Capitolo 78.

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"Oliver?"
La voce di una donna che non conosco arriva alle nostre spalle, nemmeno c'eravamo accorti che avessero aperto la porta. Siamo seduti su due sedie accanto al letto di Thomas, Oliver tiene una mano intrecciata alla mia e una a quella del suo migliore amico. Siamo qua da quelle che credo siano ore. Non abbiamo nemmeno pranzato e ormai credo siano le prime ore del pomeriggio.

Il mio ragazzo che aveva la testa appoggiata sul letto si alza e fissa i suoi occhi in quelli della donna, seguita da un altro uomo e da una ragazza che credo abbia più o meno la mia età o giù di lì.

"Celine."
Sussurra poi alzandosi, lascia la mia mano solo in questo istante.

"Non pensavo saresti venuto."
La donna lo abbraccia, lo abbraccia come una madre che abbraccia un figlio dopo tanto tempo.

Non sono i suoi genitori però, ho visto delle loro foto. Credo, a questo punto, che siano i genitori di Thomas e sua sorella. Nelle poche occasioni in cui Oliver mi ha parlato di lui, ha accennato al fatto che avesse una sorella.

"Non potevo non salutarlo, avevo bisogno di lasciarlo andare."
Oliver è più alto di Celine e, sempre tenendola tra le sue braccia, la sta guardando negli occhi.
"Ho capito perché lo state facendo, l'ho capito davvero. Mi dispiace se ho reagito così male al telefono."

"E' normale figliolo."
Questa volta è l'uomo che parla, appoggiando una mano sulla spalla di Oliver.
"Era tuo fratello, è ancora tuo fratello, questa cosa non cambierà mai."

"Grazie Phil."
Oliver non sta facendo niente per trattenere le lacrime. Niente di niente. E io, sinceramente, mi sto sentendo un po' di troppo.

E fuori posto. Non so cosa fare.

Il mio ragazzo abbraccia anche la ragazza dietro che si tuffa tra le sue braccia stringendolo forte. Come se abbracciasse suo fratello. E' il primo pensiero che mi balena in testa.

"Lei è Isla Ariel, è la mia ragazza, è grazie a lei se ce l'ho fatta a venir qua."
Queste parole di Oliver mi ridestano dalla mia mente che vagava, sono ancora seduta e quando mi rendo conto che l'attenzione sia tutta su di me mi alzo di scatto.

"Scusate."
Esclamo un po' in imbarazzo, credo di aver un aspetto orribile.

"Ciao tesoro, grazie per quello che hai fatto e stai facendo."
Celine mi trascina in un abbraccio, parla di Oliver come se fosse suo figlio e forse è così. Oliver è suo figlio tanto quanto lo è Thomas.

E questa sua reazione nei miei confronti è semplicemente quella di una donna che è a un passo dal vedere il suo mondo crollare e cerchi il modo di non lasciarsi andare insieme ad esso.

"Non mi deve ringraziare."
Sussurro piano, ricambiando l'abbraccio.

"Oh dammi del tu Isla Ariel."

"Va bene solo Isla, non mi piace il mio nome completo, lo usa solo Oliver."

"Come cosa non mi stupisce per niente."
E' Phil che mi risponde, fa sorridere tutti, mi presento anche a lui e alla ragazza che scopro chiamarsi Jennifer.

Con la scusa di mettere qualcosa fra i denti perché è da ieri a pranzo che non mangio, li lascio soli. Sia perché stavo cominciando a sentirmi di troppo dato che questa è una cosa che devono condividere fra loro e che io non posso veramente capire, sia perché, sinceramente, ho bisogno di staccare un po'. Solo qualche minuto.

Esco velocemente da quella stanza troppo bianca, prendo la mia borsa e quando sto per andare, l'ascensore si apre, mostrando la figura di Lily e Jake davanti a quelli che riconosco essere i genitori di Oliver.

La mia migliore amica sta piangendo, nemmeno lei parla di Thomas ma qualche volta mi ha raccontato qualche aneddoto facendomi capire quanto anche lei ci fosse legata. Cammina velocemente verso di me, mi butta le braccia al collo e la stringo forte, pronta a prendermi anche il suo dolore. Pronta ad essere forte anche per lei.

"Sono qua Lil, sono qua."
Dico piano accarezzandole la schiena.

"Grazie."
Dice qualche secondo dopo, con la voce spezzata dal pianto.

"Non devi ringraziarmi."
Le accarezzo i capelli, cullandola piano. Non so quanto tempo restiamo così ma ci rimaniamo tutto il tempo che le serve. Poi sempre tenendola tra le mie braccia ci giriamo verso Jake che è accanto ai suoi genitori.

"Ci dispiace fare la tua conoscenza così Isla Ariel, Lily e Oliver hanno parlato tanto di te. E anche Jake ha solo belle parole per te."
Al telefono Oliver parla spesso con i suoi genitori, penso gli abbia raccontato lì di me. Sorrido sincera, cercando di mostrare tutta la mia gratitudine per queste parole.

"Avrei preferito anche io una circostanza migliore signori O' Connor."

"Chiamaci pure Judith e Nicholas e dacci del tu."
Sorrido, vorrei porgere almeno la mano ma ho ancora Lily fra le mie braccia.

"Grazie."
Dico semplicemente non sapendo che altro dire, Judith mi accarezza il viso, in un gesto materno. Appoggio la mia mano sulla sua, poi li lascio andare. Nicholas prende fra le braccia sua figlia quando devono entrare, io dico anche a loro che vado a mangiare qualcosa e Jake si unisce a me.

Il mio migliore amico prende la mia mano, mentre aspettiamo l'ascensore. Appena arriva entriamo e quando le porte si chiudono mi concedo di crollare solo un attimo, un solo attimo fra le braccia della persona che più di ogni altra mi conosce e sa tenermi in piedi.

Mi concedo solo quest'attimo.

Quando le porte dell'ascensore si riaprono mi ricompongo mentre abbracciata al mio migliore amico vado verso l'esterno. Fumiamo una sigaretta, poi Jake mi obbliga a mangiare qualcosa.

Non parliamo praticamente di nulla.
Letteralmente di nulla ma va bene così, mi basta la sua presenza e tutto sembra già essere più leggero.

Jake non lascia mai la mia mano.

"Ce la fai?"
Mi chiede solamente quando stiamo aspettando l'ascensore per risalire.

"Tu ce la fai?"
Chiedo a mia volta girandomi verso di lui e con uno sguardo ci capiamo alla perfezione.

Riprendiamo l'ascensore, risaliamo e quando le porte si aprono esco esattamente nel momento in cui anche Oliver sta uscendo dalla stanza di Thomas, un suono sordo si sta facendo largo spezzando il silenzio.

Un suono che significa solo una cosa.

Corro, verso di lui che si butta letteralmente fra le mie braccia, lasciandosi andare.

"Oliver."
Riesco solo a sussurrare mentre ci accasciamo a terra, lo stringo forte, mentre i suoi singhiozzi sono sempre più forti, così forti da farmi così male che quasi mi manca il respiro.

Non riesce a dire niente. Prova a parlare ma tutto ciò che gli esce è un pianto ancora più disperato, cerca il mio sguardo, mi stringe forte.

"Sono qua amore mio, sono qua, non me ne vado."

E per la seconda volta in poche ore mi sento così impotente davanti ad un dolore così immenso.

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