Capitolo 8.

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Gli sorrido.
Mi sorride.

"Vado a fare il caffè e prendo le sigarette."
Esclamo quando abbiamo finito di mangiare e, in realtà, non ci siamo ancora confidati nulla.

"Ogni confidenza che si rispetti si fa davanti ad una tazza di caffè e con una  sigaretta fra le dita."
Sussura Oliver e io non potrei essere più d'accordo.

Sparecchiamo e riempiamo la lavastoviglie.

Vado a prendere le mie sigarette ed il telefono, imposto una sveglia mezz'ora prima dell'inizio della lezione così, se mai dovessimo perderci in racconti, non rischierò di far tardi.

Alla fine è Oliver che prepara due tazze di caffè, le mette su un vassoio con zucchero e latte. Lo porta fuori sul tavolino, io lo seguo. Mi siedo di nuovo di fronte a lui, lo ringrazio quando mi passa la mia tazzina.

Un goccio di latte, un cucchiaino e mezzo di zucchero, un sorso di caffè e poi prendo la mia sigaretta, Oliver mette un posa cenere sul tavolino.

"Allora, perché proprio questo appartamento?"
Chiedo dato che ormai ho capito che non parlerà lui per primo.

Sorride, prende una sigaretta anche lui con tutta la calma del mondo, la sistema fra le labbra e si allunga a prendere il mio accendino già sul tavolo.
Sbuffa il fumo verso l'alto, rimette il mio accendino sul tavolino e poi torna a guardarmi negli occhi.

"Negli ultimi anni non voglio condividere nulla con nessuno."
Si fa più serio, si mette più comodo sulla sedia.
"Non volevo più stare con qualcuno in camera, non volevo condividere le mie cose, il mio spazio con qualcuno.
Sono diventato così egoista che non volevo nemmeno che la mia stanza fosse condivisa con qualcun altro.
Che qualcun altro guardasse la mia roba.
Volevo una casa solo per me ma sarebbe stata troppo lontano dal campus, così, semplicemente, mi sono accontentato di un appartamento e quando ho visto che questo era all'ultimo piano e senza nessun altro sul pianerottolo non ho potuto fare altro che prenderlo.
Siamo io, la mia solitudine e il silenzio.
E poi, le notti insonni su questo terrazzo hanno tutto un altro sapore."
Mi dice ma non mi guarda, ha girato lo sguardo verso il panorama, cercando qualcosa che, probabilmente, nemmeno lui conosce.

Percepisco dolore dietro queste parole, un dolore grande, troppo grande per una sola persona.
Vorrei prendermene un po', perché non mi piace sapere che stia soffrendo così.
Quasi una pazzia anche solo da pensare ma è così, complice probabilmente la mia personalità a volte troppo empatica.

Vorrei fare tante domande, vorrei chiedere tantissime cose, capire perché sia diventato egoista, capire perché soffra così tanto.
Ma no, non ne ho il diritto.

Lo guardo ancora e quando torna a prestare la sua attenzione su di me mi allungo a prendere un'altra sigaretta.

"E di me cosa vuoi sapere?"
Rimane quasi stupito dal fatto che non chieda altro ma il patto fatto non era questo, quindi non farò altre domande.

Sorride, probabilmente grato.

"Tante cose."
Mi dice, prende un'altra sigaretta anche lui.

"Mi dispiace Oliver Kyle O' Connor, puoi farmi solo una domanda."

"Ti ricordi il mio nome per intero."
Sorride di nuovo.

"L'ho sentito da Poppy's e sono piuttosto brava a ricordarmi i nomi per intero."
Dico semplicemente.
Scuote il capo.
"Allora, cosa vuoi sapere?"

"Da quanto stai con quel ragazzo?"
Mi chiede serio.
Alzo un sopracciglio.

"Quale ragazzo?"
Chiedo perplessa.

