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Ho dovuto studiare per le tre interrogazioni di domani, ovviamente una dietro l'altra altrimenti non ci sento prio, quindi la nostra Adina nazionale (Heidi_Ade02 ti amo) ha scritto un fantastico capitolo che neanche so se vi farà piangere perché neanche so di cosa parla lol.
Se esco viva domani (tre interrogazioni e mezz'ora di camminata a piedi sotto 26 gradi domani :') vi scrivo un bel capitolo, giuro


Era l'alba e tre giovani figure, nascoste alla bell'e meglio sotto un mantello dell'invisibilità che diventava ogni anno più piccolo, si stavano dirigendo verso il dormitorio dei Grifondoro del sesto anno, in cerca di qualche ora di sonno che compensasse la notte di giochi passata sotto la luna piena. Avevano quasi raggiunto il castello, quando un grido di dolore spezzò il silenzio della mattina. I tre malandrini si scambiarono uno sguardo, indecisi sul da farsi: si erano da poco lasciati alle spalle un Remus in dormiveglia e solo dopo essersi accertati che tutto sommato stesse bene, ma non c'erano dubbi che quella voce fosse del loro Moony. D'altra parte, presto sarebbe arrivato qualcuno a recuperare il quarto malandrino per accompagnarlo in infermeria e loro non potevano assolutamente farsi trovare lì. Dopo pochi secondi di incertezza e uno scambio di sguardi piuttosto esaustivo, i tre si girarono verso il Platano Picchiatore e ricominciarono a correre. Dopotutto loro erano i Malandrini, non si facevano scoprire, soprattutto considerando il fatto che avevano con sé sia il mantello che la mappa. E in ogni caso, il loro amici veniva prima di tutto.
Non ci misero molto a tornare all'interno della Stamberga Strillante, anche grazie a Peter che, per agevolare la corsa, si era già trasformato in topo: in fin dei conti, nonostante gli anni di allenamento, era comunque più facile dover coordinare due paia di gambe piuttosto che tre.
La scena che si presentò loro davanti, spezzò loro i cuori. Remus era in un angolo, ancora avvolto nella coperta che Sirius gli aveva appoggiato sulle spalle poco prima, e si teneva le ginocchia strette al petto, mentre grosse lacrime gli solcavano le guance. Subito il ragazzo venne circondato dagli amici in un caloroso abbraccio di gruppo con il giovane Black intento ad accarezzargli i capelli e a sussurrargli parole di conforto. Non sapevano che altro fare. Tutti avevano avuto i loro momenti di debolezza: Sirius aveva pianto un paio di volte, dopo tremendi litigi con la sua famiglia. Pure James aveva pianto dopo aver ferito Lily con il suo comportamento verso Piton, lo stesso giorno in cui Mocciosus aveva definito la ragazza una ‘sudicia sanguesporco’. E lo stesso Peter, dopo aver subito offese, minacce e pure violenza fisica da un gruppo di bulli che lo avevano preso di mira per il suo corpo meno muscoloso e più morbido rispetto a quello degli amici e definendolo ‘l'opera di bene dei Malandrini’, accentuando tutti i suoi dubbi. Ma non Remus. Remus non aveva mai pianto, non so era mai lasciato andare, se non al sicuro del suo letto, circondato da incantesimi di silenzio. Lui era sempre stato la spalla su cui versare tutte le proprie lacrime, mai il soggetto da consolare. E ora era lì, disperato, mezzo nudo e seduto in un pavimento sudicio, mentre gli altri cercavano di capire come consolarlo e cosa avesse causato quel crollo.
Purtroppo non ebbero risposte. Non in quel momento. I tre riuscirono infatti ad infilarsi sotto al mantello all'ultimo momento, prima che Remus venisse accompagnato in infermeria e, tra lezioni e una punizione pomeridiana, non videro l'amico per tutto il giorno.
Quando giunse il coprifuoco, i Malandrini erano tutti nella stanza, cosa assai rara. Il loro Moony li aveva raggiunti dopo cena, fingendo non fosse successo nulla, ma gli altri non glielo avrebbero permesso. E così tra frasi sussurrate tristemente e altre urlate con rabbia su quanto facesse male tenersi tutto dentro, alla fine il giovane mannaro scoppiò, per la seconda volta in meno di ventiquattr'ore.
Iniziò urlando tutta la sua stanchezza e frustrazione per quella vita, per il dolore che essere un lupo mannaro comportava prima, durante e dopo la luna piena. Mentre le lacrime tornavano a rigargli le guance, sputò fuori tutte le sue paure di fare del male a qualcuno o di mettere fine a qualche vita, magari addirittura di qualche suo amico. Con il corpo scosso da singhiozzi raccontò i suoi incubi su lui, sul mostro che era in lui, che condannava a questa vita di dolore qualcun altro. Cadendo in ginocchio confessò tutte le volte in cui aveva pensato di farla finita, ma senza mai andare a fondo perché troppo spaventato dal dolore che avrebbe potuto provare. Dopotutto, disse, sarebbe stato da stupidi andare a farsi ancora del male, quando già soffriva per almeno un paio di settimane al mese. Senza contare che il dolore veniva accentuato dalla stanchezza portata dalle notti insonni, dagli anni passati a soffrire e da quelli che sarebbero arrivati, dato che non esisteva una cura. Infine, sussurrò quanto lo disgustasse il suo aspetto malaticcio e le sue cicatrici che diventavano sempre di più ogni mese, mentre si addormentava tra le braccia dei suoi amici che si erano stesi sul suo letto trascinandolo con loro.

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