64. Un disperato bisogno d'amore

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«Che stai ascoltando?»

Entrando in camera di Manuel, Alessio guardò verso l'impianto stereo, pressappoco con la stessa espressione estasiata di quando aveva scoperto l'hard rock a dodici anni.

«Oasis. Un nuovo gruppo inglese, mi ha portato il CD mio cugino quando è tornato da Manchester. Non li hai mai sentiti?»

«No. Sembrano antichi. Mi piacciono.»

«Se vuoi te ne faccio una copia.»

«Sì, ti prego. Ho bisogno di musica nuova, sto morendo di noia.»

Noia era un eufemismo. Negli ultimi giorni, complice anche la clausura forzata dovuta all'influenza, il Vuoto era diventato insostenibile, una stanza dalle pareti bianche che si stringevano e si allargavano freneticamente provocandogli un forte senso di angoscia, tra claustrofobia e agorafobia. Voleva fuggire, respirare, e allo stesso tempo rimanere rannicchiato in un angolo, al sicuro dal mondo e dai suoi pericolosi occupanti. Ma soprattutto, voleva sentire, provare qualcosa che lo strappasse a quel limbo incolore.

«Hai avuto davvero la febbre per due settimane?»

Eccola, la domanda che temeva. Non era però il caso di continuare a nascondersi dietro le solite balle, almeno non con Manuel. Almeno non del tutto.

«No, ma sono stato molto male, e mia madre è diventata iperprotettiva. Pensa che prima che uscissi abbiamo litigato perché voleva mettessi uno di quei maglioni pesantissimi che si usano in montagna. E mi ha raccomandato di non bere. Con cosa crede potrei ubriacarmi, da te, col succo di pesca?»

«Ti ha visto quando sei rientrato a Capodanno?»

«No, mi sono fermato a dormire da Ivanka. Ero tanto fuori?»

«Come la terrazza del Pincio.»

Tentato di ripartire con le sue bugie, Alessio si chiese se fosse giusto, oltre che stupido. No, certo che no. Era giusto che Manuel sapesse la verità.

«Non avevo solo bevuto» ammise e di colpo il suo imbarazzo divenne uno sguardo di sfida. Vediamo se rimani o fuggi come fanno tutti prima o poi .«Non l'avevi capito?»

«No.» Manuel scosse la testa, allarmato. «Cosa...?»

«Mi sono fatto una. Una gnocca da paura, e puoi immaginare quanto mi scocci non ricordare praticamente nulla. Però mi ricordo che dopo oltre allo spumante mi ha offerto della roba.»

«Che roba?»

«Cocaina. Credo.»

«Credi! Ma sei scemo?» Manuel sgranò gli occhi. «Tu ti sei bevuto il cervello, non lo spumante. Come cazzo ti è venuto in mente di drogarti

«Non si fanno queste cose, è pericoloso.» Alessio imitò l'espressione sconvolta dell'amico, scimmiottando anche il tono un po' piagnucoloso che assumeva quand'era contrariato dai suoi comportamenti. «Oh, via, Manu. L'ho fatto una volta, mica voglio diventare un tossico. E poi se vuoi saperla tutta, prima è stato bellissimo, era tutto amplificato e meraviglioso come vorrei che fosse sempre, poi uno schifo. Credo di avere avuto delle allucinazioni orribili.»

«Credi! Non ti ricordi neanche cos'è successo, oh sì, è proprio bellissimo. La gente ci si suicida, con alcol e coca, coglione.»

Alessio non se la prese per l'insulto. Si mise a ridere, invece.

«Lo sai benissimo come mi ucciderei.» Mimò il gesto di tagliarsi i polsi, godendosi l'espressione furiosa dell'amico, quella sfumatura di preoccupazione che per lui faceva la differenza tra mi ucciderò e mi ucciderei. Finché ci fosse stato qualcuno che teneva davvero a lui, il suicidio non era un'opzione da contemplare.

AlessioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora