanti.

La voce del giudice del Wizengamot risuonò forte; l'uomo sfogliava i fascicoli senza alzare gli occhi.

Luna Lovegood, accortasi che Ron non muoveva un passo, gli afferrò la mano e lo tirò in avanti.

- Bene, signor Weasley, si sieda. 

Luna gli lasciò la mano, dopo che si fu seduto e gli diede una piccola stretta alla spalla. Poi alzò gli occhi su Harry e gli sorrise; uscì dalla stanza, senza alcun rumore, ondeggiando con grazia nonostante la pancia prominente e l'aria stanca.

- Dalla deposizione dell'Auror Potter, risulta che lei sia convinto che questo è un covo di mangiamorte. È esatto? 

Ron non rispose. Era paralizzato e confuso. Quando Harry si era sfilato il mantello dell'invisibilità e la piccola Malfoy – la finta piccola Malfoy - l'aveva incarcerato, lui era stato sicuro che quelli sarebbero stati gli ultimi attimi che avrebbe vissuto sulla terra. I mangiamorte non fanno prigionieri e non tengono processi. Invece era stato portato nelle celle del Comando.

Aveva pensato che volessero farne una vittima esemplare, sbattendolo ad Azkaban come monito per tutti coloro che gli si mettevano contro. Ma poi era arrivata Luna.

Esibiva la sua pancia come il trofeo vinto nella vita, il suo sorriso vago non era cambiato dai tempi della scuola. Nei suoi occhi, come in passato, era possibile leggere solo la verità. Non era cambiata. Non poteva essere una mangiamorte, almeno lei! Sentiva che non gli avrebbe mai mentito. Ma allora, perché Harry avrebbe dovuto cercare di non mandarlo ad Azkaban?

La testa gli doleva, terribilmente. Con un lamento, si toccò la fronte, abbassando lo sguardo.

- Signor Weasley, mi risponda. Lei ritiene che Harry Potter sia un mangiamorte? 

Ron alzò lo sguardo sul giudice. Era una persona di mezza età, con gli occhi piccoli come capocchie di spillo. Basso e smilzo, emanava tuttavia un'aura autoritaria.

- Non lo so, signor giudice, non so più niente. Harry non mi ha ucciso. Credevo l'avrebbe fatto. O lui o Malfoy. Credevo che sarei morto. 

La voce gli uscì strozzata e flebile, ma si udì chiaramente, nel silenzio assoluto della stanza.

- Racconti, la prego.

E questa volta Ronald Weasley non si fece pregare e dalla sua bocca uscì un ininterrotto fiume di parole. Narrò l'anno doloroso trascorso in compagnia dei suoi amici, Harry e Hermione. La fame, la sete, la sensazione di precarietà di ogni singola giornata e la frustrazione atroce nel non riuscire a portare a termine niente. Narrò di come ogni singola giornata Radio Potter facesse la conta dei morti: ogni nome conosciuto era una pugnalata.

Raccontò la sua atroce gelosia nei confronti dell'amico: Harry era sempre il migliore, non perché il prescelto ma perché non si tirava mai indietro di fronte a qualunque pericolo. Era coraggioso, Harry, Grifondoro dalla punta dei piedi fino ai capelli.

Lui invece si sentiva un vigliacco, in molti casi. Gli disse di come li aveva piantati in asso, riuscendo poi miracolosamente a ritornare sui suoi passi.

Raccontò della cattura da parte dei ghermidori, delle torture subite da Hermione. Ogni grido di lei, sentito attraverso le spesse pareti di casa Malfoy, gli strappava il cuore dal petto. L'aveva amata davvero.

Gli parlò della battaglia. Lì la voce si spezzò in singhiozzi sonori, ma continuò a parlare. Confidò di come avesse baciato Hermione, di come avesse combattuto con il suo sapore ancora sulle labbra. Raccontò tutti i morti e tutti i feriti: erano ancora lì, dietro le sue pupille. Descrisse il sorriso allegro di Fred; poi l'aria che esplose e il mondo divenne dolore e penombra. Descrisse il grido lancinante squarciò il silenzio che era seguito all'esplosione: gridava e non capiva che quello straziante lamento usciva dalle sue labbra. Gli occhi di Fred lo guardavano, senza vederlo, il sangue che macchiava il sorriso rimasto sulle sue labbra.

Parlò di Draco Malfoy, che aveva scavato tombe fino a farsi sanguinare le mani. Ricordò di come aveva capito che ai suoi amici non era bastato, che sarebbero rimasti a combattere, a stanare mangiamorte per il resto della vita.

Avrebbe dato di stomaco solo a pensarci; non riusciva più a guardarli, senza associare il loro volto al dolore. Sangue che scorreva dalle ferite, che macchiava il pavimento, che metteva una firma indelebile sulla fine di una vita. Era stato per questo che aveva deciso di partire e di raggiungere suo fratello Charlie.

La vita del cacciatore di draghi gli piaceva. Addestrare e curare quelle bestie magnifiche lo distraeva, di giorno. Anche se la notte i suoi incubi tornavano, cominciava a pensare che avrebbe potuto rifarsi una vita.

Poi aveva sentito le prime voci: Draco Malfoy era ancora un mangiamorte, aveva ingannato tutti con la sua scena di dolore; aveva ucciso una ragazza innocente, poco dopo la battaglia di Hogwarts, colpevole solo di trovarsi al posto sbagliato. E ancora, Draco Malfoy e Blaise Zabini, con i loro soldi, avevano corrotto il ministero e fatto accusare e imprigionare ad Azkaban la zia della ragazza, colpevole di averli smascherati.

Poi la prima vera pugnalata: Hermione, il suo amore di ragazzo, andava a letto con quel mangiamorte. Era diventata la sua donna, lui faceva di lei tutto ciò che voleva. Non ci aveva creduto. Aveva insistito che era impossibile. La frase che gli era stata risposta era semplice: "Guarda con i tuoi occhi". Aveva preso una scopa ed era volato fino alle finestre di casa Granger, pronto a fare una sorpresa alla sua vecchia amica. Le luci del piano superiore erano accese e lui non aveva resistito, aveva guardato. I loro corpi nudi, intrecciati nella passione, gli avevano confermato quella che ormai gli pareva essere una verità accertata: Hermione Granger era una mangiamorte.

- Chiedo scusa per l'interruzione, signore. Il prigioniero urla che vuol parlare con qualcuno. Urla da mezz'ora e sempre più forte, temo possa sentirsi male, altrimenti non avrei disturbato. Che devo fare? 

Neville Longbottom si era affacciato alla porta, rammaricato.

Il ritorno della FeniceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora