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Per la terza mattina di seguito restiamo in stanza di Aiden fino a quando non è mezzo giorno e dobbiamo andare entrambi a lezione.

Oggi è la prima volta che ce l'abbiamo alla stessa ora. Aiden si è letto il resto di "il gene egoista" stanotte, mentre io dormivo e lui non riusciva a farlo.

Mentre ci dirigiamo in macchina verso l'università gli chiedo per scherzo se mi insegnerà mai a guidare la sua macchina e per mia sorpresa mi promette di farlo questo fine settimana. Adesso sono più spaventata io di lui all'idea. Ho fatto due ore scarse di pratica alla guida.

Decidiamo di andare di nuovo a pranzo da lui, dato che continua a pioviccicare, prima di entrare nella struttura e dividerci con un: "A dopo, amore." Amore.

Ci scambiamo un'ultimo sguardo, per poi voltarci e percorrere il corridoio. Mi sento leggere stamattina. Come sempre entro in aula in anticipo e mi siedo al mio posto con euforia. Quando il professore entra in aula, noto che è in compagnia di un ragazzo dall'aria italiana.

Nel corso della lezione quest'ultimo viene presentato come il nuovo assistente del professore, ma non dice altro. La lezione finisce dieci minuti in anticipo, quindi prendo il telefono in mano per scrivere ad Aiden che lo aspetterò alla macchina, ma quando vedo che il professore mi sta chiamando a sé mi blocco.

"Signorina Browne, le presento il signor Collins, il mio nuovo assistente", mi dice fiero non appena lo raggiungo alla cattedra. Il ragazzo accanto a lui mi stringe la mano con sicurezza. È vestito in modo al quanto elegante per essere un assistente. "Lei non ha qualcosa da fare questo pomeriggio, vero?"

Guardo il professore confusa, ma il suo sguardo mi invita a negare col capo.

Lui sorride lieto e batte le mani: "Perfetto. Allora potrai mostrare a Jason per bene l'università."

"L'università?", balbetto. Il ragazzo accanto a lui mi sorride compiaciuto.

"Sì, l'università. A meno che Lei non abbia di meglio da fare. Posso chiedere a qualcuno-"

"Non si preoccupi. Sono liberissima", lo interrompo allarmata. Di certo non perderò un'occasione per entrare nelle grazie del professore.

Jason mi sorride e io ricambio. "Allora andiamo."

Wow, diretto. Il ragazzo si avvia verso la porta, ma il professore mi ferma per un braccio per dirmi un: "Lo tratti bene. È figlio di un amico importante."

Riesco solo ad annuire, prima che Jason mi richiami a sé. È successo tutto così in fretta.

Usciamo dall'aula e subito inizia a parlare con un ché di altezzoso: "C'è un posto dove si può mangiare qui nei dintorni?"

"Sì, c'è la caffetteria."

"Perfetto. Ti va di andarci?", mi domanda con un'ambigua gentilezza.

Devo andarci. "Certamente."

Voglio scrivere ad Aiden cosa è successo, ma la voce di Jason continua a distrarmi, così gli scrivo un semplice: > Non posso a pranzo. Ci vediamo dopo da te.< Non mi faccio troppi scrupoli su come l'ho scritto.

Quando arriviamo alla caffetteria Jason mi fa subito cenno di sederci al tavolo accanto alla finestra. Dà l'aria di essere più lui a dover far fare un tour a me.

Si siede con classe sulla sedia di fronte a me e io faccio lo stesso. "Allora. Come ti chiami?", mi domanda calmo.

"Juliet." Cerco di fingermi interessata alla conversazione.

"Juliet?"

"Sì."

"Hai delle provenienze italiane?", mi domanda, mentre si poggia con il gomito al tavolo.

È così evidente? Intreccio le mani. "Sì. Come hai fatto a notarlo."

"Perché ce le ho anch'io", ridacchia, "Non si vede?"

"In effetti sì", sorrido, mentre scruto i suoi capelli scuri. Sto cercando di fare una buona figura in modo che lo possa dire al professore più tardi.

Ordiniamo entrambi un panino, poi interrompe nuovamente il silenzio: "Di dove sei?"

A pensarci sembra più un appuntamento, ma non ci faccio caso. Sappiamo entrambi che non è così.

"Sono di Boston-"

"Davvero?", mi domanda sorpreso.

"Sì, perché?"

"Anche io!" Non ci credo, ma ha un'aria sconvolta pure lui.

Mi sporgo con un sorriso sul tavolo. "Davvero, davvero?"

Ridacchia. "Davvero, davvero."

Wow. È la prima persona a Londra che conosco che è di Boston. Questo cambia un po' le cose, sono lieta di averlo conosciuto. Restiamo in caffetteria per gran parte del pomeriggio a parlare di Boston; è bello sentirne parlare da qualcun che ci è vissuto. Mi manca da morire.

Al contrario di come mi era sembrato Jason è gentile e educato. È davvero interessato a quello che ho da dire sulla mia famiglia. Quando notiamo che ha smesso di piovere finalmente usciamo e gli faccio fare il giro dell'università.

Mi sono completamente dimenticata di controllare se Aiden mi ha risposto, ma sono troppo entusiasta adesso per farlo.

Dopo aver fatto il giro dell'edificio riusciamo e scendiamo le scale. Jason mi sta raccontando del perché è venuto a Londra: "Mio padre è amico d'infanzia con il tuo professore e per questo mi ha praticamente costretto a venire."

"Costretto?"

"Non direi costretto, ma devo ammettere che avrei preferito andarmene altrove", ammette sincero. Quando arriviamo sul marciapiede della strada ci fermiamo.

Penso si possa leggere sulla mio viso che sono contenta di averci fatto amicizia. "Vedrai, ti piacerà qui", lo rassicuro.

"Ne sono sicuro, se potrò vederti ad ogni lezione", risponde gentilmente e io sorrido in risposta.

Abbasso lo sguardo sul mio orologio da polso per vedere che sono già le sei. Penso sia ora di andare da Aiden, sopratutto dopo avergli dato buca a pranzo.

"Hai bisogno di un passaggio fino al dormitorio?", mi domanda Jason, non appena apre la portiera della sua macchina. A pensarci, andare a piedi fino a casa di Aiden mi ci vorrebbe un bel po'.

"Sicuro che non ti dispiacerebbe darmelo?", gli chiedo insicura.

Scuote il capo. "Sicurissimo. Dai, sali."

Accetto con piacere, ma non appena entriamo in macchina devo avvisarlo che dovrebbe portarmi da tutt'altra parte. Eppure non sembra gli dispiaccia. Dio, spero davvero che parlerà bene di me al professore.

Gli do l'indirizzo e lui parte subito, senza controllare il navigatore. Per essere nuovo a Londra si sa orientare bene. Sulla strada continuiamo a parlare della struttura dell'università, ma dato che ha una macchina sportiva arriviamo in cinque minuti davanti alla casa di Aiden.

Mi giuro che non entrerà mai di nuovo in questa macchina, odio quando si va troppo veloce.

"Grazie ancora per il passaggio", mi rivolgo a Jason, mentre scendo dalla macchina.

"Non mi devi ringraziare. È stato un piacere."

Mi volto per sorridergli. "Anche per me", ammetto.

La sua macchina sta ancora facendo un forte rumore, ma non se ne cura. "Se avrò altre domande posso chiedere a te quindi?", si accerta.

Mi sforzo a sembrare il più amichevole possibile. "Certamente."

"Allora buona serata, Juliet."

"Anche a te!", esclamo, prima che possa rimettersi in marcia.

Anarchia 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora