203 - Come un arcobaleno

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*Austin's pov*

Entriamo in macchina e dico a Kodey di partire subito.

Parte e in pochi minuti siamo già in autostrada pronti per tornare a casa sua.

Non ho manco fatto in tempo a salutare Josie, la madre di Grace, ma pazienza. Non potevo stare un minuto di più in quella via, vicino a casa mia e alla mia famiglia... famiglia che ormai non considero più tale.

Non si sono nemmeno degnati di chiedermi scusa o provare a sistemare le cose ed accettare il fatto che io ami Kodey, un ragazzo, e non Callie, una ragazza.

Non si sono nemmeno sforzati di venirmi incontro e capire la situazione. No, mio padre, lui deve sempre avere ragione e il controllo di ogni fottutissima cosa.

Ma poco importa, ora la mia famiglia sono i miei amici, Kodey e la sua famiglia.

Ho spiegato a loro la situazione di casa e loro hanno citato testuali parole: <Noi ci saremo sempre, ti consideriamo nuovo membro della famiglia e ti tratterremo come un quinto figlio.>

Questa, questa era la famiglia che avrei sempre voluto. Non quella in cui sono capitato.

<Ehi... va tutto bene?> Mi domanda Kodey.

<Tu piuttosto? Ti hanno attaccato nemmeno entrato in casa.> Dico mentre lui mi prende la mano.

<È ok. Sono abituato ad essere attaccato dalle persone per diverse ragioni.>

<Mi dispiace Kodey, io... non avrei dovuto farteli conoscere, sapevo che avrebbero reagito così...> Scoppio a piangere come un bambino e lui cerca subito un posto dove accostare.

Odio il fatto che ogni volta la rabbia si trasformi in lacrime. Odio così tanti aspetti di me.

Appena trova un parcheggio libero, si infila e spegne l'auto abbracciandomi subito dopo.

<Ehi, ehi, va tutto bene.> Sussurra tenendomi stretto tra le sue braccia.

E io continuo a piangere e piangere, come se fosse l'unica cosa che mi riesce meglio.

<Austin, guardami.> Dice staccandomi da lui. <È tutto ok.> Mi sorride dolcemente asciugandomi le lacrime con il dorso della mano. <Non piangere.>

<Dovrei essere io quello a consolarti non tu.> Dico tirando su con il naso.

<Ma sei tu quello che si è messo a piangere come un bambinetto.> Ridacchia. <A me non importa quel che pensano i tuoi genitori, ma quel che pensi tu. E poi quelle parole che hai urlato a tuo padre: "io amo lui non voi" è stato... bellissimo.> Mi abbraccia e mi tiene stretto a se.

<È vero Kodey... io amo te, non loro.>

<Ti amo anche io...> Dice trattenendo un singhiozzo. <E non sai quanto... è che non volevo piangere davanti a te perché sapevo che avresti avuto bisogno del tuo cavaliere pronto a sorreggerti e dirti che andava bene, ma non ce l'ho proprio fatta. Non ora che sento tutto il dolore che provi e che io vorrei strappare via.>

E così, continuiamo a piangere, uno tra le braccia dell'altro, in un parcheggio di un supermercato, nel freddo di gennaio, a ripeterci quanto ci amiamo.

Dopo mezz'ora passata così, ci riprendiamo e decidiamo di andare a mangiare in uno dei tanti fast food di Londra per consolarci con qualche panino.

E così facciamo, pochi minuti dopo siamo davanti al ristorante a parcheggiare.

Scendiamo dall'auto ed entriamo dentro.

Lui va a fare la fila, nel mentre io vado in bagno a lavarmi la faccia e liberare la vescica. Purtroppo piangere mi fa quest'effetto, la vescica piena.

My Boy 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora