50. L'estate indiana

132 19 61
                                    


Fuori dalla casa degli orrori, oltre il giardino incolto, Alessio tirò un sospiro di sollievo. L'attacco di panico sembrava scongiurato. L'aria fresca e pulita gli riempì i polmoni e lo riportò alla realtà, al presente e al suo mondo. Fece comunque qualche respiro breve e cadenzato (ormai era diventato bravissimo, gli veniva automatico ogni volta che l'ansia superava il livello di guardia) e lanciò un'ultima occhiata all'edificio fatiscente prima di avviarsi verso l'auto.

Andare lì era stata una pessima idea, per usare un eufemismo.

E fortuna che non ci ho portato Ivanka, si sarebbe impressionata tantissimo vedendo la bambola.

«Va meglio» disse, sorridendo a Jonathan. «Credo di essere un po' claustrofobico, ecco.»

«L'aria malsana non fa bene a nessuno. Ho sbagliato io a lasciarti entrare, avresti anche potuto farti male.»

Malsana. Non sai quanto hai ragione.

«Siamo ancora vivi e hai trovato un soggetto interessante per le tue foto. Direi che va bene così.»

«Foto che non posso pubblicare perché non so se sia legale riprendere una proprietà privata senza permessi, anche se abbandonata da decenni.» Anche Jon sorrise. Era un adulto incredibile, che lo trattava da suo pari mantenendo però un atteggiamento protettivo. Gli sarebbe piaciuto avere un patrigno così.

«Ti va di venire a pranzo con me?» continuò l'uomo. «Se non hai niente di meglio da fare, intendo.»

«I miei amici oggi stanno con le famiglie.»

«Anche la tua fidanzata?»

«In un certo senso sì.» Alessio rise sotto i baffi: Jon dava per scontato che Kornelia fosse una ragazzina, magari anche più giovane di lui. Non aveva reputato opportuno spiegargli come stessero veramente le cose. Non sapeva come avrebbe reagito: avrebbe prevalso il suo lato giovanile e anticonformista, o quello paterno?

La Carriola era una trattoria rustica immersa nel verde della campagna laziale, a due passi da uno dei tanti paesini che Alessio conosceva solo come fermate del treno Roma-Viterbo, nomi scritti in bianco su cartelli blu che scorrevano sotto i suoi occhi durante il tragitto da e per il capoluogo della Tuscia quando andavano a trovare i nonni di Gerardo. C'era un mondo intero da scoprire ed esplorare, oltre il quartiere dove era cresciuto, oltre i confini di una città bellissima ma che non poteva e non doveva essere l'inizio e la fine di tutto.

Jon chiese di mangiare all'aperto, sotto la pergola. Era una splendida giornata autunnale, col cielo terso, la temperatura mite e la natura che aveva iniziato ad assumere i colori tipici della stagione. Un profumo delizioso di carne cotta alla brace si diffondeva nell'aria, insieme a quello caratteristico dei funghi, specialità della casa, e leit motiv delle loro ordinazioni: antipasto del bosco, fettuccine ai funghi porcini, grigliata mista con contorno di funghi trifolati. 

«Facciamo anche il gelato ai funghi» li informò Franco, il proprietario, con aria serissima, mentre offriva loro due calici di vino bianco frizzantino («Produzione propria», ci tenne a specificare) come aperitivo.

Alessio si accese una sigaretta e guardò l'americano dritto negli occhi. Doveva dirgli la verità, non era giusto mentire a chi si stava comportando da vero amico e l'aveva aiutato a ritrovare una relativa serenità. Ma non era solo gratitudine: la bocca raschiata via della bambola gli aveva ricordato che la sua era ancora al proprio posto, e non serviva solo per mangiare, bere o fumare. Lui poteva parlare. E parlare, forse, era un modo per essere salvati.

AlessioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora