39. Il lupo perde il pelo ma non il vizio

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"La genetica carica la pistola, ma è l'ambiente a tirare il grilletto"
(Judith Stern)

Non fu l'unico abbraccio. Ce ne fu un altro, di cui non fece parte ma che lo devastò profondamente, e a posteriori lo fece anche sentire ancora più egoista e cattivo, incapace di essere felice per le gioie altrui (un concetto, questo, che sua madre ribadiva sempre. Non ti importa niente di nessuno, pensi solo a te stesso): quello tra Gerardo e i suoi genitori. Elena e Pietro Del Savio si erano stretti attorno al figlio fragile e spaventato rassicurandolo, piangendo di gioia per il fatto fosse ancora lì con loro, dandogli amorevolmente del solito stupidone esagerato per aver creduto di non valere nulla.
Di fronte a tutto quell'affetto, il  sospetto che alla base dell'insicurezza dell'amico (perché ora si consideravano tali: amici, uniti da un filo sottile ma resistente) ci fossero proprio loro divenne un dettaglio irrilevante, un pregiudizio egocentrico basato sulla propria esperienza. Gerardo aveva una mamma e un papà che lo amavano.

Se io tentassi di uccidermi e poi cambiassi idea, Tommaso mi farebbe pentire di non essere andato fino in fondo. E mamma...

Il pensiero di quanto accaduto pochi giorni prima lo portò di nuovo sull'orlo di una nuova crisi panico. Aveva accettato le sue scuse, aveva voluto credere fosse sincera e pentita, ma tutti quei «Mi dispiace, tesoro» e «Non ti avrei mai fatto del male, scusami per averti spaventato» e gli abbracci, e le lacrime, non erano sufficienti a rassicurarlo. Ora nei suoi incubi oltre a essere stuprato dal patrigno veniva accoltellato a morte dalla sua cara mammina, e da sveglio si sentiva in costante stato d'allerta, come da bambino nelle ore successive a uno schiaffo o una sigaretta spenta sul braccio. Da quando era tornato, Tommaso non l'aveva mai neanche sfiorato, se non per aiutarlo,  e sembrava quasi dalla sua parte, a riprova del fatto che sua madre aveva esagerato, e in lui stava maturando la convinzione che lei potesse essere più pericolosa del compagno. Questo comunque non gli faceva abbassare la guardia con la Bestia. Potevano sforzarsi di convivere pacificamente quanto volevano, ma prima o poi avrebbe fatto o detto qualcosa che avrebbe risvegliato la folle violenza dell'uomo. E Marta sarebbe rimasta a guardare. Manuel aveva torto: non era spaventata, non si sentiva impotente. Semplicemente, non le importava nulla di lui. E il motivo era chiaro: lui non era il figlio che avrebbe voluto. Le aveva rovinato la vita, costringendola a crescere troppo in fretta e a rinunciare al grande sogno di diventare un medico; l'aveva fatta litigare con i suoi genitori, che non avevano approvato la sua scelta di tenere quel bambino concepito per errore; si era dimostrato un essere indegno di amore e rispetto, con un carattere di merda e una pietosa fragilità. Perché mai avrebbe dovuto amarlo come Giovanna amava Manuel, o come Elena amava Gerardo?

Due sere prima gliel'aveva detto. Gli era sembrata una considerazione matura e intelligente, declamata col tono neutro di chi fa una semplice constatazione, anche se in fondo al cuore serbava la speranza che lei l'avrebbe convinto che si sbagliava di grosso. Di cosa avrebbe dovuto dire o fare, però, non ne aveva la benché minima idea.

Marta l'aveva guardato come se stesse delirando.

«Sono tua madre, ti amo» aveva risposto, e aveva provato ad abbracciarlo. Lui però non gliel'aveva permesso, e si era irrigidito.

«Non è vero, mi detesti. Se non fosse intervenuto Tommaso mi avresti...»

Ucciso. Non riusciva a pronunciare quella parola, lui che parlava di morte con la stessa naturalezza con cui elencava i suoi cibi preferiti. Sentire la lama di un coltello sfiorare il proprio petto,
per non parlare dello sguardo agghiacciante di sua madre,
era ben diverso che immaginarlo, disegnarlo, simularlo per provocare una reazione. Aveva chiesto inconsciamente aiuto, dopo aver provato invano a esprimere il proprio disagio e in quel momento sì che avrebbe voluto essere abbracciato e ascoltato. Come Gerardo. Ecco perché le sue parole avevano funzionato e l'avevano convinto a non gettarsi nel vuoto: gli aveva in pratica fatto capire di comprendere quello che stava passando, qualcosa che probabilmente nessuno aveva mai fatto prima, limitandosi a deriderlo o criticarlo per le manifestazioni del suo male di vivere.

AlessioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora