"Step one, you say, 'We need to talk.'
He walks, you say, 'Sit down. It's just a talk.'
He smiles politely back at you
You stare politely right on through
Some sort of window to your right
As he goes left and you stay right
Between the lines of fear and blame
You begin to wonder why you came."
HOW TO SAVE A LIFE – THE FRAYLUKE
"Abbie..." sussurrai con voce spezzata, alzando gli occhi verso i suoi colmi di lacrime.
"Ti prego, lasciami andare", mi supplicò tenendo lo sguardo fisso sul suo polso, ancora stretto tra le mie dita.
Io spalancai gli occhi, realizzando solo in quell'istante che la stavo ancora trattenendo. Mollai la presa e lei indietreggiò istintivamente di qualche passo.
"Aspetta," cercai di fermarla, "aspetta Abbie, ho bisogno di sapere", mormorai, avanzando lentamente di qualche passo, fino a raggiungerla nuovamente.
Lei mi voltò le spalle e ci fu un attimo di silenzio, durante il quale pensai a tutte le possibili cose che fossero potute accadere ad una ragazza tanto fragile, per renderla così triste ed insicura.
Un forte singhiozzo uscì rumoroso dalle sue labbra, poi la vidi accasciarsi e sedersi quasi priva di forse su dei gradini che c'erano alle sue spalle.
Immediatamente la raggiunsi, sedendomi accanto a lei sulle scale.
Inspirò profondamente e notai una lacrima solitaria rigarle il volto. Fui pervaso dalla necessità di allungare la mano per asciugargliela ma mi costrinsi a non farlo.
Volevo che parlasse, che si fidasse di me a tal punto da raccontarmi cosa le era successo di tanto brutto. Volevo essere io l'unico in grado di aiutarla, per quanto egoista potesse suonare.
Lei doveva essere salvata e io volevo salvarla.
"Da quando Jane è morta, mia madre ha iniziato ad accusare i sintomi della bipolarità..." iniziò lentamente, "all'inizio non erano comportamenti evidenti i suoi, erano rari e gestibili." Nella sua voce il dolore era palpabile, tangibile. "C'erano delle volte, però, in cui i suoi attacchi erano troppo inaspettati, troppo violenti", continuò con voce tremante accarezzandosi le braccia.
"Era ora di pranzo, ed io ero appena tornata da scuola. Come tutti i giorni entrai in casa e corsi in camera a lasciare la giacca e lo zaino, per poi scendere ed andare in cucina ad aspettare che il pranzo fosse pronto."
Più di una volta fui tentato di interromperla. Come quel giorno sul tetto dell'Ospedale, sentivo che le faceva male pronunciare quelle parole, ma allo stesso tempo sapevo che doveva togliersi quel peso opprimente che le schiacciava il petto per cui la lasciai continuare. Sperando che fosse la cosa giusta da fare.
"Non appena misi piede in cucina, mi resi conto che c'era qualcosa che non andava. Del pranzo non c'era traccia e nell'aria aleggiava un profumo a me fin troppo familiare: la torta di mele, il dolce preferito di mia sorella," l'ennesimo singhiozzo la scosse, ma lei con voce spezzata, continuò, "quando si accorse della mia presenza si voltò e subito capii che non riusciva a vedere me, io ero invisibile ai suoi occhi. Lei vedeva mia sorella, lei vedeva Jane."
Le lacrime iniziarono a rigarle incessantemente il volto ed io non sapevo come fare per aiutarla ad alleggerire quel peso che le schiacciava il cuore e l'anima.
"Queste," disse, inspirando ed espirando profondamente, "sono il risultato di quel giorno", concluse, alzando le maniche di entrambe le braccia.
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FanfictionPoi mi rivolse quello sguardo. Il mio sguardo. Quello di cui avrei voluto possedere una foto, da osservare e riosservare nei momenti bui. Vi riversava tutte le proprie sensazioni e poi me lo donava, in tutta la sua disarmante purezza. "Ti aspetterò...