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I due mesi a seguire sono stati strazianti. Certo, la presenza dei miei due migliori amici ha alleviato un minimo la nostalgia che ha rimpiazzato la rabbia nei confronti di Aiden, ma non ho mai pensato che vivere senza di lui possa essere così straziante.

Ogni giorno ho dovuto controllarmi per non rispondere a una delle sue sessante chiamate perse. So che non dovrei, che mi ha mentito e umiliato per farmi così soffrire, ma la sua assenza è peggio di come dovrebbe essere. Odio me stessa per pensarlo, ma so che ho ragione.

Dopo due settimane a Boston una mattina Kendall è salita in camera con una lettera in mano, dicendo che era per me. Ero sorpresa, dato che erano anni che non ne ricevevo una, ma mai quanto quando ho letto il mittente: Aiden Houston.

Mi si è mozzato il respiro solo a leggere quel dannato nome. Ho subito aperto la busta trovandoci una lettera. Non era lunga, ma neanche troppo corta. D'altronde Aiden ha sempre odiato la gente che blatera senza arrivare al punto.

Cara Juliet,
non odiarmi per averti scritto, ma dato che non rispondi a nessuna delle mie chiamate devo ricorrere a questo. Scusami per non averti fatto gli auguri al tuo compleanno (sappi che mi sto controllando per te per non scrivere parolacce, dato che come dici tu: "Qualsiasi cosa scritta con parolacce non è degna di essere letta"), ma ero molto arrabbiato e devo ammettere che i miei pensieri erano incasinati per la paura di perderti. Ho dato il tuo regalo a tua madre e spero che ti piacerà.
Non mi arrenderò mai a noi Juliet.
Ti amo, Aiden.

Non ha aiutato ad allieviare la sua mancanza, affatto, forse l'ha addoppiata. Non pensavo mi avesse fatto un regalo e per un attimo ho voluto solo arrabbiarmi con mia madre per non avermene parlato, ma poi mi sono ricordata del perché non me lo voleva dare e ho deciso di non parlargliene.

Il mio cuore mi diceva di pigiare su quel maledetto tasto sul mio telefono per chiamare Aiden e sentire le sue scuse, ma fortunatamente la testa da me ha sempre regnato.

Ho sentito mia madre il più spesso possibile, perché mi aveva promesso che sarebbe stata lei a cercarmi un posto nel dormitorio. Per fortuna è riuscita a prendermi una stanza singola proprio come le avevo chiesto.

Kyle invece si è fatto sentire quasi ogni giorno per sapere come stavo e per raccontarmi di quanto sia bella Londra.

Nonostante mi senta in colpa ho deciso di raggiungerlo la settimana prima dell'inizio del semestre, dato che non devo neanche tornare a Los Angeles per recuperare le mie cose. So che Kendall e Kai non se la prenderanno e questo mi solleva un po'.

Il dieci settembre Kendall e Kai mi accompagnano per le cinque del pomeriggio all'aeroporto dato che il mio volo parte tra due ore.

«Speriamo non tornerai a trovarci con un accento britannico», borbotta Kai, seduto accanto a Kendall che guida.

«Perché? Ti dispiacerebbe?», gli chiedo confusa. Lui spalanca gli occhi.

«Veramente l'ho detto perché so che ti salterei addosso», commenta e Kendall gli da una botta.

«Sei un maiale.»

«E tu sei esagerata.»

Arrivo a Londra alle due della notte e sono esausta. Sono anche confusa, perché qui sono già le sette del mattino e la gente si sta svegliando per andare a lavoro.

Mi sono messa d'accordo con Kyle di incontrarci il pomeriggio in modo che mi possa riposare, così cerco l'hotel più economico che riesco a trovare. Pago due notti e l'uomo grasso della reception mi dà la mia chiave in mano.

Ancora non ho realizzato di essere a Londra e che tra neanche una settimana inizierò l'università. Quando entro in stanza lascio cadere le valigie e mi lascio cadere sul letto.

Anarchia 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora