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"They told him
'Don't you ever come around here,
Don't wanna see your face, you better disappear'
The fire's in their eyes
And their words are really clear
So beat it, just beat it."
BEAT IT - MICHAEL JACKSON


ASHTON

Mi passai l'asciugamano bianco sulla fronte, cercando poi di limitare i danni che il sudore aveva procurato alla piega dei miei capelli. Adoravo i capelli lunghi, ma era davvero troppo difficile gestirli.

Soprattutto per un batterista.

Posai le bacchette a terra e flettei le dita per sgranchirle. "Direi che è abbastanza per oggi, no?" domandai agli altri, che si erano già liberati dei propri strumenti.

"Le mie dita ringraziano", commentò Michael, prendendo il cellulare dalla tasca. "Cazzo, devo andare."

Calum sorrise sornione staccando la canottiera sudata dal petto. "Dove vai, Mikey?"

"Indovina, indovina: non sono cazzi tuoi", rispose il chitarrista, sistemandosi con le mani i capelli tinti di fresco, di un brillante blu elettrico.

"Quando risponde così vuol dire che va da..." cominciò il bassista, lanciandomi un'occhiata complice.
"...Alaska!" Terminai per lui, scandendo fastidiosamente ogni vocale del nome.

Michael si limitò ad alzare gli occhi al cielo, cominciando a mettere via le chitarre e ad arrotolare i cavi.

Per un momento invidiai profondamente Michael, ma poi ricordai che avevo anche io una ragazza da cui andare. Una ragazza che abitava solo a pochi isolati di distanza dalla sala prove. Una ragazza che ricambiava ardentemente i miei sentimenti, sentimenti veri, che consumavano dall'interno.

Solo il pensiero della sua pelle contro la mia mi faceva andare fuori di testa.

"Credo che toglierò anch'io le tende", informai i tre. Michael mi strizzò l'occhiolino, sornione, Calum ridacchiò sotto i baffi e Luke... gli occhi di Luke rimasero appiccicati allo schermo del cellulare.

Era seduto su una delle sedie di plastica spaiate che avevamo acquistato per qualche sterlina ai mercatini, i gomiti appoggiati alle ginocchia, un espressione vuota sul viso.

Era normale per Luke estraniarsi dal mondo in quel modo, ma non era normale che lo facesse quanto eravamo solo noi quattro. Qualcosa lo preoccupava.

"Luke?" lo chiamai e lui sollevò lo sguardo, smarrito. "Mi accompagni?"

"Dove?" chiese, bloccando il cellulare e succhiando il piercing che portava al labbro.

"Volevo fare un salto da Gemma, ma prima volevo prendermi una birretta fresca", lo informai con un sorriso, aprendo la porta della stanza insonorizzata e ignorando il fischio di Calum alla pronuncia del nome di Gem. "A te un succo di frutta, che sei un marmocchio", lo presi in giro, forte del mio paio d'anni in più.

Lui fece una smorfia, ma si alzò in piedi, seguendomi fuori dalla sala.

"Ciao stronzi!" gridai a Calum e Michael, che mi risposero a tono. "Che deficienti", commentai, scendendo a due a due i gradini che portavano all'uscita della struttura e precipitandomi fuori all'aria aperta, seguito dal biondino.

Iniziammo a camminare fianco a fianco sul marciapiede, entrambi con le mani infilate nelle tasche della felpa che indossavamo.

"Allora Luke, hai intenzione di dirmi cosa ti passa per la testa o preferisci fare tutta la strada muto a rimuginare su chissà cosa?" gli chiesi, tenendo lo sguardo di fronte a me. "Perché se no torno indietro e chiedo a Calum di accompagnarmi. Lui parlerebbe anche da solo."

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