Non so per quanto rimaniamo in silenzio, so che non riesco a fare niente, stringo forte le maniche della giacca e tengo lo sguardo fisso su di lui.
E anche lui ce l'ha su di me.
Uno sguardo che sembra voler chiedere scusa ma io non so se sono pronta ad accettare delle scuse.Non so perché io non sia già scappata a gambe levate, dovrei. Se la mia famiglia o Jake, sapessero che sono qui con lui sarebbero già qui a fare un casino perché solo loro mi hanno visto in quello stato dopo che son tornata dalla Columbia.
Jake ancora peggio perché era lì mentre succedeva il tutto.
Non ne parlo mai, anche a Oliver non ho raccontato come sia stato il dopo. Non mi piace ricordarmi di me in quello stato. Non uscivo più dalla mia camera, non volevo la luce, non volevo parlare con nessuno. Non volevo lavarmi, mangiare o guardare la televisione. Avevo preso una pausa dalla scuola.
Volevo solo piangere.
La persona che diceva di amarmi, che aveva promesso di sposarmi, che voleva una famiglia da me, aveva provato a farmi del male. Aveva provato a macchiarmi sempre. E anche se mi piace pensare che non l'avrebbe fatto, quando è successo continuavo a pensare a cosa sarebbe successo se fosse andato fino in fondo. E più ci pensavo, più faceva male. Non volevo farmi toccare da nessuno, soprattutto da uomini, non importa se fossero mio padre o mio fratello.
I miei dicevano che dovessi denunciare ma io non volevo. Volevo dimenticare e basta. E sono grata che abbiano rispettato la mia decisione.L'unico che poteva toccarmi era Jake, Jake che per primo mi aveva salvata, che era lì accanto a me, che mi ha dato la sua felpa per coprirmi per poi prendermi in braccio e portarmi all'hotel dove avevamo affittato la camera. Mi ha tenuto stretta per tutta la notte e quando siamo riusciti ad anticipare il volo mi ha tenuto la mano per tutte e dieci le ore, asciugando le mie lacrime e calmandomi quando il respiro si faceva più affannoso.
E' stato lui a spingermi a reagire, è stato lui, dopo settimane, ad aprire la mia finestra per far entrare la luce. Mi ha tirato giù dal letto mentre lo pregavo di non farlo, so che gli faceva male vedermi così ma gli faceva più male sapere che non avessi una reazione. Mi ha messo sotto la doccia, mi ha lavato, vestito e asciugato i capelli.
Preso per mano, portato nel nostre parco preferito a fare un picnic per colazione, mi ha guardato mangiare ogni boccone. Poi mi ha portato in uno studio, da una psicologa.
La prima seduta l'ha fatta con me, anche se sono rimasta in silenzio per la maggior parte del tempo. Poi anche la seconda, la terza e così. Poi, piano piano, ho cominciato ad entrare da sola con Jake sempre fuori ad aspettarmi.
Ho ricominciato ad andare a scuola, a lavarmi, mangiare, uscire dalla camera.
Farmi toccare era ancora difficile ma ho lavorato anche su quello.E ho capito che dovessi smettere di interrogarmi sul "e se fosse successo?" perché non era successo. Perché ero stata salvata in tempo e nulla era ancora perduto.
E da lì, dato che sono stata una delle poche fortunate ad aver la possibilità di riscrivere un finale, mi son detta che Rhys non l'avrebbe mai fatto, diceva che fossi l'amore della sua vita, non avrebbe potuto farmi del male. Io, col tempo, ho realizzato che non fossi più innamorata di lui come pensassi, che forse è perché non sono mai stata amante dei cambiamenti e quindi ultimamente, molto probabilmente, era più stabilità che amore.
Ma l'ho amato, l'ho amato tanto e ho scelto di non ricordarmi solo il male che mi ha fatto. Ho scelto di ricordare anche quanto siamo stati felici.
Solo che non l'avevo più rivisto fino ad ora e non pensavo che rivederlo potesse farmi così male. Perché ho affrontato me stessa ma lui, in realtà, non l'ho mai affrontato.
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Us.
Roman d'amourIsla Ariel Roy ha 19 anni e una vita apparentemente perfetta. Sta per partire per Stanford, dove hanno studiato i suoi genitori e anche suo fratello. Sua sorella Melody invece, "pecora nera" della famiglia, non ha voluto fare il College e dopo il l...