"Quello che ti ha accompagnata il primo giorno al dormitorio."
Scoppio a ridere e lo vedo stranirsi.

"Jake non è il mio ragazzo."
Dico fra le risate perché non potrei mai immaginarmi fidanzata con Jake.

"Oh."
Dice lui semplicemente.
"Io pensa...."

"E' il mio migliore amico."
Spiego semplicemente.
"Siamo cresciuti insieme, anche se so che a volte possiamo essere fraintesi, anche tua sorella pensava fossimo fidanzati."
Fa un'espressione strana, poi un sorrisetto, faccio un tiro di sigaretta.

"Quindi ho sprecato la mia domanda."
E' un'affermazione.

Alzo le spalle.

"Posso concedertene un'altra."

"I patti sono patti Isla Ariel."

"E' vero ma io non sto infrangendo nessun patto, sto solo aggiungendo una parte in più a ciò che già avevamo concordato.
Senza voler nulla in più."

"Nulla in più? Nessuno fa qualcosa senza ricevere nulla in cambio."

"Io ho ricevuto la mia risposta, tu hai sbagliato domanda e ti sto concedendo di correggere il tuo errore, forse sono semplicemente magnanima."
Rispondo avendo una sicurezza che di solito, in realtà, non ho davvero.

Sorride, fa un tiro di sigaretta, sbuffa il fumo verso il cielo.

"La storia del tuo nome."
Dice dopo qualche istante di silenzio.

"Come fai a essere sicuro che il mio nome abbia dietro una storia?"

"E' un nome troppo particolare per non avere una storia dietro."
Mi dice semplicemente, mi guarda ed io lo sento scavarmi dentro.
Mi sistemo gli occhiali che mi stavano cadendo sul naso.

"E' vero, hai ragione, ma non è una storia molto interessante."

"E' una storia, tutte le storie sono interessanti."

Sorrido, parla poco ma non dice mai cose a caso.

"Quando mia madre è rimasta incinta di me non era un bel periodo per la mia famiglia.
Mamma e papà si stavano lasciando, Ethan soffriva la situazione a casa e Melody era una bambina difficile.
Mia nonna materna, che in realtà non ho mai conosciuto, poco prima di andarsene ha accarezzato la pancia di mia madre, ancora nessuno sapeva che sarei arrivata, e le ha detto che li c'era la loro isola sicura.
Non credo di esser stata voluta, sono semplicemente capitata ma, in fondo, capitato o meno non importa, un figlio lo ami fin da subito, che tu l'abbia voluto o no.
Fatto sta che per la mia famiglia, a quanto dicono loro, sono stata davvero un'isola sicura.
E così, semplicemente, mi hanno chiamata Isla.
Sono la loro Isla."
Dico per la prima volta dopo tanto tempo, è una storia che in realtà non racconto mai, mi dicono semplicemente che il mio nome ha un'assonanza strana e si limitano a quello.

Oliver sorride, sincero.

"E Ariel?"
Sorrido al pensiero del mio secondo nome.

"La prima volta che mi sono mossa nella pancia della mamma, Melody era appoggiata sul ventre e stavano guardando 'La Sirenetta'. Melody si è agitata dicendo che mi stavo muovendo come Ariel nell'oceano e che ero la sua Ariel, che quello doveva essere per forza il mio nome.
A mamma e papà è piaciuta come idea, è piaciuto l'insieme generale delle cose e così è nato il mio strano, bizzarro ma in fondo bellissimo nome.
Non mi piace sentirlo per intero in realtà ma il significato che si porta dietro mi piace tantissimo."

Sorride ancora e di nuovo, come l'altra volta, per un attimo, l'oscurità che si porta sempre dietro sembra lasciarlo per un po'.

"Io ti chiamo con il tuo nome intero Isla Ariel."

Sorrido, alzo le spalle.

"Lo so e non so spiegarmi perché, se mi chiami tu così, non mi dispiace poi tanto."

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