21. Un raggio di sole

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Per due giorni, Alessio si alzò solo per andare in bagno. Non aveva voglia di muoversi. Non aveva voglia di mangiare. Non aveva voglia di parlare. Non aveva voglia di vivere

Dormì per la maggior parte del tempo, fissando il soffitto immerso in pensieri confusi nei rari momenti di veglia, e rispose a monosillabi alle domande di sua madre, che passò frequentemente a controllare se stesse bene, nei limiti del possibile.  Marta lo lasciò fare, preoccupandosi solo che bevesse, portandogli ghiaccio e antidolorifici, sedendosi accanto al suo letto a leggere senza insistere per fare conversazione. Non ebbe il minimo dubbio che si sarebbe ripreso presto, anche emotivamente. Lo conosceva bene e, per quanto sapesse che le sue reazioni erano spesso imprevedibili, sapeva che il dolore fisico non autoinferto lo inibiva e lo faceva chiudere a riccio. C'era solo da aspettare e, nel frattempo, sincerarsi che non ci fosse motivo di valutare la necessità di un intervento medico.

«Io vado al lavoro, tornerò dopo pranzo» gli disse domenica all'alba, posando sul comodino un vassoio con dell'acqua fresca, un succo di frutta e dei biscotti. Gli diede un bacio su una guancia, gli sistemò i cuscini sotto la schiena e se andò. Alessio rispose con un flebile «Ciao mamma» e rimase a fissare la stanza vuota. Aveva perso la cognizione del tempo e non sapeva che giorno fosse, gli sembrava di essere a letto da settimane ma aveva il dubbio si trattasse solo di poche ore. Si sentiva al sicuro, comunque. La sua stanza era l'unico angolo della casa dove Tommaso non si avventurava mai. Non si era mai chiesto perché, era così e basta, ed era un sollievo sapere di avere un rifugio.

Rimase di stucco, quindi, quando vide la figura imponente della Bestia oltrepassare quella porta oltre cui non si era mai avventurata. Istintivamente, si coprì col lenzuolo, e si rannicchiò nell'angolo formato dalle pareti.

«Come stai? Tua madre dice che questa volta ho esagerato.»

«Che cazzo vuoi?»

Non devo provocarlo, non devo provocarlo, non devo provocarlo, non ce la farei a reggere un'altra scarica di cinghiate.

«Voglio provare a farti da padre. Ricominciamo da capo, io mi fido di te e tu ti fidi di me.»

«Cosa vuoi davvero?» Alessio cominciava ad avere paura. C'era qualcosa che non andava. C'era qualcosa di terribilmente malato in quegli occhi neri che sembravano due pozze scure, senza espressione.

Tommaso si sfilò la cinta, l'arrotolò intorno alle nocche, e gli si avvicinò. Con la mano liberà gli strappò il lenzuolo di dosso e poi si calò i calzoni della tuta, estraendo il pene.

«Cazzo o cinta?» gli chiese ridacchiando, mostrandogli le due opzioni. Alessio tentò di alzarsi ma non ci riuscì. Una forza misteriosa lo teneva inchiodato al muro, come un masso appeso alla schiena.

«Vattene» sibilò.

«Girati!»

«Non toccarmi. Non...»

Con uno scatto incredibilmente agile, Tommaso balzò sul letto, e lo fece sdraiare, troneggiando sopra di lui. Con una mano  gli tappò la bocca e gli piazzò l'altra sullo stomaco. Scese poi a sfilargli boxer e pantaloncini del pigiama con un gesto rapido.

«Visto che non mi hai risposto, decido io per te.»

No, no, no. Ti prego, no. Spaccami la schiena ma questo no.

Intrappolato sotto il corpo dell'uomo, Alessio iniziò a piangere, e premette la schiena dolente sul materasso, cercando di evitare che l'altro riuscisse a sollevargli le gambe e sodomizzarlo.

«Su, tesoro della mamma, magari ti piace pure e me ne chiederai ancora. Avanti, apri queste cazzo di gambe, dai!»

No, no, no. No...

AlessioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora