Ritorno al Tism

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Debilitata, in fuga da settimane e compromessa da una dieta povera e incerta, Morrigan aveva attraversato l’Oltreconfine e aveva proseguito a piedi, senza cibo e con il solo aiuto della rabbia che aveva in corpo fino al deserto nero e al vulcano del Tism.
Raggiunse il mastio dopo tre giorni nei quali la foresta prima e il deserto poi l’avevano consumata.
Raggiungere Cristen, ecco qual era la sua missione, anche se non sapeva cosa avrebbe detto per convincerlo a collaborare alla ricerca della donna che aveva tentato d’ucciderlo. Pregò gli dèi che fosse ancora incline a concederle i suoi favori.
Si accasciò sotto la spinta di un alito di vento caldo, prostrandosi al tramonto sanguigno del luogo dove la Nebbia era vissuta per secoli, e, con la guancia schiacciata sul pietrisco, osservò il Tism avvolto nel vapore dei geyser.
La sabbia nera iniziò a coprirle i piedi, poi le mani. I capelli scuri si mischiarono con i sassi e la polvere: Morrigan stava per essere inghiottita da una duna nera.
La sua bocca spaccata dall’arsura tentò di articolare una parola, nelle orecchie il frastuono del vento divenuto insopportabile. La disperazione le risucchiò ogni speranza: tutte le amazzoni sarebbero morte e lei non avrebbe potuto fare nulla per salvarle.
Era caduta e non aveva alcuna voglia di alzarsi: immaginò le sorelle spazzate via dalla volontà del sinedrio di sterminare una volta per tutte le ultime donne rimaste sulla terra. Cristen sembrava essere l’unica loro speranza, ma questo avrebbe significato un suo inevitabile ruolo nella vicenda. Era difficile da accettare per Morr, che preferì a lungo rimanere avvolta dalla sabbia insidiosa.
Morrigan era stata Amy, un tempo. Aveva avuto occasione di uccidere Cristen di fronte ai soldati nel bel mezzo del loro primo attacco all’Abbazia, ma non l’aveva fatto. Il coraggio le era venuto meno.
A terra, con gli occhi puntati sul Tism che diveniva sempre più vago a causa non solo del buio che sopraggiungeva ma anche del torpore che anticipava uno svenimento, Morrigan ottenne una delle risposte che cercava da mesi.
Aveva risparmiato Cristen dei vichinghi, non solo perché finendolo sarebbe stata trucidata dai suoi uomini, non solamente perché non era in grado di uccidere in modo così gramo qualcuno, non solo perché, segretamente, era attratta da lui e da quel suo spirito fiero e al contempo benevolo, ma anche e soprattutto perché un eventuale regno nato sul sangue avrebbe portato inevitabilmente ad altro sangue. Morrigan si rese conto che non aveva ucciso Cristen poiché in fondo teneva a lui e alla pace.
L’alleanza con la Nebbia era stata un azzardo, compiuto in un momento in cui Morrigan si sentiva minacciata. Mai avrebbe potuto allora immaginare che quel patto l’avrebbe legata indissolubilmente a Cristen per il resto dei suoi giorni.
Con una mano afferrò un ciottolo nero e lo lanciò lontano, poi si rialzò carponi e iniziò a gattonare lungo la duna. Scivolò sfinita, rotolando nella sabbia fino a quando giunse alle prime mura del Tism.
Barcollando si mise in piedi e già era sotto tiro: un drappello di vichinghi aveva iniziato ad agitarsi sulle merlature del castello nero.
I vichinghi non erano abili con l’arco, nessuno di loro si batteva con armi diverse da mazze ferrate, pugnali o spadoni. In gruppo uscirono dal portone bronzeo e percorsero il perimetro della fortezza fino a raggiungerla.
Morrigan, piegata in due dalla stanchezza, cadde a terra alzando un braccio in segno di resa.
«Sono qui per il vostro re…» sussurrò con contegno.
Due di loro la presero per le braccia, sollevandola da terra e trasferendola dentro.
«È sola? Controllate!» urlò il capitano della guardia reale.
I soldati perlustrarono la zona.
«Ma è Morrigan dell’Abbazia!» esclamò uno degli uomini.
L’amazzone venne trascinata dentro. I piedi di Morrigan scivolarono privi di forza sul selciato dell’ampio cortile, percorsero la scalinata del Tism e sfiorarono i lastroni traslucidi delle sale.
All’interno, le torce rosse baluginavano cupamente rendendo la fortezza buia e inospitale. Il caldo, poi, era insopportabile.
Uno degli uomini aprì la porta della sala prinicpale con una spallata. Lì, un tempo, la Nebbia aveva dominato.
Non c’era alcun trono, solo una profonda crepa al centro del pavimento dalla quale usciva una voluta di fumo. Lì, la Nebbia era tempo addietro risalita, e le forme degli Scuri erano sgorgate dal centro della terra per prendere possesso  dell’Oltreconfine.
Le fiaccole rosse guizzavano in lunghe file su ogni parete.
Morrigan fu lasciata cadere di fronte alla crepa tiepida. Con difficoltà si mise in ginocchio e strisciò fino all’imboccatura del profondo solco.
Oltre il bordo vide l’oscurità, un vuoto profondo e udì il silenzio assoluto. Il fumo che fuoriusciva in candide spire le solleticò il capo, si avvinghiò attorno al collo e poi si attorcigliò al polso fin su a raggiungere il bracciale nero.
Morrigan spalancò gli occhi avvertendo la pelle diventare bollente.
Cacciò un grido, mentre qualcosa l’afferrava per le spalle. Si dimenò spaventata e si accorse che l’incandescente bracciale della Nebbia da nero era diventato color rosso vivo.
«Morrigan!»
La voce non proveniva dalla profondità della terra, bensì da dietro di lei, accompagnata da braccia forti che le immobilizzavano il collo.
Era Cristen.

L'amazzone e il vichingoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora