Capitolo 18.

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Poco più di un mese di college e una routine di vita che non ho mai amato tanto. 

E' vero, non c'è Jake e non c'è la mia famiglia, ma non avrei mai e sottolineo mai pensato di poter essere davvero così felice e trovare la mia strada e, nonostante abbia sempre pensato di fare altro nella vita, mi sta piacendo anche studiare matematica. Anche se il mio grande amore per la musica prenderà sempre il sopravvento su tutto.

"Ecco qua tesoro."
Esclama Roger mettendomi davanti una fetta di torta cioccolato, panna e meringhe con una tazza di caffè. Sono venuta qua a fare colazione perché oggi non avrò lezione fino al primo pomeriggio e, come detto da Oliver settimane fa, al Poppy's riesco a trovare davvero tanta tranquillità per studiare e schematizzare i miei appunti.

"Grazie Roger."
Rispondo sorridendo.
Sono venuta spesso qua, da sola ma soprattutto con Oliver per il laboratorio di scrittura, stiamo andando veramente bene insieme. Hughes si è complimentato più volte per i due progetti che abbiamo presentato fino ad ora. Per il momento non ci ha assegnato nulla, anche perché fra poco più di una settimana ci sarà il Ringraziamento e la pausa, quindi in tanti torneranno a casa. 

Faccio colazione continuando a guardare i miei appunti, voglio mantenermi al passo e non restare indietro, soprattutto perché son ben consapevole che non riuscirò a far niente questo weekend dato che, finalmente, Jake verrà a trovarmi e resterà a Stanford per tutto il fine settimana. Sono felice di poterlo finalmente introdurre in quella che è diventata la mia vita. Odio che non ci sia lui con cui condividere tutto quanto.  È come se mancasse una parte di me ma, alla fine, è anche giusto così.

Prima o poi sarebbe dovuto succedere, anche se non mi aspettavo che capitasse proprio al college, pensavo che quest'avventura l'avremmo vissuta  ancora insieme ma non importa, sono riuscita comunque a trovare la quadra. Ho amici fantastici. I miei corsi sono molto interessanti. Stanford poi è un ambiente meraviglioso, ogni giorno scopro qualcosa di nuovo. E' passato solo un mese e mezzo dal mio arrivo ma sono sicura che non avrei voluto nient'altro per me.

"Ma ogni tanto fai qualcosa oltre a studiare?"
La voce di Clarissa, la cameriera, mi fa sorridere e alzare lo sguardo dai miei appunti. Fortunatamente avevo la musica bassa nelle Airpods e l'ho sentita.

"Ogni tanto si, giuro."
Faccio ridere anche lei che, pensandoci bene, tutte le volte che mi ha visto qua, se non un paio di sabati, mi ha sempre vista tra libri e appunti.
"Hai tempo per una tazza di caffè?"
Chiedo poi, senza un vero motivo, forse perché la vedo sempre lavorare ma in questo momento non indossa la divisa.

"Si, mi farebbe piacere, il mio turno non inizierà prima di venti minuti. Arrivo subito."
Lascio da parte gli appunti e mi tolgo le cuffiette, aspetto Clarissa che arriva poco dopo con del caffè e una ciambella.

Parliamo del più e del meno, mi racconta un po' di lei.

Ha 21 anni, lavora qua da quando ne ha 18, Roger è come un padre per lei. Non ha voluto fare il college perché studiare non le è mai piaciuto. Abita poco lontano da qua, a quanto ho capito da sola perché voleva abbandonare la periferia di campagna in cui è cresciuta.

La lascio parlare, sembra si diverta a raccontare, credo non abbia molti amici con cui farlo e io ho sempre preferito ascoltare piuttosto che parlare.

Entrambe prese dalla nostra conversazione non ci accorgiamo di una figura che arriva accanto a noi. Clarissa è la prima ad alzare lo sguardo.

"Oliver, ciao!"
Esclama in un misto fra l'imbarazzo e l'euforia.

"Ciao Cla."
Risponde Oliver sorridendo, poi si gira verso di me, mi fissa qualche secondo, poi sorride.
"Isla Ariel."
Ricambio il sorriso non dico altro, lo guardo anche io.

"Bhe io devo andare a lavorare, il mio turno sta per iniziare."
Clarissa distrae il nostro gioco di sguardi con un tono che sembra leggermente infastidito.
"E' stato un piacere Isla."

"E' stato un piacere anche per me."
Le sorrido.

Si alza ma, prima di andarsene, si ferma qualche secondo a guardare Oliver che però non le sta prestando attenzione.

"Oliver posso portarti qualcosa?"
Chiede.

"Un caffè e basta per oggi, prendi qualcosa tu?"
Mi guarda.

"Un altro caffè non mi dispiacerebbe, con un po' di latte magari."
Rispondo, Clarissa si annotta mentalmente le nostre ordinazioni e sparisce un po' troppo velocemente dalla nostra visuale.

"Ormai passi più tempo tu qua di me."
Si siede sul divanetto davanti al mio, alzo le spalle.

"Ho bisogno di solitudine quando studio o sistemo gli appunti, le tre biblioteche son sempre così affollate."

"Non fraintendere, mi piace trovarti qua."
Le sue parole insieme al suo sguardo mi causano i solidi familiari brividi ma non faccio in tempo a rispondere perché si ripresenta Clarissa con le nostre ordinazioni, mi passa il mio caffè velocemente per poi dedicare la sua attenzione al ragazzo in mia compagnia. Direi che ciò che ho solamente sospettato qualche minuto fa sia ormai una concreta realtà.

"Ti sei accorto che ti muore dietro?"
Chiedo con forse una punta di acidità nel tono della mia voce.

"Penso che se ne potrebbe accorgere anche un cieco."
Ridacchia prendendo una bustina di zucchero.
"Mi ha anche chiesto di uscire."

"Davvero?"
Chiedo rendendomi conto subito di sembrare un po' inopportuna.

"Si, più di una volta ma, diciamo, non è mai stato nel mio interesse uscire con lei o con altre ragazze."
Mi tornano in mente anche le parole di Abigail che ha detto di averci provato con Oliver per settimane senza che la guardasse minimamente.

"Perché?"

"Non amo legarmi alle persone Isla Ariel, men che meno ad una ragazza. Non posso darle ciò che vorrebbe da me. Nè a lei nè a nessuna."
La sua confessione la sento come un pugno nello stomaco, non so nemmeno perché. Forse perché pensavo potesse esserci qualcosa fra noi. Mi sono illusa che ciò che sentissi io lo potesse sentire anche lui. 

Invece probabilmente sono una stupida io.

Pensavo che avrei potuto finalmente  tornare a fidarmi di un ragazzo, andare oltre la semplice amicizia, invece sono stata solo una cretina. Pensavo ci legasse qualcosa ma, a quanto pare e a quanto ha detto lui, no. Lui non vuole legarsi a nessuno. Quindi nemmeno a me.

"Devo andare."
Le parole mi escono prima che ci rifletta davvero.

"Non hai nemmeno finito il tuo caffè."

"Sono in ritardo, ho lezione."
Raccolgo velocemente le mie cose, lascio i soldi sul tavolo e non saluto nessuno uscendo velocemente dal locale e precipitandomi nella mia macchina. 

"Stupida stupida stupida!"
Mi ripeto picchiando una mano sul volante.

Non so nemmeno io perché ci sia rimasta così male. Siamo amici no? Non siamo nulla di più.

E allora perché, perché ha fatto tanto male?

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